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Prepararsi un bel piatto di "yaki udon" fumanti per cena guardando "Cara dolce Kyoko" non aveva prezzo, e solo qualche anno fa ciò era ancora possibile grazie a canali tematici free come la defunta Anime Gold. Oggi gli anime in TV si possono contare sulla punta delle dita, e chissà quando mai risentiremo le note di "Kanashimi yo Konnichiwa" o di "Ci-Ne-Ma" mentre impugniamo le bacchette...

Alt! Se l'opera da recensire è "Maison Ikkoku" è un conto, se si tratta di "Cara dolce Kyoko" allora sono un altro paio di maniche, poiché la traduzione italiana ha snaturato il significato dell'opera madre della Takahashi. Mi spiego meglio, passi per la pronunzia dei nomi non sempre corretta, passi per la penosa scelta del titolo, passi per il cambio di voci a serie in corso, ma sul fatto che Godai-kun si rivolge fin dal primo istante a Kyoko dandole del tu... Beh, questo è inaccettabile a parer mio. In Giappone è da sempre usanza rivolgersi a persone più anziane tramite il Lei, aggiungendo il suffisso "san".

Nel complesso l'atmosfera rimane un po' meno famigliare che nel manga, qui non si sosta mai troppo a lungo nel "tranquillo" tepore domestico della movimentata pensione, di fatto ci sono molte riprese all'esterno, con una miriade di scorci e accurati panorami sulle caratteristiche casupole del quartiere. Godai rimane imbranato e sognatore come la sua controparte in bianco-nero su carta stampata e il coetaneo (fisionomicamente gemellato) Ataru Moroboshi, infilando ruzzoloni a destra e sinistra e procurandosi craniate di fantozziana memoria. Queste e molte altre analogie con i film della commedia casinista e osé all'italiana si avvicendano nel prosieguo degli episodi. La procace e disinibita Akemi, con la sua sottoveste semitrasparente, sembra la controfigura dagli occhi a mandorla di Edwige Fenech.

L'utilizzo dei colori è adeguato, non poetico come nelle tavole a colori dell'autrice, ma fatto con ponderatezza e intelligenza, sfornando fondali dalle tonalità calde e accese, e personaggi rappresentati con tinte neutre, talvolta fredde, per aumentare il senso di prospettiva e dare profondità all'ambiente, anche se in certi casi sembra mancare quel tocco di armonia che lo avrebbero reso perfetto. In definitiva ci troviamo di fronte a una splendida sit-com solare e romantica, che non sfigurerebbe nemmeno nel decennio appena passato, nel presente, e nell'immediato futuro, con una rosa di comprimari tanto strambi quanto affiatati, resi un poco più 'plasticosi' e caricaturali da Yuji Moriyama (ma non è un difetto, era una regola nel passaggio tra manga e anime), e riportati poi a umane sembianze da Akemi Takada dal ventiseiesimo episodio fino all'epilogo.

E' sano e vero umorismo di una volta, che ci regala vizi e virtù di com'era lo studente giapponese medio che doveva sostenersi il soggiorno in città con pochi spiccioli (ma in quel caso bastava essere ricambiati dall'amata, tutto il resto veniva dopo) e poche aspettative per il futuro in una società rigida e schematica (l'unica trasgressione erano i consueti festini a base di alcolici organizzati dalla chiassosa Ichinose, supportata dal misterioso e invadente Yotsuya). Oggi, purtroppo, dobbiamo fare i conti con l’indifferenza, l'apatia, la volgarità, il rumore, il cyberbullismo, per questo "Maison Ikkoku" rimane uno dei gioielli, forse "la punta di diamante", degli anni '80.

Voto alla versione madrelingua: 8. Un punto in più dell'imbarazzante pastrocchio compiuto dai superficiali adattatori nostrani. Un punto in meno rispetto al manga serializzato dalla Shogakukan: è inarrivabile. Novantasei puntate animate (divise in tre tranche ben distinte) sono decisamente troppe. Quando si raggiunge tale cifra c'è il rischio che gli staff che vi si avvicendano diventino tasselli di un puzzle difficile da coordinare, e si rischia, come in questo caso, di trovarsi di fronte a storyboard poco interessanti (non per niente nel terzo e ultimo blocco era stato convocato Hideo Takayashiki, uno degli sceneggiatori più quotati dell'epoca) oppure con frame non proprio all'altezza (è bene ricordare che Akemi Takada non ha supervisionato i disegni, quel ruolo infatti cambiava di volta in volta, con visibili alti e bassi).