Il Giappone è in continuo bilico tra il passato e il futuro, tra le tradizioni e il rinnovamento, e quando è il nuovo a prevalere sull’antico ci si chiede se non si stia ponendo fine, senza alcun riguardo, a importanti tradizioni.

Kabuki-za naruto ed edward

Nella fattispecie il quartiere di Ginza è stato inserito in un piano di riqualificazione e di modernizzazione per stare al passo con i trend iper-tecnologici della capitale. Così, secondo un progetto presentato l’anno scorso dalla Shochiku Corp al comune di Tokyo, un grattacielo di 29 piani in superficie e 4 sottoterra sostituirà l'attuale struttura del Kabuki-za, gota del tradizionale teatro kabuki e forse il teatro più famoso del Giappone.

I lavori cominceranno durante il mese di maggio, con la demolizione, e dovrebbero durare tre anni, concludendosi nel 2013, con una spesa stimata di 43 miliardi di yen (circa 38 milioni di euro).
La nuova location del Kabuki-za occuperà i primi quattro piani dell’edificio; il quinto piano, invece, sarà occupato da un’ariosa terrazza a mo’ di giardino pensile. I restanti piani saranno adibiti a tutti i fenomeni che ruotano intorno all’universo kabuki, quali scuole di recitazione, danza, trucco, atelier per i costumi e uffici vari, in modo tale da coltivare “in casa” i nuovi talenti.

Kabuki-za nuovo proggetto (hamtaro)L'amministrazione di Tokyo sostiene che si tratta di un pregevole programma volto a valorizzare uno dei patrimoni culturali della tradizione teatrale giapponese; per molti invece si tratta all’opposto, ovvero di un sacrilegio e della fine di un’era.

La tanto amata, e odiata, struttura attuale è il risultato della sbrigativa ricostruzione post-bellica del 1950, ed è stata eretta sulle fondamenta di un edificio antecedente, costruito nel 1889 ma rimaneggiato poco dopo, a causa di un incendio, e poi di nuovo, nel 1923, per via di un terremoto. Le linee del teatro quadri-piano evocano le forme tradizionali dei castelli giapponesi, strizzando un occhio alla strutture dei templi: tetti incurvati e lanterne rosse di cartapesta sono lì a ricordarci di un più quieto passato, ormai svanito. Si tratta di elementi architettonici in stridente contrasto con l’acciaio, il vetro e le luci sgargianti impiegati nelle nuove costruzioni del frenetico distretto commerciale di Ginza.

La Shochiku Corp sostiene che un intervento è necessario poiché l’edificio non rispetta le norme anti-sismiche, non è dotato di ascensori e quindi non è accessibile ai portatori di handicap; tuttavia, per tranquillizzare gli animi, promette di riutilizzare elementi della facciata originale nei primi piani della struttura.

Durante tutto il mese di aprile il Kabuki-za è stato uno degli obiettivi più fotografati di Tokyo, e anche gli artisti di strada lo hanno dipinto, nel tentativo d'immortalarne per sempre il ricordo. Davanti all’entrata era posto uno schermo con un enorme “count-down” che mostrava i giorni rimanenti, mentre uno striscione campeggiava sulla facciata annunciando le ultime repliche dello spettacolo “Kabuki-za Sayonara performance”.
Ed eccoci giunti al 30 aprile 2010: in questo giorno il sipario è calato per l’ultima volta a salutare questo pezzo di storia, e dinanzi al teatro si è riunita una folla composta da donne nei più fini kimono, da estimatori, turisti e curiosi, tutti ansiosi di potere assistere all’ultimo “canto del cigno”.

Ma “The show must go on!”. Una volta demolito il vecchio teatro, in attesa dell’inaugurazione del nuovo, gli spettacoli verranno dirottati in altri teatri di Tokyo (in primis nel Shimbashi Embu) e dell’intera nazione; insomma una tradizione così importante non può essere interrotta a causa di “lavori in corso”.

Uno sguardo fuori e dentro al Kabuki-za prima della demolizione.



Dicevamo che per più di mezzo secolo il Kabuki-za è stato la “casa” per eccellenza del kabuki. Ma cos’è il kabuki? Ecco qui di seguito qualche piccola indicazione generale.

La parola kabuki è formata da tre ideogrammi: 歌 ka (canto), 舞 bu (danza), 伎 ki (abilità). A livello fonetico kabuki deriva dal verbo kabuku, ovvero “essere fuori dall'ordinario”.
E sicuramente il kabuki è fuori dall’ordinario, poiché ha riunito in sé, in un' “unica” commistione, tutte le forme precedenti del teatro giapponese: in primo luogo il teatro noh (teatro tragico di alta levatura culturale) e il kyougen (teatro comico), ma anche il bunraku (teatro delle marionette).

Il kabuki è una forma di dramma teatrale nata intorno al 1603 (periodo Edo), sulle rive del fiume Kamo a Kyōto, da danze eseguite da un gruppo di danzatrici sotto la guida di Izumo no Okuni, la fondatrice di questo genere teatrale. Inizialmente vi recitavano solo donne, ma in seguito, dal 1629, a causa della smisurata popolarità delle attrici e ai conseguenti comportamenti di malcostume, tutti i ruoli divennero prerogativa maschile, e gli uomini che recitano ruoli femminili sono denominati onnagata.

Il kabuki, nato come forma popolare d'intrattenimento, era particolarmente apprezzato nei centri abitati. Presso i chōnin (la classe emergente di mercanti borghesi), rappresentava fatti realmente accaduti, fungendo così da vero e proprio mezzo di comunicazione e informazione sugli accadimenti storici. Le opere rappresentate a partire da questi ultimi, i jidai-mono, raccontavano quindi di battaglie, guerre, duelli e della vita dei samurai; si tratta di tragedie austere, alleggerite soltanto da dei momentanei sprazzi di comicità, i cui testi sono prevalentemente tratti dal bunraku.
In seguito vennero rappresentati anche accadimenti della vita quotidiana o domestici, i sewa-mono, ovvero intrighi famigliari, grandi amori, drammi e suicidi; qui a differenza dei primi vi è un effetto d'irrealtà, poiché vengono accentuati aspetti superficiali quali l'elocuzione e i colori anziché la consistenza logica della trama.
Infine, il terzo genere del kabuki, lo shosagoto, è costituito da danze dal particolare potere suggestivo; in genere si tratta di una storia completa, ma talvolta le opere sono fatte solo di danze frammentarie da inserire nei due precedenti generi.

Trailer di "Sagi Musume", un esempio di shosagoto



Cosa spicca agli occhi di un “profano” occidentale?
- Il trucco, un fondo di mascheroni bianchi, oshiroi, fatti di polvere di riso, ravvivato da linee colorate e in cui ogni colore ha un significato;
- i costumi, le maschere e le scenografie sgargianti, che sono il principale motivo del duraturo successo di pubblico, specie tra gli stranieri, che non capiscono la lingua e non possono seguire la trama;
- la musica, il pizzicato degli strumenti a corda (specie lo shamisen), i flauti e la percussione dei tamburi e delle bacchette di legno, che sono una presenza costante che accompagna tutta la rappresentazione;
- la recitazione, una cantilena costante (specie nei monologhi) senza variazioni di tono, che alcuni potrebbero ritenere monotona, se non snervante;
- le movenze, fatte di gesti stereotipati e studiati nei minimi particolari, persino in quelli più insignificanti, che si avvicinano spesso più alla danza che alla recitazione;
- gli urletti, “youh”, continui;
- le mi, posizioni tipiche che stabiliscono i ruoli, durante le quali il personaggio resta immobile come se stesse giocando a “un due tre stella”, poiché in pratica sta lì pietrificato;
- i macchinari di scena, come pedane rotanti, botole, che fanno apparire e scomparire i personaggi, e palcoscenici estendibili a ponte verso il pubblico, gli hanamichi.

Ne desumiamo che per diventare attori di kabuki sono richiesti impegno e bravura, necessari per affrontare, sin dall'infanzia, la speciale preparazione nelle arti della danza, della recitazione, del trucco e della musica tradizionale giapponese. Arti che si possono “dominare” solo con l’esperienza che solitamente viene tramandata di padre in figlio, in famiglie di tradizione teatrale, finanche per diciassette generazioni.

Per chi volesse approfondire segnalo un bellissimo articolo sul sito nipponico.com e la puntata di Super Quark “Shogun il grande samurai” andata in onda martedì 5 gennaio 2010, in cui Piero Angela intervista un attore del teatro kabuki.

Infine, vi lasciamo all’interessante video Kabuki Theatre dell’Unesco.