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9.5/10
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Takehiko Inoue oltre ad essere uno dei mangaka più influenti dell’ultimo trentennio, nonché uno dei migliori disegnatori di fumetti a livello mondiale, è noto anche per il suo rapporto non proprio idilliaco con i finali. E non è certo l’unico artista a soffrire di quella che potremmo definire “sindrome di Urasawa” (anche se quest’ultimo quantomeno i suoi lavori li conclude).
Tolta qualche opera breve minore (come il simpatico “Buzzer Beater”) “Slam Dunk” è l’unico tra i capolavori di Inoue ad essere stato portato a termine. Le altre sue due grandi opere infatti “Vagabond” e “Real” patiscono da parecchio una pubblicazione fin troppo dilatata e rallentata negli anni da non essere neanche più regolarmente annuali, con continue interruzioni e conseguenti pause che ne funestano la magnificenza.

Se oggi per stare qualche anno in più sulle pagine di Shonen Jump gli artisti sono disposti a spalmare sceneggiature allungando il brodo fino ad annacquare e rovinare quelle che di base sarebbero anche ottime trame, sminuendo l’arte a mero prodotto commerciale, c’erano una volta i manga che finivano anzitempo, vuoi per ragioni tecniche/commerciali vuoi perché gli autori, impreparati ad un inaspettato successo e soffocati dalle troppe aspettative generate, non sapevano più come mandare avanti le loro storie.
Gli anni 90’ vantano una vasta gamma di opere dal finale non-finale di cui “Neon Genesis Evangelion” è massimo esponente, o dal finale prematuro, incompleto, che tronca in parte le vicende lasciando al lettore quell’insaziabile fame di pagine.
“Slam Dunk” rientra sicuramente in questa categoria.

Hanamichi Sakuragi è un rissoso bullo dal fisico imponente e la buffa testa rossa che durante le scuole medie ha confezionato il record di due di picche inflitti dal gentil sesso.
Si iscrive al club di basket per far colpo su Haruko, sorella del capitano del team.
“Se riuscissi a fare insieme a lei la strada da casa a scuola poi potrei anche morire felice”.
Peccato che la ragazza dei suoi sogni abbia messo gli occhi sulla sua nemesi, il fenomeno strappacuori Rukawa, anche lui come Hanamichi al primo anno di liceo ma già superstar della squadra.
La competizione tra i due, nonché il contrasto tra il talento puro e cristallino di Rukawa e l’ammirevole abnegazione di Sakuragi, è metaforicamente simbolo di come si possa raggiungere lo stesso obiettivo pur percorrendo due percorsi diversi.
Rukawa il predestinato, e Sakuragi quello che il suo destino se lo costruisce, mattoncino mattoncino.
Grazie a loro, al capitano Akagi e all’innesto di due top player, sotto le veci dell’allenatore “Anzai”, che sembra tutto fuorché “Il diavolo dai capelli bianchi”, il liceo dello Shohoku formerà un vero e proprio dream team che passerà agli annali come “il temibile Shohoku del genio Sakuragi”.

Dimenticatevi il “tiro della tigre” e la “catapulta infernale”.
Seppure il plot volutamente comico/demenziale e lo spiccato umorismo di Inoue facciano di “Slam Dunk” un fumetto principalmente divertente, ciò che accade in termini di pallacanestro è abbastanza credibile e realistico, nonostante più che liceali giapponesi certi giocatori sembrano top player NBA(stazze comprese); ma è un compromesso accettabile dato che giova all’opera in termini di spettacolarità (uno spokon simulativo su scolari che infilano una tripla su 10 non avrebbe intrattenuto nessuno). Le partite sono estremamente coinvolgenti, raccontate con un ritmo incalzante, che va piano piano rallentando man mano che il match entra nella fase calda per aumentare il pathos.

Se si dovesse descrivere questo fumetto con una parola probabilmente la più appropriata sarebbe “passione”.
Quella dell’autore verso la pallacanestro e quella del protagonista verso la pura competizione.
Totalmente estraneo al basket a inizio manga e visceralmente appassionato poi, Hanamichi è allegoria perfetta del lettore medio giapponese che partendo da neofita, (proprio come il protagonista) pagina dopo pagina finisce inevitabilmente con l’appassionarsi a questo sport, fino addirittura a ritrovarsi alle volte con la palla in mano in qualche campetto di periferia.
Prima che in “Slam Dunk” a livello di mainstream la pallacanestro in Giappone si era visto solo in alcuni episodi di “Dash Kappei”, conosciuto in Italia come “Gigi la trottola”, ed il coraggio di Inoue nel mettere su carta uno sport cosi misconosciuto nella sua patria fu figlio proprio di quella pura e indomabile passione sopraccitata, trasformando un potenziale salto nel vuoto in un best-seller mondiale. Da gregario di Tsukasa Hojo (“City Hunter”) Inoue ne ha fatta di strada, quel talentuoso ragazzino relegato ad assistente si è trasformato nell’idolo di intere generazioni.

Il tratto del mangaka è tra i più invidiati di tutto il Sol levante, e se appare ottimo già da subito riesce addirittura a migliorare in corso d’opera, raggiungendo apici davvero sbalorditivi, come la scenografica schiacciata di Rukawa nella partita contro il Kainan.
Si passa da una maniacale cura per le maglie dei giocatori (ispirate tra l’altro a reali squadre NBA come Los Angeles Lakers e Chicago Bulls) a sbalorditivi primi piani oculari. La stessa cura non sempre è riservata ai fondali, ma l’azione, che in uno spokon è fondamentale, è resa con un dinamismo che solo Murata e pochi altri riescono a far trasudare dalle proprie tavole. Per le scene comiche l’autore utilizza invece uno stile deformed, dal tratto stilizzato e caricaturale, grazie al quale i personaggi assumono espressioni facciali che fanno sganasciare dalle risate.

Tra i personaggi spicca senza dubbio l’incommensurabile eco di Sakuragi; Inoue prende la demenzialità di Goku “imbastardendola” un po’ a sua discrezione, la infila dentro uno stangone di 187 cm dai capelli rossi e confeziona un personaggio memorabile. Hanamichi non ha la
classe di Rukawa, il palleggio di Miyagi, o il tiro di Mitsui, ma prova a limare il gap con un costante allenamento giornaliero sui fondamentali, sopperendo alle sue lacune tecniche grazie a notevoli doti fisiche, tra cui un‘incredibile elevazione.
La sua perseveranza, il suo essere sempre sopra le righe ed il suo trascinante carisma, lo hanno reso uno dei personaggi più iconici dell’universo manga.
Non sarà raro vederlo autoproclamarsi Dio del basket quando di fatto è l’anello debole del quintetto Shohoku. Nonostante lo spiccato charme il protagonista non oscura i comprimari, che malgrado qualche stereotipo risultano tutti funzionali e ben caratterizzati, catturando spesso la scena grazie a spettacolari giocate cestistiche.

All’inizio il fumetto sembra meno basket-centrico di quello che si rivela poi essere, ed i rapporti interpersonali lasciano spazio a partite si al cardiopalma, ma che potrebbero non coinvolgere fino in fondo chi è indifferente allo sport. Il debole riscontro mediatico che “Slam Dunk” ha avuto in Italia lo dimostra. Durante una lettura del genere avere una parvenza anche minima di vena agonistica è utile ad immedesimarsi quel tanto che basta a cambiare radicalmente la valutazione finale sul prodotto, da mediocre a capolavoro assoluto. Questo, oltre al prematuro e inaspettato finale, è forse l’unico vero limite di “Slam Dunk”.

Un’opera seminale, appassionante, forse il miglior spokon di tutti i tempi insieme a “Rocky Joe” ed uno dei più influenti insieme a “Capitan Tsubasa” e “L’uomo Tigre”.
“Slam Dunk” è un punto fermo del fumetto sportivo, una storia semplice che riesce nell’arduo compito di insegnare facendo ridere.
Una lettura che dovrebbe concedersi chiunque e senza remore, perché nessuno dovrebbe fare a meno di sapere che c’era una volta lo Shohoku... del genio del basket Hanamichi Sakuragi.

Voto: 9.5