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10.0/10
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Shinya Tsukamoto è senza dubbio uno dei maestri più rappresentativi del cinema orientale moderno, esponente principale di quella nuova ondata di cineasti di fine anni ’80, che avrebbero cambiato le sorti del cinema nipponico e influenzato numerose generazioni: nessuno meglio di lui riesce ad incarnare la definizione di autore di culto.
Egli è regista, sceneggiatore, produttore, scenografo, direttore della fotografia, montatore e a volte addirittura attore principale delle sue stesse pellicole; un autentico tuttofare del cinema, che riesce ad entrare in totale simbiosi con le opere create, in gran parte accomunate da una tematica sempre attuale: la disumanizzazione della vita nelle grandi città. Riflessione questa che ben si adattata alla Tokyo sempre protagonista dei suoi lungometraggi, rappresentata come minacciosa e ansiogena per chi la vive dall’interno.
L’esordio cinematografico, dopo una serie di corti e mediometraggi, non si sottrae affatto ai suoi canoni estetici, ma anzi detta la linea per tutta quella che sarà la produzione filmica successiva. “Tetsuo” è un indimenticabile inferno in bianco e nero, apice insuperato del filone cyberpunk, nonché punto di partenza per un’affascinante e disturbata riflessione sul rapporto fra uomo e tecnologia.

Un feticista del metallo (interpretato dallo stesso Tsukamoto) si ferisce gravemente alla gamba destra, per poi infilarsi un tubo di ferro nella carne viva. Questo è ciò che avviene negli angoscianti minuti iniziali del film, prima di una lunga serie di aberrazioni visive, tanto estreme quanto geniali, che andranno a caratterizzare il resto della pellicola. Fin da una sequenza così scioccante è ben chiaro che “Tetsuo” non si fermerà davanti a nulla: sarà la cronaca esplicita di una tremenda mutazione, un disturbante film-videoclip che, attraverso un meticoloso uso del sonoro, farà scivolare il pubblico nella follia dei suoi protagonisti.
“Welcome to the new world”, recita la scritta sulla carrozzeria dell’automobile che investe il feticista: un mondo in cui Tsukamoto ci conduce per mano e ci costringe a guardare una realtà nuova e una nuova carne fiorita di metallo, in puro stile cronenberghiano. Ed è proprio in questo universo ad entrare l’uomo venuto in contatto con il feticista: il tipico impiegato giapponese, oppresso ed imprigionato da una società che non ammette la diversità. È lui la vittima della vendetta del fanatico, nonché il primo esemplare di una trasformazione senza precedenti: ecco dunque il metallo farsi largo nella sua pelle e nelle viscere, come un cancro inarrestabile, alla stessa maniera di ciò che accadeva ad un altro Tetsuo, quello di “Akira” di Katsuhiro Otomo.
La trasformazione è lenta e inesorabile: il ferro contamina l’intimità del protagonista, prosciugandone la linfa vitale, annientandone tutti i bisogni e le passioni, dal cibo all’acqua, fino al sesso non più concepito come gioia ma come infinito dolore. Proprio questa sofferenza plasmerà un nuovo tipo di essere umano: un ibrido industriale di carne e metallo, finalmente libero senza più alcun vincolo sociale, che trova il puro piacere solo nel delirante amplesso finale con un altro suo simile.

Questa la storia che Shinya Tsukamoto si propone di filmare, attraverso un uso spregiudicato del mezzo cinematografico: bianchi e neri di inaudita violenza visiva che graffiano gli occhi dello spettatore, un montaggio frenetico al limite dell’epilessia, l’utilizzo dell’animazione a passo uno e tanti altri espedienti rendono lo stile del regista fin da subito estremamente peculiare e riconoscibile, capace di fare della miseria un valore aggiunto, grazie a trovate geniali che mascherano in modo impeccabile la povertà dei mezzi a disposizione. Con l’ausilio dell’oscura colonna sonora del compositore Chu Ishikawa, ricca di pezzi industrial memorabili ("Megatron" su tutti), il delirio non può che essere completo e totalizzante.
Ciò che scaturisce, dall’insieme di tante parti ben assemblate, è una delle opere cinematografiche più estreme di sempre, una scheggia impazzita che si insinua nel cervello del pubblico per contaminarlo ed infettarlo, esprimendo a pieno un’altra tematica assai cara a Tsukamoto: la sofferenza vista come unica possibilità di sentirsi vivi in un contesto urbano che castra le pulsioni degli individui. Argomento questo che avrà la sua naturale evoluzione in “Tokyo Fist”, sebbene non con la stessa carica visionaria.

“Tetsuo” è quindi un’opera difficile da seguire e sicuramente non per tutti, ma capace di sprigionare un fascino così potente da catturare a livello subliminale lo spettatore. Un unicum disturbante e allucinato nella storia del cinema, che ha aperto le porte ad una nuova concezione estrema del cyberpunk, mai più replicata da nessuno. Nemmeno dallo stesso Tsukamoto.