Recensione
Violet Evergarden
9.0/10
Prodotto nel 2018, “Violet Evergarden” è probabilmente uno dei migliori anime drammatici a “raggio breve” (solo una season di tredici episodi) mai scritti.
Ambientato in un mondo molto simile al nostro, in un periodo storico che ricorda fortemente la triste, arida e barcollante pausa fra le due Grandi Guerre, questa è la straziante storia di Violet, un’orfana che fin da piccola è stata addestrata a combattere, utilizzata e sfruttata come un oggetto bellico, privata della propria sacrosanta infanzia (elemento inevitabilmente spietato già visto in altre storie, ma che rimembra gli orrori di guerre ben più recenti e ben più realistiche, da cui abbiamo appreso come migliaia di bambini, per anni, hanno imparato - e imparano tuttora - ad utilizzare armi da fuoco e uccidere persone che non conoscono, in nome di ideali che non sono i loro, abbagliati da tante parole di mostri sotto forma di esseri umani capaci di plagiarli e deviarli in modo irrimediabile).
Il messaggio è piuttosto chiaro. Chiaramente in “Violet Evergarden” tutto ciò assume un tono meno realistico e più romanzato, ma il concetto di base rimane quello.
Un incipit terribile, ben più reale di quel che si pensi, messo così. Violet è giovanissima, non conosce le piccole gioie della vita, non le ha mai conosciute e chi l’ha addestrata non si è mai preoccupato di fargliele conoscere, fino a quando non incontra un ufficiale dell’esercito che la prende sotto la sua ala, e che cambierà le cose per sempre.
Con tali premesse, l’anime decolla tuttavia con uno scenario postumo ai fatti fin qui raccontati, un nuovo punto di partenza da cui Violet tornerà a “vivere” per comprendere pian piano sé stessa e, cosa più importante, familiarizzare con tanti sentimenti che o non riesce a decifrare o non conosce affatto: tutto questo, quando inizierà ad andare a lavorare presso un’azienda di scrittura e consegna lettere, decisa a diventare una scrittrice di lettere per conto di persone che non sanno, non possono o per vari motivi non desiderano scriverle in prima persona.
Siamo di fronte ad un lavoro tecnicamente ineccepibile. Bisogna essere onesti: raramente ho visto un comparto grafico così curato in un anime seriale di tredici episodi. Kyoto Animation fa “più sul serio” delle altre volte, e questa produzione distribuita direttamente da Netflix sancisce ciò che è un vero e proprio capolavoro visivo: fondali e paesaggi appaiono curatissimi, le luci e le ombre sono dosate sapientemente e le animazioni dei personaggi sono sempre sopra la media. Ciò che più colpisce sono i colori nella loro brillantezza: in una cornice fra lo steampunk vittoriano e l’inizio di un ipotetico 1900, dove la meccanica pare avanzatissima rispetto ai nostri tempi, immagini evocative, colori pastellati, luci acquose e lacrime a fiumi si intrecciano in una storia che va dritta al cuore.
“Violet Evergarden” non è affatto originale, non stupisce per contenuti innovativi né vuole farlo; semplicemente non ne ha bisogno. Parla tramite vecchi temi, mette sentimenti confusi, nudi e crudi sul vassoio d’argento lucido e scintillante di quelle case post-vittoriane che si possono ammirare durante gli episodi, e li sviscera, li prende uno ad uno e li pone di fronte allo spettatore che, presto o tardi, ci si immedesima inevitabilmente.
Tramite le sofferenze, le gioie, le paure, i sentimenti contrastanti, le emozioni e tutto lo spettro emotivo dei personaggi con cui interagisce, la signorina Violet Evergarden comprende cosa significhi vivere, vivere davvero, vivere libera. Affronta le emozioni e gli imprevisti della vita come una bambina alla sua prima camminata, e le lettere che scriverà per conto dei suoi clienti saranno veri e propri insegnamenti “a doppio taglio”, capaci di aprire vecchie ferite nella sua anima, ferite tuttavia necessarie per capire e accettare il proprio posto nel mondo, e infine rinascere come una fenice color acquamarina, lo stesso splendido, liquido colore della gemma che porta sempre con sé e che ai fini della storia ha un significato importantissimo.
In questa fragile, romantica e struggente trama di sentimenti, si dipana una colonna sonora divina, pezzi orchestrati che arricchiscono le scene e donano atmosfere uniche che difficilmente si scorderanno.
E’ un prodotto super-consigliato a chi ama i drammi e le storie strappalacrime; talvolta eccede forse in drammaticità quasi telefonata, ma che, nonostante non sia sempre spiazzante, tocca inevitabilmente il cuore. Il climax lo raggiunge nella seconda metà della storia (l’episodio 10 è veramente straziante, ma al tempo stesso dolcissimo, e, se ce ne fosse bisogno, ci ricorda quanto sono importanti le persone e i familiari che abbiamo vicino tutti i giorni, mentre gli ultimi tre sono poesia visiva pura).
Opening ed ending accattivanti, animazioni sublimi, cura nelle espressioni, nei movimenti del corpo, comunicazione eccellente: preparate i fazzoletti, perché anche il più duro dei cuori difficilmente non si lascerà andare, scoprendo l’amara, travagliata, ma splendida storia di Violet Evergarden.
Ambientato in un mondo molto simile al nostro, in un periodo storico che ricorda fortemente la triste, arida e barcollante pausa fra le due Grandi Guerre, questa è la straziante storia di Violet, un’orfana che fin da piccola è stata addestrata a combattere, utilizzata e sfruttata come un oggetto bellico, privata della propria sacrosanta infanzia (elemento inevitabilmente spietato già visto in altre storie, ma che rimembra gli orrori di guerre ben più recenti e ben più realistiche, da cui abbiamo appreso come migliaia di bambini, per anni, hanno imparato - e imparano tuttora - ad utilizzare armi da fuoco e uccidere persone che non conoscono, in nome di ideali che non sono i loro, abbagliati da tante parole di mostri sotto forma di esseri umani capaci di plagiarli e deviarli in modo irrimediabile).
Il messaggio è piuttosto chiaro. Chiaramente in “Violet Evergarden” tutto ciò assume un tono meno realistico e più romanzato, ma il concetto di base rimane quello.
Un incipit terribile, ben più reale di quel che si pensi, messo così. Violet è giovanissima, non conosce le piccole gioie della vita, non le ha mai conosciute e chi l’ha addestrata non si è mai preoccupato di fargliele conoscere, fino a quando non incontra un ufficiale dell’esercito che la prende sotto la sua ala, e che cambierà le cose per sempre.
Con tali premesse, l’anime decolla tuttavia con uno scenario postumo ai fatti fin qui raccontati, un nuovo punto di partenza da cui Violet tornerà a “vivere” per comprendere pian piano sé stessa e, cosa più importante, familiarizzare con tanti sentimenti che o non riesce a decifrare o non conosce affatto: tutto questo, quando inizierà ad andare a lavorare presso un’azienda di scrittura e consegna lettere, decisa a diventare una scrittrice di lettere per conto di persone che non sanno, non possono o per vari motivi non desiderano scriverle in prima persona.
Siamo di fronte ad un lavoro tecnicamente ineccepibile. Bisogna essere onesti: raramente ho visto un comparto grafico così curato in un anime seriale di tredici episodi. Kyoto Animation fa “più sul serio” delle altre volte, e questa produzione distribuita direttamente da Netflix sancisce ciò che è un vero e proprio capolavoro visivo: fondali e paesaggi appaiono curatissimi, le luci e le ombre sono dosate sapientemente e le animazioni dei personaggi sono sempre sopra la media. Ciò che più colpisce sono i colori nella loro brillantezza: in una cornice fra lo steampunk vittoriano e l’inizio di un ipotetico 1900, dove la meccanica pare avanzatissima rispetto ai nostri tempi, immagini evocative, colori pastellati, luci acquose e lacrime a fiumi si intrecciano in una storia che va dritta al cuore.
“Violet Evergarden” non è affatto originale, non stupisce per contenuti innovativi né vuole farlo; semplicemente non ne ha bisogno. Parla tramite vecchi temi, mette sentimenti confusi, nudi e crudi sul vassoio d’argento lucido e scintillante di quelle case post-vittoriane che si possono ammirare durante gli episodi, e li sviscera, li prende uno ad uno e li pone di fronte allo spettatore che, presto o tardi, ci si immedesima inevitabilmente.
Tramite le sofferenze, le gioie, le paure, i sentimenti contrastanti, le emozioni e tutto lo spettro emotivo dei personaggi con cui interagisce, la signorina Violet Evergarden comprende cosa significhi vivere, vivere davvero, vivere libera. Affronta le emozioni e gli imprevisti della vita come una bambina alla sua prima camminata, e le lettere che scriverà per conto dei suoi clienti saranno veri e propri insegnamenti “a doppio taglio”, capaci di aprire vecchie ferite nella sua anima, ferite tuttavia necessarie per capire e accettare il proprio posto nel mondo, e infine rinascere come una fenice color acquamarina, lo stesso splendido, liquido colore della gemma che porta sempre con sé e che ai fini della storia ha un significato importantissimo.
In questa fragile, romantica e struggente trama di sentimenti, si dipana una colonna sonora divina, pezzi orchestrati che arricchiscono le scene e donano atmosfere uniche che difficilmente si scorderanno.
E’ un prodotto super-consigliato a chi ama i drammi e le storie strappalacrime; talvolta eccede forse in drammaticità quasi telefonata, ma che, nonostante non sia sempre spiazzante, tocca inevitabilmente il cuore. Il climax lo raggiunge nella seconda metà della storia (l’episodio 10 è veramente straziante, ma al tempo stesso dolcissimo, e, se ce ne fosse bisogno, ci ricorda quanto sono importanti le persone e i familiari che abbiamo vicino tutti i giorni, mentre gli ultimi tre sono poesia visiva pura).
Opening ed ending accattivanti, animazioni sublimi, cura nelle espressioni, nei movimenti del corpo, comunicazione eccellente: preparate i fazzoletti, perché anche il più duro dei cuori difficilmente non si lascerà andare, scoprendo l’amara, travagliata, ma splendida storia di Violet Evergarden.