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Attenzione: la recensione contiene spoiler

“La forma della voce” di Naoko Yamada è un film d’animazione tratto dal manga di Yoshitoki Oima “A Silent Voice”.

È la storia di Shoya Ishida, un ragazzo che non riesce a perdonarsi per gli atti di bullismo perpetrati a Shoko Nishimiya, una bambina sorda che a causa delle prepotenze subite fu costretta a cambiare istituto scolastico. E, seppur gli eventi si verificarono quando i due frequentavano le scuole elementari, il rimorso logora Shoya, a tal punto da farlo pensare al suicidio. Shoya è il classico ragazzo problematico, nasconde l’attrazione che prova verso una bambina “diversa” dietro l’arroganza e la strafottenza; in lui scatta qualcosa quando verrà a sua volta ‘bullizzato’ dal gruppetto di ragazzini che capitanava. Shoko è invece una ragazza dolce e timida, chiede sempre scusa, anche se la situazione non lo necessita, e subisce passivamente le violenze dei compagni.
“La forma della voce” è il viaggio di redenzione di Shoya, vittima di sé stesso al punto tale da non riuscire più a guardare in faccia le persone. Geniale la trovata della Yamada, per farci immedesimare meglio nella prospettiva dell’ex bullo, di disegnare i personaggi con una X sul volto. In questa storia non vi è un carnefice; Shoko e Shoya sono entrambi vittime. La prima della collettività, il secondo del senso di colpa. Il ragazzo, ormai maturato, farà di tutto per rincontrare Shoko e farsi perdonare, solo così potrà perdonarsi a sua volta.

I personaggi, seppur stereotipati, nel loro insieme funzionano, rivestendo ognuno un ruolo ben definito. Non mancano i cliché, ma ci si passa sopra. Ciò che invece parzialmente mina la qualità dell’opera è il finale, pregno di un positivismo che cozza un po’ con i temi trattati. Non avendo ancora letto il manga, non so se questo è un problema derivante dall’originale o insito nel film, in ogni caso avrei optato per un finale drammatico.

La classica scena in cui uno si butta di sotto e un altro gli afferra la mano al volo salvandolo mi ha nauseato tanto quanto i comizi di Salvini. In questo caso a gettarsi da un palazzo è Shoko, e ad acciuffarla Shoya, che però, nel tirarla su, inciampa cadendo al suo posto. La scena stavolta avrebbe anche funzionato. Dico avrebbe, perché in realtà non avrà conseguenze. Shoya si farà appena qualche giorno d’ospedale senza riportare alcuna ripercussione. Non dico di farlo morire (che sarebbe comunque stato preferibile), ma almeno, se proprio si esigeva un lieto fine, farli fidanzare con lui menomato, che so, su una sedia a rotelle. Invece né si fidanzano né lui ne esce menomato. Meritava un finale più impattante una pellicola che comunque, nei suoi 130 minuti, resta sempre emozionante e coinvolgente. Amen.

Tecnicamente siamo leggermente sopra la media anime attuale. Buon tratto dei personaggi, ma animazioni non sempre all’altezza. Il comparto sonoro è più che buono, con melodie che risultano calzanti in ogni situazione.

“La forma della voce” è un lungometraggio che fa riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni. Coraggioso nei temi trattati ma eccessivamente buonista nel finale. Una storia particolare, toccante, che più che a demonizzare il bullismo punta alla sensibilizzazione dello spettatore. Non un capolavoro, ma comunque meritevole di essere visionato almeno una volta da ognuno di voi.

Voto: 7,5