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Prodotto nel 2018, “Violet Evergarden” è probabilmente uno dei migliori anime drammatici a “raggio breve” (solo una season di tredici episodi) mai scritti.

Ambientato in un mondo molto simile al nostro, in un periodo storico che ricorda fortemente la triste, arida e barcollante pausa fra le due Grandi Guerre, questa è la straziante storia di Violet, un’orfana che fin da piccola è stata addestrata a combattere, utilizzata e sfruttata come un oggetto bellico, privata della propria sacrosanta infanzia (elemento inevitabilmente spietato già visto in altre storie, ma che rimembra gli orrori di guerre ben più recenti e ben più realistiche, da cui abbiamo appreso come migliaia di bambini, per anni, hanno imparato - e imparano tuttora - ad utilizzare armi da fuoco e uccidere persone che non conoscono, in nome di ideali che non sono i loro, abbagliati da tante parole di mostri sotto forma di esseri umani capaci di plagiarli e deviarli in modo irrimediabile).
Il messaggio è piuttosto chiaro. Chiaramente in “Violet Evergarden” tutto ciò assume un tono meno realistico e più romanzato, ma il concetto di base rimane quello.
Un incipit terribile, ben più reale di quel che si pensi, messo così. Violet è giovanissima, non conosce le piccole gioie della vita, non le ha mai conosciute e chi l’ha addestrata non si è mai preoccupato di fargliele conoscere, fino a quando non incontra un ufficiale dell’esercito che la prende sotto la sua ala, e che cambierà le cose per sempre.
Con tali premesse, l’anime decolla tuttavia con uno scenario postumo ai fatti fin qui raccontati, un nuovo punto di partenza da cui Violet tornerà a “vivere” per comprendere pian piano sé stessa e, cosa più importante, familiarizzare con tanti sentimenti che o non riesce a decifrare o non conosce affatto: tutto questo, quando inizierà ad andare a lavorare presso un’azienda di scrittura e consegna lettere, decisa a diventare una scrittrice di lettere per conto di persone che non sanno, non possono o per vari motivi non desiderano scriverle in prima persona.

Siamo di fronte ad un lavoro tecnicamente ineccepibile. Bisogna essere onesti: raramente ho visto un comparto grafico così curato in un anime seriale di tredici episodi. Kyoto Animation fa “più sul serio” delle altre volte, e questa produzione distribuita direttamente da Netflix sancisce ciò che è un vero e proprio capolavoro visivo: fondali e paesaggi appaiono curatissimi, le luci e le ombre sono dosate sapientemente e le animazioni dei personaggi sono sempre sopra la media. Ciò che più colpisce sono i colori nella loro brillantezza: in una cornice fra lo steampunk vittoriano e l’inizio di un ipotetico 1900, dove la meccanica pare avanzatissima rispetto ai nostri tempi, immagini evocative, colori pastellati, luci acquose e lacrime a fiumi si intrecciano in una storia che va dritta al cuore.

“Violet Evergarden” non è affatto originale, non stupisce per contenuti innovativi né vuole farlo; semplicemente non ne ha bisogno. Parla tramite vecchi temi, mette sentimenti confusi, nudi e crudi sul vassoio d’argento lucido e scintillante di quelle case post-vittoriane che si possono ammirare durante gli episodi, e li sviscera, li prende uno ad uno e li pone di fronte allo spettatore che, presto o tardi, ci si immedesima inevitabilmente.
Tramite le sofferenze, le gioie, le paure, i sentimenti contrastanti, le emozioni e tutto lo spettro emotivo dei personaggi con cui interagisce, la signorina Violet Evergarden comprende cosa significhi vivere, vivere davvero, vivere libera. Affronta le emozioni e gli imprevisti della vita come una bambina alla sua prima camminata, e le lettere che scriverà per conto dei suoi clienti saranno veri e propri insegnamenti “a doppio taglio”, capaci di aprire vecchie ferite nella sua anima, ferite tuttavia necessarie per capire e accettare il proprio posto nel mondo, e infine rinascere come una fenice color acquamarina, lo stesso splendido, liquido colore della gemma che porta sempre con sé e che ai fini della storia ha un significato importantissimo.

In questa fragile, romantica e struggente trama di sentimenti, si dipana una colonna sonora divina, pezzi orchestrati che arricchiscono le scene e donano atmosfere uniche che difficilmente si scorderanno.

E’ un prodotto super-consigliato a chi ama i drammi e le storie strappalacrime; talvolta eccede forse in drammaticità quasi telefonata, ma che, nonostante non sia sempre spiazzante, tocca inevitabilmente il cuore. Il climax lo raggiunge nella seconda metà della storia (l’episodio 10 è veramente straziante, ma al tempo stesso dolcissimo, e, se ce ne fosse bisogno, ci ricorda quanto sono importanti le persone e i familiari che abbiamo vicino tutti i giorni, mentre gli ultimi tre sono poesia visiva pura).
Opening ed ending accattivanti, animazioni sublimi, cura nelle espressioni, nei movimenti del corpo, comunicazione eccellente: preparate i fazzoletti, perché anche il più duro dei cuori difficilmente non si lascerà andare, scoprendo l’amara, travagliata, ma splendida storia di Violet Evergarden.