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Attenzione: la recensione contiene spoiler

La seconda stagione di "Kimi ni Todoke" porta a compimento, dopo un percorso di trentasette episodi complessivi, l'Odissea amorosa di Shota e Sawako. E per lo stile e l'impostazione narrativa non è né superiore né inferiore alla precedente: è coerente e resta con gli stessi limiti e pregi della prima serie.

Constando della metà degli episodi della prima stagione, la seconda si concentra esclusivamente sui protagonisti, immergendoci assieme a loro nel loro surreale cammino di avvicinamento reciproco (il titolo "Arrivare a te" è quanto mai esplicativo del leit motiv della storia), fino al coronamento dei loro sentimenti: le scene finali sono pregne di significato e cariche di emozioni e sentimenti. La felicità che provano Sawako e Shota è qualcosa che colpisce per come viene comunicata dai dialoghi, dalle espressioni e dalla dolcezza degli sguardi.
Ma quello che mi ha colpito di più è lo "stupore" che provano entrambi per il rapporto speciale che inizia a legarli l'una con l'altro: un po' lo stupore di un bambino di fronte a un regalo inaspettato e molto gradito, un dono atteso da tanto tempo e che è costato sofferenze, e che una volta raggiunto/ottenuto trasfigura i protagonisti, tanto da renderli quasi "metafisici". Non sto esagerando: gli ultimi episodi dalla dichiarazione in poi diventano una sorta di elegia o celebrazione del loro amore, tanto da esserne così permeati e meravigliati, da non curarsi di quanto pensano gli altri, e con una forza e coraggio non comuni per due ragazzi di sedici anni si dichiarano e confermano il loro amore davanti a tutti, smentendo tutte le malelingue e le convenzioni/stereotipi che li volevano agli antipodi.

"Arrivare a te" sembra una sorta di metafora della fiaba del "brutto anatroccolo", Sawako, sbeffeggiata e emarginata solo perché incapace di farsi valere, tanto da essersi convinta che deve solo ringraziare se qualcuno le dedica un minimo di attenzione e scusarsi immediatamente se crea un minimo fastidio con la sua semplice presenza...
E così, "Arrivare a te" diventa più o meno consapevolmente un invito coraggioso a non tradire mai ciò che si è, anche quando non solo non si ricevono conferme dagli altri ma anche e solo cattiverie...
Sawako potrebbe, in qualche modo, rassegnarsi alla sua situazione, vivere passivamente le cattiverie che riceve e incassarle, ma continua ad essere sé stessa e a guardare agli altri sempre in modo positivo nonostante tutto. E in questa situazione Shota, a sua volta un "brutto anatroccolo" mascherato da cigno, coglie la natura vera di Sawako e ne rimane affascinato, tanto da non riuscire a farne a meno.
In tutto questo, si capisce la vera essenza della chimica della loro storia; la cattiva Ume alla fine riassume il senso della sconfitta, ammettendo e accettando che il problema del suo amore non corrisposto non era rappresentato da Sawako ma da una precisa scelta di Shota: quella di non aver occhi se non proprio per Sawako. Era sicuramente più facile prendersela con la debole e la emarginata del gruppo, per demolirla agli occhi di Shota, oggetto del desiderio di uno stuolo di ragazzine, senza voler accettare che proprio Shota non era interessato a tutte coloro che a turno si dichiaravano a lui o mettevano in atto i soliti giochetti e sotterfugi per mettere i bastoni tra le ruote delle pretendenti.

"Kimi ni Todoke", al di là della classica storia d'amore asessuata, tutta timidezza, sospiri, tremori, tachicardie, balbuzie, arrossamenti, equivoci, travisamenti, ecc. tipici degli shoujo classici, nasconde anche un messaggio di forza istintiva da parte di Sawako e Shota a non arrendersi e a non "omologarsi" a ciò che vorrebbe il "mainstream".
E così può essere visto come un percorso di ricerca e crescita della propria individualità attraverso l'affermazione e la determinazione a raggiungere ciò che si vuole senza condizionamenti, e a godere della felicità che se ne può trarre.
Che è poi l'incipit del passaggio dalla fanciullezza all'adolescenza, per poi confluire verso la fase adulta. E così il brutto anatroccolo è divenuto cigno: Sawako e Shota sono sé stessi e nello stesso tempo sono altro. Chi li vede al termine dell'anime non può fare altro che constatare cosa sono diventati, prima "meravigliandosi" e poi, alla fine, "ammirandoli" con (o senza) invidia.