Yamato Video New LogoIl sito di Yamato Video ci segnala le proprie novità in pubblicazione e altre iniziative riguardanti il mondo dell'animazione e dei manga.


I piccoli ninja di Takashi Miike
27.05.10

Circola sconcerto tra gli appassionati del regista Takashi Miike (Audition). Dopo il fortunato Yatterman che a suo tempo ha conquistato anche il pubblico italiano del “Far East Film Festival” di Udine, il genio ribelle del V-Cinema nipponico ha annunciato un nuovo adattamento dagli anime.
Si tratta di Nintama Rantaro, tratto da un lavoro di Sobe Amako, trasformato nei primi anni Novanta in serie animata di successo da NHK. Sconcerto comprensibile visto che, a differenza della svagata materia narrativa di Yatterman, la serie è dichiaratamente per un pubblico di giovanissimi. Nintama Rantaro è ambientato in epoca Sengoku e racconta le avventure del piccolo Rantaro e dei suoi amici, tutti apprendisti ninja, in una speciale scuola per guerrieri. Nintama è la contrazione di “ninja” e “tamago” (uova): giusto per farci intuire il clima poco serio dell’opera.
L’esordiente attore Seishiro Sato di appena otto anni si è aggiudicato il ruolo principale. Molti si chiedono che ne sarà del cinema estremo e geniale di Miike, uno che – lo sanno i suoi più fedeli collaboratori – gira un film dietro l’altro in tempi brevissimi e con quello che capita sotto mano. Soprattutto: perché mai tanta attenzione per anime e manga?

Mario Rumor


Un nuovo libro su Isao Takahata
24.05.10

Isao Takahata BookO meglio, un poderoso saggio di ben 254 pagine dedicate al suo film più celebre, dopo Una tomba per le lucciole. Parliamo ovviamente del classico Hols no Daiboken (1968) che qui da noi è stato ribattezzato La grande avventura del piccolo principe Valiant. Direttamente dalla Francia, patria d’adozione del regista giapponese e la sola ad avere distribuito nei cinema tutti i suoi film (perfino il doppio mediometraggio del 1972 Panda Kopanda), lo studioso Stéphane Le Roux ci offre un punto di vista finora inedito. Una trattazione del film che somiglia tanto a una particolareggiata radiografia cinematografica, ma pure un coraggioso esempio di come, e quanto, si possa ancora scrivere su quel cinema animato lontano anziché liquidarlo come nota in margine nella carriera di un grande testimone della storia degli anime giapponesi.

Intitolato Isao Takahata. Cinéaste en animation: Modernité du Dessin Animé, il volume non manca di svelare chi sia Isao Takahata e di contestualizzare il periodo di formazione presso lo studio Toei Doga nei primi anni Sessanta. Il libro parte sicuramente avvantaggiato dalla mole di materiale a disposizione (qualche traduzione dal testo storico Hols no Eizoyugen scritto appositamente dal regista, e le conferenze tenute dallo stesso a Parigi nel 2003) e dalla voglia di affrontare quel classico del cinema animato con piglio da Cahiers du Cinéma. Il dietro le quinte di Hols è quindi un accessorio utile fino a un certo punto, considerato che l’autore del saggio parte alla carica con un’analisi “tecnica” cercando di intravedere nei primi lungometraggi di casa Toei qualche traccia del suo passaggio (in particolare in Anju to Zushiomaru del 1962), per meglio comprendere la maturità artistica e le velleità autoriali comprese fra le pieghe narrative di Hols. Ne esce un testo che gli studenti universitari dei corsi di Filmologia di sicuro troveranno parecchio avvincente, utile a delineare un percorso che Takahata cercò poi, al meglio delle possibilità, di replicare anche nelle pellicole successive o nelle produzioni televisive degli anni Settanta. Il solo rammarico è quella attenzione a metà che Le Roux riserva ai film successivi, non così piena e ricca come invece in Hols. Dello stesso autore in arrivo per l’editore Harmattant un secondo volume tutto dedicato al cinema di Miyazaki, in uscita per la prossima estate.

Stéphane Le Roux
Isao Takahata. Cinéaste en Animation: Modernité du Dessin Animé
Editions L’Harmattant, pp. 254, € 24,50
http://editions-harmattant.fr


Mario Rumor


Patlabor on Television (ma in DVD)
19.05.10

Patlabor Yamato 01Correva l’anno 1988 e sul mensile “Shonen Sunday” faceva la comparsa il plotone di polizia robotica più famoso del momento: Mobile Police Patlabor. Non tutti sanno che il progetto era stato concepito molto tempo prima, non come serie di OAV né a fumetti. Per l’esattezza, quasi dieci anni prima durante un’amichevole conversazione tra il disegnatore Masami Yuki (un tizio agli esordi che spediva fumetti parodia al magazine “Out” e faceva da assistente a Kaoru Shintani) e l’animatore e mecha designer Yutaka Izubuchi. Erano gli anni, favolosi, in cui una intera generazione di giovani spettatori, quasi tutti innamorati di Corazzata Spaziale Yamato, sognava di entrare nel mondo del cinema animato dalla porta principale. Le idee erano una più avvincente dell’altra: nostalgiche o ripiegate su quella stessa mitologia “anime” che essi adoravano. Ma c’era pure spazio per l’improvvisazione e la formulazione di idee che avrebbero gettato terreno fertile per numerose serie Tv (vedi alla voce: Macross), anime destinati all’home video (e si pensa a Dallos, di Mamoru Oshii) e così via. Ebbene, la conversazione tra Yuki e Izubuchi svolazza in aria per un po’ ma alla fine atterra e si concretizza nel migliore dei modi possibile. Oggi Patlabor infatti è un marchio di fabbrica che consta di un fumetto (firmato proprio da Yuki e in Italia pubblicato da Star Comics), due serie di OAV, tre film, una serie televisiva di 48 episodi, una parodia in super deformed più qualche light novel. Niente in confronto alla saga monstre di Gundam, eppure in qualche misura entrata di diritto nel recinto ipercritico e possessivo degli otaku – i modellini dell’Ingram, il robot guidato dalla protagonista Noa Izumi, saranno come ovvio supporre la ciliegina sulla torta per gli appassionati di collezionismo.

Se l’idea di partenza coniugava in senso autoritario le parole “polizia” e “robot”, ci vuole un ingrediente ancora prima che Patlabor possa avere un suo peso specifico sulla scena. Anzi: una serie di ingredienti portati da altri artisti nel frattempo convolati nel gruppo Headgear, in pratica dietro la genesi della serie (anche per ragioni pratiche che cercavano di tenere in disparte Shogakukan, l’editore di Yuki). Tre persone. Lo sceneggiatore Kazunori Ito, coinvolto nel progetto fin da subito visto che la coppia Yuki/Izubuchi gli mandava da leggere le proprie idee. La di lui moglie, Akemi Takada, che i fan di animazione conoscevano bene per Lamù e Creamy. E un regista: Mamoru Oshii, arruolato nella squadra per ultimo giacchè serviva da completamento artistico di rilievo per sottoporre alle major il progetto. Un primo passo viene tentato all’incirca nel 1983, cercando l’approvazione di Sunrise, ma lo studio rifiuta. In seguito Patlabor viene riproposto direttamente come serie di OAV a Bandai che accetta, pensando anche al mercato dei modellini. È sotto il loro patrocinio se la Tokyo del futuro (o meglio, quello che per loro, nel 1988, sarebbe stato il futuro spostando in avanti l’orologio di dieci anni) prende forma senza troppi sensazionalismi tecnologici da sci-fi impegnata; ma con un occhio sempre aperto sulle magagne che, puntualmente, oggi ci ritroviamo a vivere. Terrorismo, catastrofi ecologiche, genetica, criminalità al passo con la tecnologia. Da subito la serie rivela un lato realistico che piace ma al tempo stesso scombussola le attese del pubblico. Del resto, quello di Patlabor è un comune plotone di polizia, coadiuvato “soltanto” da giganti di metallo in veste di sbirri mossi da un software.

Patlabor Yamato 02Il bello è che, parola di Masami Yuki, il tracciato realistico è venuto fuori del tutto inconsapevolmente. Anime e manga percorrono nel frattempo una strada parallela, e già questa è una novità per l’industria dell’intrattenimento animato. Dopo i primi sette episodi per l’home video, parte la serie televisiva: più vicina alle storie e alla successione cronologica degli eventi del fumetto che Yuki stava disegnando. È il 1989 e Mamoru Oshii decide quindi di affiancare un sontuoso film di 100 minuti che riazzera quasi tutto, portando dentro di sé – e più precisamente nelle sequenze iniziali – qualcosa che era stato già mostrato in Tv: il labor impazzito, senza nessuno ai comandi, che semina panico e distruzione dell’episodio 5, “Labor X-10 fuori controllo!”. Sarà questo lo spunto per la storia del programmatore folle Eiichi Hoba che fa impazzire i labor di tutta l’area metropolitana di Tokyo. Quando l’anime televisivo si conclude, l’azione prosegue e si rituffa nei 16 OAV del 1991 (alcuni dei quali piccoli gioielli narrativi concepiti da Oshii). La singolarità del dna robotico di Patlabor pare risiedere invece nei lungometraggi (il secondo firmato da Oshii nel 1993 sembra una replica dell’episodio “Il giorno più lungo” parte I e 2 della prima serie di OAV, ma invece è una riflessione filosofica che anticipa i temi delle future pellicole del regista), realizzati allo scopo di girare intorno alla mitologia della serie ma con storie più mature e spesso slegate dal clima cameratesco e simpatico della serie.

Patlabor Yamato 03Ne è un esempio WXIII Patlabor the Movie 3 (2001), realizzato da Fumihiko Takayama con pochi superstiti dello staff originale (Yutaka Izubuchi e Shoji Kawamori al mecha). Un film adulto che congeda i personaggi storici immergendosi in un’atmosfera mystery e fantascientifica che non ha mai convinto totalmente il pubblico, nonostante la lavorazione impegnativa iniziata nel 1998 e un battage pubblicitario importante. Alla fine Mobile Police Patlabor è qualcosa di molto più semplice. È la storia di un gruppo di poliziotti ordinari ed eroici comandati dall’irreprensibile Capitano Kiichi Goto, a sua volta sorvegliato amichevolmente dalla collega Shinobu Nagumo. I sottoposti della Seconda Sezione sono: Noa Izumi innamorata del suo labor Alphonse (chiamato come il cane e il gatto); il riflessivo Asuma Shinohara; il gigante buono Hiromi Yamazaki; il docile Shinshi Mikiyasu; l’impulsivo Isao Ota e il supervisore Clancy Kanuka (arrivata direttamente da New York). Tanto svitati e dentro la parte da risultare veri. Fino al parossismo, se ripensiamo all’attrice e doppiatrice Miina Tominaga che vestiva come il suo personaggio Noa in una delle tante guide alla serie. Come a dire che Patlabor forse è più vero di quanto si creda. Tipo: un giorno, a pattugliare le strade l’umanità si ritroverà davvero ad ammirare questi colossi alti dieci metri, con la segreta speranza che niente vada mai storto e che il futuro sia meno complicato di quanto non lo abbiano immaginato Yuki e Izubuchi. Pure con il sorriso sulla bocca.

Mario Rumor
© HEADGEAR/EMOTION/TFC All Rights Reserved © Yamato srl. per l’edizione in DVD


Ritorna Superobot 28
17.05.10

Super Robot 28 Box 01Col quel suo naso a punta e lo sguardo immobile e fisso, il colosso di metallo Tetsujin 28 è un cimelio della storia dei robot giganti di manga e anime che non puoi dimenticare. Verrebbe da dire: un robot per ogni stagione. E la creazione del disegnatore Mitsuteru Yokoyama (Babil Junior, Sally la maga) pubblicata su “Shonen” a partire dal 1956 non fa eccezione, considerato il clima storico e politico che si portava dietro e raccontava. Non soltanto un “pezzo di ferro” guidato dal piccolo Shotaro, ma il rimasuglio di un armamento bellico che – dopo il trattato di pace firmato con gli Americani – sul suolo giapponese neanche dovrebbe esistere. Tranne che nella fantasia. Esiste nel 1955 come simbolo di una tecnologia distrutta sotto i bombardamenti degli Alleati, ma riattivata dall’innocenza di un ragazzino che, così facendo, ripara le colpe del padre – tra coloro che durante la Seconda guerra mondiale crearono Tetsujin 28. Oggi il suo cuore batte per scopi pacifici e umanitari. E siccome i cattivi non muoiono mai, la Terra ha bisogno di eroi, ingombranti e impacciati nei movimenti fin che si vuole, ma comunque indispensabili. Da quel dì, Tetsujin 28 non è stato più soltanto un fumetto di Yokoyama ma anche serial radiofonico e popolare telefilm dal vero prodotto da Nippon TV nel 1960 con gli attori Shoichi Naito (il piccolo Shotaro) e Yoichiro Mikawa (il professor Shikashima). Un fenomeno che l’anime in bianco e nero ha poi amplificato. La storia continua: nel 1980 Tokyo Movie Shinsha si lancia in una seconda stagione di quella serie, la realizza ovviamente a colori e la propone al pubblico con un mecha aggiornato.

Super Robot 28 Box 02Pure Shotaro ripone nell’armadio la cravatta e la giacca a quadri del tempo che fu per indossare un più confortevole look da teenager giapponese degli anni Ottanta. Il resto non cambia più di tanto. La corazza di Tetsujin 28 è messa a lucido e il suo nome da queste parti diventa Superobot 28. Un classico che ritorna in DVD e che offre ai fan l’occasione di riscoprire una serie piuttosto avvincente e in linea con l’euforia robotica di quegli anni. Quando cioè un colosso di metallo, con o senza pilota, edulcorava gli interminabili conflitti ai danni dei giapponesi (i più sfigati sul piccolo schermo, sempre minacciati da avversari in vena di apocalisse) e riportava i personaggi in prima linea con le loro debolezze, l’esaltante gusto della vittoria e il desiderio di somministrare pace universale. La gestione anni Ottanta di Superobot 28 vede alla regia un veterano come Tetsuo Imazawa (Moby Dick 5), il mecha di Minoru Maeda (Touch) e una particina di Hayao Miyazaki – all’epoca dipendente scontento di Tokyo Movie Shinsha – in veste di disegnatore dell’episodio numero 8. Vedere per credere. Imazawa ci riproverà ancora nel 1992 con Tetsujin 28 Go-Fx. Invece i risultati migliori li troviamo nella serie del 2004 portata sul piccolo schermo da un esperto come Yasuhiro Imagawa (Giant Robo), autore tre anni più tardi di un film, Tetsujin 28 – Hakuchu no Zangetsu (2007). In mezzo a tale florilegio di metallo da combattimento, il buon robot di Yokoyama ha pure ripreso le “fattezze” dal vero con un film di Shin Togashi: Tetsujin 20 – The Movie (2005). Se poi anche quel geniaccio di Mamoru Oshii ha annunciato di voler mettere mano a questo indimenticabile classico, beh, ne vedremo sicuramente delle belle.

Mario Rumor
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