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Il film che inaugura lo stile e le tematiche distintive di Ozu nel dopoguerra, quelli per cui oggi viene ricordato come uno dei registi più influenti della scena internazionale, è Tarda primavera (Banshun, 1949), che segna anche l'incontro con la sua musa d’elezione, Setsuko Hara. La purezza incontaminata del volto della Hara e la visuale al livello dei tatami rappresentano la quintessenza dell'estetica di Ozu. Il film conquisterà il pubblico giapponese e il regista ripeterà lo stesso stile e gli stessi temi (con poche varianti) anche negli anni a venire, in un manifesto poetico che fa di questo autore una delle voci più alte tra quanti raccontano l’universo familiare al cinema.
Dal 1949 al 1963 (anno della sua morte) Ozu realizza tredici film, tutti sceneggiati dallo stesso regista e dal suo fedele collaboratore Kogo Noda, con una formula stilistica quasi immutata nel tempo e con tutti quei codici che rendono universali i suoi film: i dialoghi asciutti ed essenziali tratti dalla vita quotidiana, la semplicità degli ambienti, le rigorose geometrie delle inquadrature, un insieme di “quadri” che si succedono ordinatamente. I suoi personaggi non mirano a chissà quali chimeriche aspirazioni, cercano solo di conservare il delicato equilibrio del proprio nucleo familiare contro gli attacchi del tempo e le vicissitudini della vita.
Tarda primavera narra di una giovane donna (Setsuko Hara) decisa a non sposarsi per non lasciare solo suo padre, (Ryū Chishū, attore ricorrente nei ruoli di padre). Pur di convincerla a intraprendere la propria strada, il padre finge di volersi a sua volta risposare. Ozu applica tutte le componenti della sua regia con una tale sicurezza da evitare di mettere in scena i momenti salienti della vicenda narrata: per esempio non vediamo mai il futuro sposo, non assistiamo né alla richiesta di matrimonio né alla cerimonia nuziale, situazioni centrali che restano relegate ai margini del racconto, tutto concentrato sul rapporto padre/figlia. In questo caso il conflitto tra modernità e tradizione è bilanciato in modo inusuale tra i due protagonisti: la modernità è rappresentata dall’apertura mentale che induce il padre a rinunciare alla figlia purché sia felice; tradizione è l'ottusa ostinazione della figlia nel ruolo atavico di chi deve accudire al genitore rinunciando alla propria felicità.