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9.5/10
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Un fumetto può cambiare il mondo?

Il sodalizio tra Naoki Urasawa e Takashi Nagasaki ha dato vita a trame magnificamente intessute, dopo aver già collaborato in “Monster” ma sopratutto in “Pluto” (è nell'opera tributo a Tezuka che Nagasaki ha contribuito alla stesura della storia) i due decidono di fondere nuovamente i loro geni creativi ideando “Billy Bat”.

Stati Uniti, 1949.
Kevin Yamagata è un autore di fumetti nippo-americano, il suo Billy Bat, un pipistrello detective umanizzato che si districa con fare eroico in un mondo di animali anch'essi antropomorfizzati, sta spopolando in America. Durante una perquisizione nel suo studio di disegno un poliziotto fa notare a Kevin come il suo Billy sia identico al personaggio di un manga pubblicato anni prima in Giappone. Yamagata convinto di non aver plagiato nessuno (almeno non consapevolmente) e che il suo sia il Billy originale, si reca a Tokyo per cercare di risolvere il mistero. Qui scopre che Billy Bat è molto più di un semplice pipistrello su carta, constatando come spesso ciò che ha raffigurato lui stesso nel fumetto abbia una tragica corrispondenza con ciò che accade nella realtà. Nel mentre un’organizzazione segreta sta cercando a tutti i costi di mettere le mani su un certo rotolo risalente al periodo Sengoku.

Urasawa si destreggia voluttuosamente tra le sue zone di comfort, permeando l’opera di quella magnetica suspense e un tocco di paranormale con cui ormai ha ampiamente consolidato la sua cifra stilistica.
Le fattezze cartoonesche e fumettose del personaggio di Billy Bat trovano un perfetto equilibrio con il tratto “realistico” con cui è rappresentato il resto dell’universo narrativo, sinergizzando in un contrasto armonico tra fumetto e metafumetto su cui l’intera opera fa leva.
Pur presentandosi con una formula all’apparenza particolarmente originale “Billy Bat” di fatto non porta nulla di veramente innovativo, il concetto di metafumetto era già stato visto in “Mangabomber” e poi in “Bakuman” opera parallela a “Billy Bat” in termini di pubblicazione; inoltre l’idea del protagonista accusato di plagio verso un altro autore venne a Stephen King in “Finestra segreta, giardino segreto” da cui è stato tratto anche un film con Jhonny Depp “Secret Window”. E qui la prima genialata di Urasawa: Il padre di Kevin Yamagata era un giardiniere ed un giorno inventò delle avanguardistiche tronchesi, disse dell’idea ad un suo amico che divenne ricco brevettando le cesoie al suo posto. “Non devi mai rubare le cose degli altri” furono le parole del padre di Kevin in punto di morte. Ecco che il plagio del protagonista assume un peso morale gravoso, che intensifica il racconto.
Urasawa come fonte d’ispirazione attinge anche dal suo stesso parco opere: Il fumetto Billy Bat che prevede il futuro ricorda il libro delle profezie di “20th Century Boys”, e Kevin Yamagata è un ibrido tra Kenji Endo e Kenzo Tenma, tra l’altro a metà opera il protagonista scompare per poi riapparire nel finale proprio come Kenji in “20th Century Boys”, quindi stessa scelta narrativa. Le tecniche di narrazione scelte da Naoki sono le tipiche a cui il mangaka ci ha abituato: abuso della sospensione e continui flashback e flashforward a cesellare una storia che si dipana su più piani temporali.

La caratterizzazione dei personaggi è al solito magistrale, e anche se probabilmente non si raggiungono i livelli di “Monster” “20th Century Boys” o “Pluto” restiamo su standard altissimi. Cito Kyoshi Kurusu, personaggio meravigliosamente tratteggiato, stesso nome di Sada Kyoshi il Sadakiyo di “20th Century Boys”, anche lui come Kurusu bullizzato da bambino, il cui epilogo sulla luna è davvero un tuffo al cuore. E il poco biasimabile “omicida” Lee Harwey Oswald, tra i personaggi riusciti meglio dell’intera carriera artistica urasawiana, la cui personalità è esempio di tridimensionalità caratteriale difficilmente riscontrabile in un manga, protagonista indiscusso di uno degli archi narrativi più avvincenti dell’opera in esame. Nell’universo di “Billy Bat” personaggi fittizi e personaggi storici riescono a coesistere perfettamente intrecciando i loro destini uniti da un unico fil rouge: il pipistrello. Si passa da Gesù Cristo a Francisco Xavier, da un cavernicolo all’invasione della provincia di Iga da parte delle truppe di Nobunaga (fondamentale per il rotolo), con la lente di ingrandimento puntata però sul XX secolo. È sui fatti più incisivi del secolo scorso che infatti gli autori decidono di concentrarsi maggiormente, spaziando dalla seconda guerra mondiale all’assassinio di Kennedy, dall’allunaggio fino alla caduta delle torri gemelle; contestualizzando perfettamente personalità del calibro di Hitler ed Einstein, protagonisti di un dialogo da pelle d’oca in un giardino d’autunno. Urasawa scompagina lo spartito reinventando una storia in cui qualcosa va come deve andare e qualcos’altro no, una realtà in cui la Coca-Cola si chiama Golden Cola e Godzilla Godzulla. È questa insolita mistura dal fascino abbacinante fatta di vero e falso, di bianco e nero, a rendere “Billy Bat” un unicum nel panorama fumettistico.

È bianco o nero? È quello buono o quello cattivo?

Soltanto alcuni personaggi hanno il cosiddetto “dono” che gli permette di vedere ed interagire con l’entità del pipistrello.
Ad un certo punto del manga si scopre che ci sono due pipistrelli: uno bianco ed uno nero, uno buono ed uno cattivo. Urasawa depista il lettore scherzando un po’ come piace a lui, persuadendolo che la risoluzione dell’enigma si celi dietro la dicotomia bene-male.
Se Kevin Yamagata rappresenta il fumettista che dopo una gavetta secolare raccoglie i suoi frutti, Kevin Goodman (il suo successore come ruolo di protagonista ed autore di Billy Bat) rappresenta invece la borghesia e le facili opportunità: è infatti il figlio del presidente della Golden Cola e di una carismatica immigrata africana.
Kevin e Kevin, due facce della stessa medaglia. Un nikkeijin e un afro-americano, un povero e un ricco, un bianco e un nero, appunto. Sembrerebbe quindi logicamente consequenziale identificare uno come il buono e l’altro come il cattivo.
Ma Kevin Goodman in realtà dista anni luce dagli archetipi del malvagio (a detta di Urasawa è il protagonista che maggiormente lo rispecchia nelle sue opere), il ragazzo dimostra la stessa abnegazione di Yamagata nello svolgere il suo lavoro, inoltre non utilizzerà mai i soldi della famiglia per facilitarsi il compito, preferendo piuttosto partire da zero come tutti i normali fumettisti. Nonostante una contestualizzazione volutamente agli antipodi i due protagonisti incarnano le stesse identiche ideologie, e qui abbiamo (oltre alla lapalissiana denuncia all’industria dell’intrattenimento) la più importante critica che gli autori spingono all’umanità: la polarizzazione.
Sin dall’alba dei tempi l’essere umano per semplificarsi i processi logici e la comprensione del “tutto” tende a raggruppare le sue concezioni cognitive in due macrocosmi: bene e male, bianco e nero, dimostrando una certa incapacità di guardare nel mezzo. Cercando di decifrare il criptico simbolismo urasawiano, notiamo come l’autore cerchi invece di mostrarci le sfumature, l’intersezione tra i due macrocosmi e i microcosmi che vi orbitano all’interno, trascinandoci in un luogo in cui non esistono buoni o cattivi, bianchi o neri, ma solo uomini con le proprie ragioni, i propri ideali, le proprie bandiere... come in guerra. Esplicativo in tal senso il finale, non istrionico come poteva essere lecito attendersi ma comunque soddisfacente (ehi è Urasawa) e coerente con l’opera nella sua interezza.

Numerosissimi i riferimenti, alcuni espliciti altri più velati: il maggior numero di reference se le accaparrano “il Dio dei manga” Osamu Tezuka ( il personaggio di Zofu è un forte tributo al creatore di Astro Boy) e senza dubbio Walt Disney (il villain principale Chuck Culkin è palesemente ispirato al papà di Topolino e anche il personaggio di Billy Bat è un chiaro riferimento a Mickey Mouse, con tanto di Billyland in Florida).
Questo fumetto è uno sfavillante turbinio citazionistico, un ribollente calderone atavico che inizia con Francis Ford Coppola e finisce con Stanley Kubrick, attraversando, con veri e propri viaggi nel tempo, la storia, la musica, l’arte e la cultura pop in generale.

Se non vi piace Urasawa difficilmente questa lettura saprà farvi ricredere. “Billy Bat” è la consacrazione di una semantica autoriale tra le più riconoscibili in terra nipponica, e si presenta con i classici stilemi urasawiani senza se e senza ma; ciò nondimeno potrebbe rivelarsi l’opera perfetta per approcciarsi a un autore che, a conti fatti, si conferma di volta in volta una delle penne più raffinate delle nona arte.
Un manga sulla forza salvifica del fumetto, inteso non come mero intrattenimento, ma come importante mezzo divulgativo di un messaggio con cui è addirittura possibile salvare il mondo.
Si nota il solito (stavolta leggero) calo nel pre-finale, piccolo neo che non intacca un prodotto di tale levatura, ma che comunque è giusto sottolineare.
Personalmente in questa storia ci avrei visto bene inseriti anche i “Beatles” e “Lady D.”, ma di certo la carne al fuoco non manca.
Un Urasawa acronico, ispirato, tanto nel classico caratteristico tratto quanto nella raffinatissima trama al cardiopalma, confeziona un’opera ambiziosa, colta, ricercata, 20 volumi di pura epicità fumettistica.
La fotografia di una fotografia... migliore dell’originale!

Voto: 9