Silent Hill f - La Recensione

Il nuovo che avanza, senza dimenticare le origini ed i tratti salienti di un caposaldo del survival horror

di DannyK

Ci sono pochi nomi, nell’industria videoludica, che evocano suggestioni così profonde come Silent Hill. Dal 1999, la serie creata dal Team Silent di Konami ha insegnato a generazioni di giocatori che la vera paura nasce da ciò che non si vede, nascosto dietro una terrificante nebbia dentro cui può annidarsi qualsiasi mostruosità, tra ai familiari ambienti del quotidiano. I primi capitoli hanno rivoluzionato il survival horror, allontanandosi dall’action puro (rimasto appannaggio della serie Resident Evil), per concentrarsi su una narrazione psicologica in cui silenzi e suoni disturbanti diventano strumenti potenti quanto le immagini più splatter. Con Silent Hill 2 la saga ha toccato l’apice, lasciando poi spazio a capitoli controversi, spin-off sperimentali e un silenzio prolungato che sembrava aver relegato il brand al passato. Oggi, dopo anni di attesa e molte incertezze sul destino della serie arriva Silent Hill f, un capitolo che recupera l'anima e l'identità originarie del franchise: Neobards riesce a riportarlo alle radici senza scadere nell’autoimitazione e provando anche a fare dei passi avanti. Sebbene ci si aspettasse un titolo snaturato, il risultato sorprende: i capisaldi storici del marchio ci sono tutti, rielaborati con intelligenza e contaminati con suggestioni nuove. Il gioco non rompe con la tradizione, piuttosto evolve alcuni elementi chiave mantenendo intatto il nucleo di sempre, collocato su un confine labile che separa realtà e allucinazione.

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La principale associazione che nasce nella mente di chiunque pensi al franchise è quella con il peculiare contesto "cittadino" in cui si svolgono le vicende: In Silent Hill f questa è proprio la prima grande conquista. La cittadina rurale di Ebisugaoka, ricostruita con minuzia filologica nella cornice degli anni ’60 (era Shōwa) e incastonata nella prefettura di Gifu, si impone come uno scenario di straordinaria forza visiva, mentre i paesaggi grotteschi e decadenti consolidano la sensazione ansiogena di trovarsi in un luogo in cui si succedono eventi soprannaturali. La struttura narrativa resta fedele al canonico horror psicologico della serie. La sottile linea che separa realtà e allucinazione non è mai chiara, e il gioco si diverte a spiazzare costantemente il giocatore, rivelando solo a tratti cosa si nasconda dietro la maledizione in corso. La tradizionale componente religiosa come matrice dei problemi non scompare, ma questa volta affonda le radici nella mitologia e nel folklore giapponese, aprendo nuove chiavi di lettura e un immaginario fresco. Il gore non manca di certo: tutti i nemici sono caratterizzati per essere elementi di rottura anche visiva, con movimenti scattosi ed innaturali, obbrobri informi di carne e fiori rossi (un connubio tanto bizzarro quanto brutto), o ciechi esseri dal volto scavato con vermi che crescono al suo interno.
 

La cittadina di Ebisugaoka.jpg


Se l’impatto visivo colpisce, il comparto audio non è da meno. Gli sviluppatori hanno curato minuziosamente il sound design, restituendo quella sensazione di angoscia che da sempre contraddistingue Silent Hill. L’arrivo dei mostri è anticipato da suoni cupi e disturbanti, reminiscenza tanto della storica radiolina dei primi capitoli quanto dei versi raccapriccianti dei Regenerador di Resident Evil 4. Le musiche sono poche, ma sapientemente dosate, capaci di amplificare stati d’animo e smarrimento. È una colonna sonora discreta, che lavora per sottrazione, al servizio degli stati d'animo che si propone di veicolare. Nel complesso, Silent Hill f si impone come un’opera di livello tecnico molto alto, sia sul fronte audio che video.

Il combat system rinnova in parte l’esperienza tradizionale. Shimizu Hinako, la giovane protagonista, può schivare, attaccare con colpi leggeri o pesanti e concentrarsi sacrificando sanità mentale per sferrare attacchi speciali. È stata introdotta anche una meccanica di contrattacco, attivabile colpendo i nemici nel momento in cui emettono un preciso bagliore: un’idea interessante, ma non sempre ben implementata e piuttosto imprecisa, tanto che alla fine nella nostra partita abbiamo preferito non farci affidamento. Anche il sistema di targeting necessita di aggiustamenti: nonostante il lock sui nemici capita spesso che un bersaglio fermo venga mancato e colpire per errore un elemento dello scenario provoca uno stordimento punitivo in pieno stile Dark Souls. L’elemento che più di tutti condiziona gli scontri è però la barra della stamina: i mostri sono imprevedibili, veloci, mentre alla nostra alter ego bastano due schivate e un paio di attacchi leggeri perché resti senza fiato per svariati secondi, trasformandosi in una preda facile. Questa scelta ha fatto temere un’eccessiva deriva “soulslike”, ma in realtà funziona bene all’interno della narrativa: impersonando una liceale vulnerabile e impreparata e complice la deteriorabilità delle armi, il giocatore è portato spesso a considerare la fuga come opzione migliore rispetto al combattimento (ma attenzione, in presenza di nemici anche correre consuma stamina). La difficoltà resta elevata: abbassando il livello si riducono i danni subiti, ma non cala la sensazione di costante pericolo, amplificata dalla fragilità delle armi a disposizione.
 

Le pose innaturali e disturbanti dei nemici.jpg


Parlando appunto della protagonista, non possiamo non riconoscere come il suo background paghi pegno a un eccesso di cliché narrativi: il padre violento e alcolizzato, la madre sottomessa e remissiva, la sorella maggiore “ancora di salvezza” che lascia il nucleo familiare, la giovane “pecora nera” incompresa: il quadro familiare rischia di sembrare troppo derivativo. Anche la sua cerchia di amici ricalca il classico teen drama, con rapporti segnati da non detti, gelosie e crudeltà adolescenziali; tutto questo rende inizialmente difficile empatizzare con Hinako. Eppure, con il progredire della storia ed il dipanarsi della trama, la curiosità verso i misteri di Ebisugaoka prevale, trascinando il giocatore all’interno di un intreccio in cui le vicende personali acquisiscono un senso nel quadro generale.

Alcune scelte di gameplay sono chiaramente moderne, andando ad agevolare la user experience dei giocatori rispetto alla difficoltà generale del titolo. Alla morte non si riparte dai santuari in cui si salva la partita, ma si ricomincia da un checkpoint spesso molto vicino. Sebbene l'inventario sia piuttosto limitato, gli oggetti chiave sono in uno slot "a parte" che non inficia quello dei consumabili, che restano comunque abbondanti per tutta la partita, permettendovi di non lesinare sulle cure e sulle offerte. A tal proposito, forse una delle scelte meno convincenti è proprio quella di inserire un sistema GDR, che permettono di potenziare la protagonista. Una meccanica che appare superflua e in contrasto con la sospensione dell’incredulità. Un approccio più naturale sarebbe stato limitarsi all’evoluzione delle armi disponibili e delle abilità del giocatore, valorizzando il senso di precarietà come parte integrante dell’esperienza horror.
 

Hinako si troverà faccia a faccia con l'orrore.jpg

 

Conclusioni
Konami e Neobards riescono nella difficile impresa di tenere alto il valore percepito di un franchise storico: Silent Hill f non è un semplice ritorno, ma una riconferma a caposaldo del survival horror. L’ambientazione storica e folkloristica giapponese, la solidità tecnica del comparto video che restituisce una Ebisugaoka splendida e terrificante, il sound design impeccabile e un gameplay impegnativo, ma coerente con la vulnerabilità di Hinako, sono tutti elementi perfettamente in grado di restituire l’inquietudine che i fan si aspettano, rendendo l’esperienza intensa e disturbante. Qualche scelta troppo scontata nel background della protagonista ed un superfluo sistema di progressione non compromettono un titolo che riesce ad angosciare senza far mai calare la curiosità di volerne sapere di più. Silent Hill f non vuole semplicemente fare paura, vuole insinuarsi nella mente e rendere difficile riconoscere lo stato di realtà da quello onirico, come un incubo dal quale è impossibile distogliere lo sguardo.


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