Vi proponiamo il report di un'interessante intervista a Dai Sato, sceneggiatore di titoli di successo (Cowboy Bebop, Eden of the East, Ergo Proxy, Eureka Seven, Samurai Champloo e Ghost in the Shell: Stand Alone Complex), rilasciata dal sito Otaku2.com. Di seguito, la traduzione dell'articolo scritto da Patrick W. Galbraith:

Dai Sato, sceneggiatore di fortunati titoli animati del calibro di Cowboy Bebop e del recente Eureka Seven, ha partecipato ad una tavola rotonda di discussione nell'ambito di una conferenza intitolata Cultural Typhoon e tenutasi nel mese di luglio 2010 presso l'università giapponese di Komazawa; accanto a lui hanno presenziato anche il regista cinematografico Katsuya Tomita e il giornalista di musica Shin Futasugi.
Inizialmente era previsto che la conferenza, della durata di due ore, fosse di tipo accademico e abbracciasse questioni ad ampio raggio, dato anche il titolo del tema da analizzare: "Vivere in città: hip hop, anime, case popolari". Sato ha invece preso l'iniziativa, parlando per la maggior parte del tempo ed esternando alcune delle sue più profonde preoccupazioni relative all'attuale situazione del settore dell'animazione nipponica.

Dai Sato

Sato ha fornito una visione personale piuttosto scettica sugli anime, affermando che "non si possono fare gli anime come vogliamo" e riferendosi in particolar modo alla dipendenza nei confronti dei sub-appaltatori per le intercalazioni, o fotogrammi intermedi. I sub-appaltatori talvolta non sono affatto consci del tipo di prodotto su cui stanno lavorando, il quale di conseguenza rischia di perdere di spessore e coerenza.
Secondo Sato, questo fatto era evidente già lavorando in Macross, in cui la "continuità tra le immagini è a dir poco terribile, e tuttavia da allora non abbiamo fatto che ripetere lo stesso meccanismo di lavoro".

A causa dell'imponente dipendenza dagli appaltatori asiatici, Sato ha denunciato apertamente l'ideale del "Cool Japan". Secondo lo sceneggiatore, gli anime non sono un fenomeno "cool", perché invece si dimostrano resistenti alle mode del momento, e nè tantomeno essi sono veramente un prodotto nipponico. Sato si è dimostrato critico nei confronti dei vari politici e promotori di turno, i quali utilizzano l'idea del "Cool Japan" essenzialmente per i propri scopi personali.
"L'orgoglio giapponese è una parte del progetto nazionale" ha affermato, ma "Si tratta soltanto di una facciata, poiché la maggior parte delle persone non ha alcuna idea di chi ci sia dietro la produzione", sia che avvenga in Giappone o, più genericamente, in una qualsiasi altra parte dell'Asia.

Arjun Appadurai lo chiama "Il feticismo della produzione", e lo descrive come "Un'illusione creata dal modello di produzione transnazionale contemporaneo: dietro le apparenze nasconde capitale translocale, flussi di profitti transnazionali, gestione globale e manodopera localizzata molto lontano, impegnata su diversi fronti con operazioni ed allestimenti ad elevato contenuto tecnologico. Tutto ciò si riunisce in uno spettacolare idioma che suggerisce la sensazione che esista un controllo di tipo locale, una produttività nazionale e una sovranità territoriale, laddove nella realtà questo non c'è. Il concetto di "località", sia nel senso di sito di produzione locale, che nel senso esteso di stato nazionale, diventa un feticcio che cela forze globalmente disperse, le medesime realtà che guidano il processo di produzione". Una definizione, questa, che sembra fornire una descrizione piuttosto calzante degli anime giapponesi.

Dai Sato Macross

Sato ha poi rivolto un'accusa nei confronti degli specialisti del settore dell'animazione, i quali si rifiutano di insegnare ai sub-appaltatori asiatici le tecniche di lavorazione più sofisticate, oppure il metodo di elaborazione delle sceneggiature, e il motivo è di facile intuizione: la trasmissione di conoscenze rilevanti minerebbe la posizione di supremazia del Giappone nella produzione di anime. Nessuno investe in questo campo, quindi tutti gli asiatici non-giapponesi rappresentano un tipo di manodopera di basso profilo, a buon mercato e si adopra per svolgere mansioni meccaniche e ripetitive.
Sato ha identificato questo meccanismo come un problema fondamentale nell'animazione moderna nipponica, un aspetto di questo settore che lo sceneggiatore contrappone a Hollywood, un ambiente che invece ha accolto registi e manodopera specializzata proveniente da tutto il mondo.

Un'ulteriore ed interessante affermazione dello sceneggiatore spiega una delle ragioni per le quali la Cina è un luogo privilegiato per l'outsourcing degli anime: agli estremisti cinesi, che comunque godono di un'ottima istruzione, viene negato l'accesso alle buone offerte di lavoro. Inoltre, essi devono sottostare all'obbligo di risiedere all'interno di circoscritte aree geografiche, le quali sono poi diventate un nucleo industriale pulsante per tutta l'animazione nipponica: in queste zone concentrate si rinviene facilmente un tipo di manodopera che sa scrivere correttamente in ideogrammi cinesi, che ostentatamente copia i disegni degli anime, e che soprattutto ha un estremo bisogno di trovare lavoro. Che si tratti di un aneddoto veritiero o meno, Sato lo ha raccontato come valido esempio per dimostrare le pratiche di sfruttamento e la natura gerarchica della produzione di anime.

Dai Sato Eureka 7

Sato si è poi mostrato piuttosto seccato di fronte alla mancanza di rispetto che in Giappone si respira per le storie raccontate negli anime, puntualizzando a titolo di esempio che Ergo Proxy, di cui ha scritto lo svolgimento, è un titolo presente mediante box DVD nei negozi specializzati di in tutto il mondo, ad eccezione del Giappone.
Sato si è affrettato ad aggiungere che molti appassionati di anime hanno scartato a priori la visione di Eureka Seven, considerandolo un clone di Neon Genesis Evangelion senza nemmeno guardarlo. La storia, l'ambientazione e i personaggi sono del tutto differenti, ma ci sono comunque stati secchi pregiudizi basati sulle immagini di una misteriosa ragazza dai capelli blu e dagli occhi rossi che pilota un robot gigante, e sia i personaggi di Rei Ayanami (Evangelion) che di Eureka (Eureka Seven) corrispondono alla descrizione.

Sato è arrivato a chiedersi quanto i fan siano interessati a procedere a letture approfondite, prima di generarne informazioni a singhiozzo, come da classica definizione delle abitudini degli otaku, dall'epoca di Toshio Okada. Soltanto poche persone, forse davvero nessuna, ha proseguito Sato, sono interessate a conoscere il significato dei titoli degli episodi, o il motivo per il quale un determinato mecha fosse chiamato DevilFish o infine quale fosse il riferimento per l'utilizzo della denominazione Summer of Love: in quest'ultimo caso, Sato ha velocemente spiegato che si trattava di un omaggio alla cultura rave in Giappone.
"Purtroppo credo che i fan stiano perdendo la propria alfabetizzazione sui media, l'abilità di leggere la narrativa e le storie, d'intuirne i significati nascosti tra le righe, e persino la curiosità d'interrogarsi su di essi", è stata l'amara considerazione dello sceneggiatore.

Dai Sato Moe

Proprio in qualità di sceneggiatore, Sato si è cimentato in un dibattito piuttosto spinoso per quanto riguarda il ruolo delle storie all'interno degli anime giapponesi, dolendosi del fatto che i propri lavori siano stati etichettati come "difficili" (muzukashii-kei), all'opposto di quelli di "blanda atmosfera" (kuuki-kei): nei titoli kuuki-kei non accade mai nulla di rilevante, non esiste alcun sviluppo narrativo, nessuna trama significativa. Sono opere che tendono a focalizzarsi su personaggi carini o moe, riuscendo ad essere molto popolari tra i fan di quest'ultimo genere. Secondo Sato, figure professionali come la sua non ottengono progetti di lavoro, nemmeno se nel frattempo "Hollywood prosegue nello strapparci le idee, e ci riesce benissimo".

Sato non ha detto di avere in antipatia lavori di "blanda atmosfera" come K-On!, ed anzi ne apprezza gli incredibili design; inoltre non critica il fan service perché va ricordato che se molti registi cinematografici giapponesi sono giunti dall'ambiente dei film di genere "rosa", molti animatori provengono invece da esperienze di lavoro professionale con materiale erotico (doujinshi, eroge o ero-anime e manga).
Il desiderio sessuale è una parte fondamentale della pulsione creativa; è soltanto deleterio, però, se questa spinta viene diretta esclusivamente verso i personaggi, sprecando tempo nel mostrare quanto essi riescono a far apparire carine le immagini e i movimenti dell'anime in generale. Ciò mette a repentaglio precisamente quel tipo di movimento che caratterizza l'anime in quanto tale, ovvero lo stimolante lessico visivo emerso negli anime televisivi a partire dagli anni '70.

Poi c'è anche la questione relativa al rischio che si abbassi il livello intellettuale degli anime: "Nessuno vuole saperne di conoscere i NEET, o disoccupati", afferma Sato. "Piuttosto, tutti preferiscono guardare un gruppo di studentesse liceali che creano un complesso musicale e si chiedono "come si suona questa nota?" ". Arrivato a questo punto della conferenza, Sato è diventato livido e si è rivolto con rabbia a coloro che "adooooooooorano gli anime ♥ (anime daichuki)": "Se stiamo sempre a fuggire dalla realtà e dai suoi problemi, quando mai li affronteremo?".

Dai Sato Ergo Proxy

Le ambientazioni che negli anime riproducono più o meno fedelmente dei luoghi reali, costituiscono secondo Sato un problema altrettanto di rilievo: "E' come un'ossessione per noi che lavoriamo nel settore dell'anime". Stimola incredibilmente il turismo, e rende i fan più che soddisfatti, ma "Quando guardo gli anime di oggi, mi rendo conto che non ci è rimasto più un briciolo di orgoglio".
Gli anime sono diventati un "Super sistema collaudato", dove niente può più mutare facilmente. E' un sistema che si sta muovendo verso il modello di Akihabara, con l'importanza dei personaggi, delle immagini, del merchandising, e che Sato vede come una vera e propria perversione dell'idealismo delle origini. In altre parole, significa svendersi.
"Hayao Miyazaki invece era un comunista" ha tuonato Sato infervorandosi sempre più: "Lui voleva combattere il sistema, e aveva ragione!".

Prima di concludere, Dai Sato ha elogiato il rap e l'hip hop in ambito musico-culturale: secondo lo sceneggiatore, sembra che questi movimenti siano tuttora "underground" e di conseguenza le persone in quest'ambito non tradiscono sé stesse a favore di una facile fama di carattere commerciale. Sato ha poi paragonato il manga al rap, perché nella produzione di materiale scritto sono necessarie meno persone, e gli autori tendono a non "svendersi" facilmente.
Il parere di Sato è che anche gli otaku e i rapper non siano poi molto differenti tra loro: essi focalizzano la propria attenzione su qualcosa, e comunicano attraverso la creazione e al tempo stesso facilitando la creazione di nuovo materiale. La convinzione che l'otaku sia diverso dagli altri gruppi giovanili, o che sia in qualche modo migliore o peggiore di qualcuno di loro, è soltanto un'esagerazione mediatica. Persino se il settore commerciale intendesse ignorare qualche autore di proposito, ci sono comunque le doujinshi, o le "super indies" amatoriali, che potranno facilmente riscattarne la popolarità.
Il manga è il terreno da cui gli anime tradizionalmente hanno tratto le proprie storie e la creatività, ma anch'esso sta facendo sempre più affidamento sugli anime. E secondo Sato, "Il manga è l'ultimo porto saldo. Se si perderà quello, non ci sarà più alcun anime".

Ascoltandolo mentre descrive ciò, sembra che Sato stia consapevolmente combattendo contro gli attuali trend degli anime e che al tempo stesso stia cercando di creare storie forti ed originali, attaccando con fervore le storie di tipo "kuuki-kei" e "sekai-kei": in quest'ultimo caso, assistiamo a storie in cui i problemi personali di qualcuno vengono equiparati ai problemi del mondo intero, senza che vi sia alcun intervento nè interessamento da parte della società o dello Stato. Di conseguenza, Sato ha descritto Ergo Proxy e Eden of the East come anti-sekai-kei.
Certamente le questioni sociali sono al centro della serie di Eden of the East: Dai Sato ha confessato di essere stato in parte ispirato a scrivere sulle difficili condizioni dei giovani giapponesi, perché si trovava a Koenji quando Amateur Rebellion (shiroto no ran) stava facendo uso della candidatura di Hajime Matsumoto per fare campagna elettoraale di fronte alla stazione dei treni. Il risultato fu una serie di eventi live all'aperto e manifestazioni hip hop, portati avanti da DJ e alternati a cori che cantavano "non lavoreremo (hatarakanee zo)".
La gioventù disoccupata raccoltasi nel centro commerciale abbandonato in Eden of the East era un riferimento a questi "morti viventi". Andando nei sobborghi e vedendo le case popolari, Sato ha percepito città svuotate senza più energie, senza persone giovani, senza un futuro.

Dai Sato Eden of the East

E gli anime, hanno un futuro?
Le cupe previsioni di Sato dicono che gli anime si esauriranno in Giappone nel giro di pochi decenni.
Tuttavia, lo sceneggiatore di Eureka Seven vuole continuare a realizzarli, proprio perché confida fino all'ultimo che questo triste scenario non si verifichi; e per questo, conclude "Mi sto dando da fare affinché ci sia sempre un nuovo progetto su cui lavorare".