logo AnimeClick.it

-

Che forma ha la voce?
Chi non può sentire è costretto a “vederla”.
Che rumore fa il dolore?
Scommetto che a questa domanda, invece, sapremmo rispondere tutti, anche se si tratta di qualcosa di astratto. Per ognuno di noi questo rumore è differente, eppure sappiamo tutti da dove provenga. E, quando ci accorgiamo che siamo stati noi a provocare quel rumore, sotto sotto non rimaniamo mai del tutto indifferenti, anche se spesso, esternamente, facciamo di tutto per apparire tali.
Lungo, sofferto, introspettivo, lento quando ci fa riflettere, rapido quando ci sorprende. “La forma della voce” è un messaggio di sensibilità a tutti gli esseri umani. Veicola precisi messaggi che è davvero difficile trattare con tanta delicatezza, e, al tempo stesso, tenacia e sfrontatezza: la questione della disabilità nel mondo moderno, oltre le barriere architettoniche o mentali, oltre le grandi metropoli o le campagne sperdute; il bullismo scolastico e minorile verso gli indifesi e i più fragili; la fragile psicologia dei più giovani e le difficoltà a relazionarsi con gli adulti.
È quel genere di lungometraggio che ti rimane dentro per tanto tempo, e accade dopo averti preso a sberle e a carezze nel giro di due ore scarse. È come quell’amico che, anche se ti sta dicendo cose difficili da ascoltare, sai che ha ragione, e, anche se può far male, non smetti di ascoltarlo. È quella piccola storia di tutti i giorni a cui abbiamo assistito e, nel peggiore dei casi, di cui siamo stati protagonisti.

In un Giappone di metropoli tecnologiche, dove tutto pare funzionare alla perfezione, avanti su tutti i fronti per accogliere i disabili e i loro problemi, facciamo la conoscenza con una classe di ragazzini allegri e scalmanati, fra cui spicca Shouya, il bulletto che tutti noi abbiamo potuto conoscere o incontrare alle elementari o alle medie. È amato dai suoi compagni, fa spesso cose spericolate o stupide, e poi se ne vanta: si mostra forte, i suoi amici più stretti lo idolatrano e tentano di imitarlo. Un po' come tanti di noi, quando eravamo piccoli, spavaldi, incoscienti, e ignoravamo cosa fosse davvero la vita.
Un giorno, in classe arriva una nuova compagna: il suo nome è Shouko. È molto carina, ma... c’è un muro che la divide dal resto di questo mondo perfetto, costruito su misura per gente “normale”. La giovane è sorda, e di conseguenza non riesce a comunicare con la voce in modo corretto e comprensibile, a parte suoni disarticolati, poco chiari e spesso anche fastidiosi da sentire. Per usare un eufemismo: non è facile.
Sappiamo benissimo quanto non lo sia, o almeno crediamo di saperlo, perché, se non la viviamo da dentro, questa situazione non la potremo mai comprendere appieno. Più dura di quanto umanamente si possa immaginare.
Shouko cerca di mostrarsi il più disponibile, gentile, carina e affabile possibile, ma questo modo di proporsi, più passa il tempo, più viene inteso da alcuni compagni di classe come ruffiano e falso, un metodo per accattivarsi la loro simpatia, mentre in realtà si tratta solo di sforzi atti a farsi accettare, ingoiando ogni affronto, cercando di ignorare ogni momento di difficoltà, sorridendo anche dopo una tirata di capelli, una matita spezzata, un pranzo nel cestino, un calcio nella schiena.
Ma non basta. Non basta mai.
Shouko viene presa di mira da alcuni compagni, in primis proprio Shouya, che comincia a detestarla, e, come spesso accade quando i ragazzini fanno branco contro qualcuno, gli abusi, gli scherzi e i soprusi cominciano a prendere una piega decisamente eccessiva.
Accuse di bullismo, sospensioni, momenti difficili. Il film sbatte in faccia allo spettatore una realtà che tutti possiamo comprendere e purtroppo conoscere, piccoli frangenti di vita quotidiana triste e dolorosa, e lo fa senza remore: ogni cosa appare realistica, amara e, ahinoi, comune.
Scopriremo così che Shouko non sarà l’unica a dover affrontare le difficoltà del relazionarsi con altri, e che anche chi si mostra forte e propone una facciata coraggiosa e spesso refrattaria, in realtà soffre, e, se non riesce a gestire le conseguenze delle proprie azioni, spesso si ritroverà vittima di tali esagerazioni.

È questo l’inizio di una storia appassionante, sentita e coinvolgente, che porterà questi due ragazzi a conoscersi in un modo particolare, unico, forte ma delicato, timido ma intenso, un contrasto che appare così surreale eppure così normale.
Affrontare le proprie paure e i sensi di colpa, un periodo di minacciosa depressione, identificare la propria inadeguatezza verso il mondo intero come causa di sofferenza delle persone che si hanno accanto; sono tutte situazioni che si gestiscono male quando si è soli, quando si è adolescenti, e, soprattutto, quando si è innamorati.
Ma dentro si ha poca fiducia. L’amarezza covata, il dolore della solitudine, l’annaspare per trovare il proprio posto nella società, ognuno di questi passaggi è un rebus da risolvere che spesso sembra non avere soluzione, fino a quando non ci si sposta e non si cambia punto d’osservazione. È un maturare arduo e sofferto, perché il dolore, qualsiasi forma esso abbia, va attraversato, e non rifuggito, per poterlo sconfiggere definitivamente, e accettarlo come tale, poiché come ogni cosa che portiamo dentro non va ignorata, ma compresa ed estinta col tempo necessario.
È un lungometraggio incredibilmente maturo, ricco di sensibilità, capace di affrontare queste tematiche senza paura e anche di lasciarci importanti riflessioni in merito.
Di sicuro, aprire il cuore a chi ci circonda, soprattutto se non lo comprendiamo, è uno sforzo che ci apparirà difficile e quasi spaventoso, ma tutto parte proprio dall’imparare ad ascoltare.
E sentire una voce spesso non basta, è col cuore che si deve comunicare.

La colonna sonora rispecchia in modo eccellente la trama e amalgama il tutto con sequenze di pianoforte davvero indimenticabili; riesce a creare atmosfere perfette che calzano a pennello su una sceneggiatura che nella parte centrale sembra essere un po' in flessione, ma ci offre una parte finale davvero toccante.
Le animazioni e lo studio dei personaggi appaiono egregie. I colori, le ombre e le luci, le espressioni dei protagonisti, le pause nei dialoghi, il doppiaggio, ognuna di queste cose merita una menzione positiva.

Ribadisco: “La forma della voce” è quella piccola storia di tutti i giorni a cui abbiamo sicuramente assistito, e, nel peggiore dei casi, di cui siamo stati protagonisti, magari da un lato, magari dall’altro.
Parla di persone come noi, e lo fa in modo genuino e sincero. E vi farà commuovere in ogni caso.
Assolutamente da non perdere.