Grazie alla disponibilità di Alessandra Sciamanna, Fulvia Fasano e Gaia Morrione della sezione Occhio sul mondo – Focus del Festival Internazionale del Film di Roma abbiamo potuto assistere alle proiezioni dedicate al cinema nipponico e ad alcune conferenze stampa in modalità di "tavola rotonda" con massimo una ventina tra giornalisti ed appassionati di siti interessati al Paese del Sol Levante; e ora siamo pronti a fare rapporto!

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BOX: THE HAKAMADA CASE


Box – The Hakamada CaseBox – The Hakamada Case (titolo originale: Box - Hakamada Jiken Inochi Towa) è un film diretto da Banmei Takahashi, basato su un vero caso di omicidio e di mala giustizia accaduto in Giappone nel 1966.

Protagonisti ideali della pellicola sono due uomini, la cui vita scorre parallela sino al giorno del loro fatidico incontro, che segnerà, sebbene in modi diversi, una tappa fondamentale e indelebile del loro cammino. Da una parte Iwao Hakamada (interpretato da Hirofumi Arai), arrestato con l’accusa di aver ucciso l’intera famiglia del suo datore di lavoro, dall’altra il giudice Kumamoto (interpretato da Masato Hagiwara), chiamato all’arduo compito di giudicare un uomo la cui sorte pare ormai segnata.

Sin dal primo momento lo spettatore viene immerso in una realtà densa di ipocrisia, in cui Iwao Hakamada viene bollato come l’autore dell’efferato delitto in forza di una presunta pericolosità legata al suo essere ‘esterno’. Segnato quindi da un marchio indelebile, Hakamada diventa oggetto di una vera persecuzione, in cui non c’è spazio per la verità, offuscata invece da un’ossessiva ricerca delle prove necessarie per condannare chi doveva essere l’autore degli omicidi, perché così era stato deciso. Questa follia non si ferma neanche di fronte all’assoluta mancanza di riscontri, anzi in quel momento si passa un altro limite, Hakamada, infatti, viene arrestato e sottoposto a 235 ore di interrogatorio, al cui termine, dopo essere stato soggetto ad ogni tipo di vessazione, fisica e verbale, arriva una confessione, che tuttavia è misura della disperazione di un uomo che, pur di non dover subire altro, è disposto ad andare incontro alla pena di morte come via di fuga. Nel dramma spicca la figura del giudice Kumamoto, incapace di sopportare una situazione che ai suoi occhi appare assurda, tuttavia, neanche lui riesce a reagire di fronte all’inesorabile avanzata del ‘sistema’ nipponico, che, non solo vince, condannando Hakamada, ma travolge Kumamoto che non poteva, o forse non doveva, avere più spazio in un realtà in cui ancor più della giustizia contano i pregiudizi.

Quanto emerge dal film non è solo un sistema giudiziario arretrato, quasi tribale in alcuni suoi aspetti, ma soprattutto un’ipocrisia di fondo dell’intera società giapponese che ben emerge nella figura dell’ispettore, pronto a fabbricare prove false, ma disposto ad usare persino la violenza per difendere la sua onorabilità. Non diversa è la società giapponese, che nel silenzio sopporta una pratica barbara e incivile, una forma di pena di morte che fa quasi impallidire la tanto vituperata lapidazione; i condannati, infatti, passano decenni in una cella di isolamento, senza essere informati della data dell’esecuzione, ma, con sfoggio di incredibile crudeltà, lasciati nella paura di poter morire in ogni istante, un terrore che porta alla pazzia nella maggior parte dei casi e che si conclude con l’impiccagione di ultrasettantenni. Non solo, per rendere ancor più sadica questa pratica, la famiglia del detenuto, priva del diritto di poter incontrare per un ultima volta il proprio caro, viene informata incidentalmente dell’avvenuta esecuzione tramite un gentile invito delle autorità a ‘rimuovere’ la salma.

Box – The Hakamada Case è quindi un film decisamente crudo, con una fortissima critica alla società giapponese, in cui, più che gli eventi, a pesare è il senso di impotenza che grava sui protagonisti, una sensazione che non sfocia in un lieto fine, perché nel 2010, a più di 30 anni dagli eventi narrati, Iwao Hakamada, ormai folle, aspetta ancora la sua esecuzione.

Per quanti di voi fossero interessati ad approfondire il caso, Amnesty International ha dedicato una pagina del suo sito ad Hakamada.



Autore: Horus


AUTUMN ADAGIO

AUTUMN ADAGIOAutumn Adagio - 不惑のアダージョ Fuwaku no Adaajo il titolo originale - è un film interpretato da Rei Shibakusa, doppiatrice di Nana nonché curatrice delle musiche della pellicola in qualità di esperta pianista, per la regia di Tsuki Inoue alla realizzazione del suo primo lungometraggio.
Autumn Adagio narra del compimento dei quarant’anni – età con cui, nella cultura nipponica, si identifica il conseguimento della maturità, come sottolineato dal vocabolo originario Fuwaku che riassume in sé entrambi i significati, sebbene in lingua inglese si sia optato per un riferimento stagionale in una traduzione libera eppure valida, dacché, attingendo da un’omofonia largamente apprezzata nella tradizione poetica del Paese del Sol Levante, si allude al termine delle passioni, e non a caso i caratteri di Fuwaku significano appunto “nessun sentimento, asentimento”- e del rapido sopraggiungere della menopausa da parte di una suora di professione cristiana cattolica, Mariko.

Colta da una crisi psicologica non dissimile dalla prima pubertà, Mariko è costretta dalla sua coscienza a confrontarsi nuovamente con la sua scelta di indossare la veste scura e a decretarne la bontà oppure l’avventatezza.
Anima e corpo intorpiditi dalla fredda nebbia di una routine molle e ripetitiva, Mariko sente riaffiorare in sé un tenace anelito destato dall’incontro con tre uomini totalmente differenti tra loro, i quali, inconsapevolmente, le mostrano gli aspetti positivi e negativi di un’esistenza che ha deciso di consacrare al prossimo piuttosto che assaporare per se medesima.
Così, il primo individuo che assiduamente tenta di avvicinarla si scopre essere uno stalker, il che riflette le ombre oscure e sordide che l’affetto maschile può ingenerare; il secondo, tramite il rapporto deteriorato con la propria madre, le consente di comprendere le gioie e i dolori della maternità; e, infine, l’affascinante istruttore di danza presso la scuola dove Mariko brevemente lavora come accompagnatrice al pianoforte permette al suo cuore di provare il calore di un’affezione benefica e giovanile.

Vi sono tuttavia alcune doverose precisazioni da formulare: innanzitutto, la regista Tsuki Inoue, al contrario di quanto si potrebbe immaginare a una scorsa alla trama, non ha preferito come protagonista la figura di una religiosa allo scopo di denunciare una qualche fallacità insita nel sistema clericale e/o monacale, né tantomeno per corroborare la tesi di una presunta superiorità di uno stile di vita maggiormente ordinario: a parer mio, Tsuki Inoue ha preferito una persona di chiesa poiché, con il suo modus vivendi imperniato su gesti abituali e solitari e su di una forte interiorità, Mariko è nella condizione migliore per avvertire, spiritualizzare, e illustrare allo spettatore un cambiamento fisiologico e psichico con cui ogni donna deve inevitabilmente rapportarsi.
Nulla potrebbe essere più avulso dalla maniera in cui molti registi occidentali avrebbero dipinto la vicenda: Sorella Mariko non rinnega mai se stessa e la sua vocazione, e l’attrazione che avverte nei confronti del sensuale insegnante permane affine a una acuta nostalgia e percezione di ciò a cui ha rinunciato, il quale mai le è risultato vivido a tal modo come adesso che deve risolversi ad accettarne il definitivo distacco, e l’unica esperienza carnale che sperimenta non viene di certo ricercata bensì la sospinge a proseguire sul sentiero che ha da lungo tempo calcato.



In linea con il tran tran quotidiano della protagonista, Autumn Adagio si sviluppa principalmente con un susseguirsi di estese inquadrature fisse che continuano anche per una manciata di secondi seguente l’effettiva uscita di scena dei personaggi e un sapiente uso simbolico dei colori, della fotografia e della colonna sonora – un comparto questo fondamentale anche nella precedente lavorazione della Inoue, The Woman Who Is Beating The Earth -, un ensemble orchestrato al fine di suggerire il complesso percorso interiore dell’eroina.
Insieme a cammei di empatica dolcezza quale la parte in cui Mariko spiega a una bambina sulla soglia della adolescenza il significato della fertilità paragonando delle foglie rosse, Leitmotiv che ricorre nel corso dell’opera, a dei biglietti che il Signore generosamente regala al gentil sesso per un limitato lasso di tempo, Autumn Adagio è una produzione di rara delicatezza alla quale un Teatro Studio dell’Auditorium della Musica in Roma inaspettatamente gremito ha reso un giusto omaggio.

Autore: Shaoranlover



THE INCITE MILL

THE INCITE MILL10 ragazzi -6 uomini e 4 donne- accettano la proposta di un lavoro part-time decisamente insolito: Esser controllati 24 ore su 24 da alcune telecamere per un' intera settimana, in uno spazio completamente isolato dal resto del mondo. A spingerli è la "modica" cifra di 112mila Yen all'ora che, moltiplicati per le ore dell'intera settimana che passeranno insieme lì dentro, raggiungono in totale 18 milioni di yen, ovvero più di 150 mila € nostrani. Una cifra nient'affatto ignorabile per un "lavoro" all'apparenza così semplice. Arrivati nel luogo dove passeranno un'intera settimana in compagnia di perfetti sconosciuti, vengono accolti da un robot che vaga sul soffitto e da 10 raccapriccianti statuette dall'aspetto d'Indiani d'America, che introdurranno ai presenti le regole del "gioco". Regole che, a causa della loro schiettezza, mettono da subito in guardia i partecipanti da un eventuale mistero che puzza altamente di pericolo. E detto, fatto, il mistero non si fa aspettare: immediatamente la mattina seguente viene trovato fucilato uno dei partecipanti, il meno gradito a causa della sua voglia di metter zizzania fra i compagni. Viene incolpato, per mano di colui che si improvvisa "detective", senza alcuna prova e senza aver controllato le armi che ognuno dei quali ha trovato nel box della propria stanza, il più sospettabile che viene di conseguenza scaraventato in una specie di "cella" dal robot che continuamente li sorveglia. Il giorno dopo per terra un altro cadavere, questa volta quello della donna più anziana delle 4 del gruppo: Si sparge il panico. I rimasti, consapevoli del fatto che il vero assassino è ancora in mezzo a loro, cominciano a non fidarsi di nessuno, nemmeno di loro stessi.  E, come se non bastasse, il giovane e pacifico Yuki trova nella sua stanza una pistola, cosa che vuole incolparlo d'esser stato lui il vero assassino. La situazione continua ad aggravarsi, fintanto che ognuno, malgrado la propria innocenza, si ritrova a dover compiere crimini per volersi difendere da un eventuale colpevolezza e per evitare di essere la prossima vittima. Chi riuscirà -se ci riuscirà- a svelare l'arcano e a evitare di morire in quest'inferno sotterraneo?

Una domanda a cui sapranno rispondere soltanto coloro che sono stati Martedì 2 Novembre all'anteprima italiana del Film nella sezione fuori concorso Focus-Occhio sul mondo di quest'edizione del Festival del Cinema di Roma. Un'occasione a dir poco imperdibile per riuscire a vedere quest' autentica perla del "soft-horror" nipponico, ultimo film del sensei dell'horror giapponese Hideo Nakata che purtroppo, per promuovere il film in patria, non ha potuto rispondere all'appello qui a Roma. Uscito nelle sale giapponesi lo scorso 16 Ottobre e tuttora 3° al botteghino cinematografico, The Incite Mill riesce in meno di due ore a sconvolgere l'atmosfera insidiando quest'aria di terrore e di continua suspense, nella quale il pubblico si sente avvolto insieme al cast del movie. Un cast di primo piano con giovani stelle del calibro di Tatsuya Fujiwara e Haruka Ayase, il primogià conosciuto per i suoi notevoli ruoli nel film di Battle Royale e nei live action di Death Note, nonchè per aver prestato la voce a Spiller nell'ultimo film della Ghibli, Arietty, che insieme si contendono i ruoli di giovani protagonisti.
Dopo tutti i successi sfornati durante la propria carriera (basti soltanto ricordare il successo avuto con i 2 capitoli di The Ring), Nakata torna nei cinema con un horror basato sul tormento psicologico e lo fa in grande stile, mettendo in mostra un "Grande Fratello del Terrore",volto adenunciare una società capitalistica, quella giapponese ma che quella occidentale non può vantarsi d'essere da meno, pronta a tutto pur di trovare audience e aver successo e denaro. Il film, per tutta la sua durata, non perde mai quel filo di mistero e di suspence, che si vedono poi essere i punti cardine dello sceneggiato. Ma non soltanto l'horror la fa da padrone in questo lungometraggio. Un apprezzato spazio della storia è dedicato alla sottile storia d'amore fra i due giovani personaggi principali. Una storia d'amore iniziata prima dell'inizio di questo esperimento atroce, che viene mostrata attraverso un breve flashback iniziale, quando la ragazza mostra al giovane in un market l'offerta part-time ricevuta sul suo cellulare e dalla quale parte tutto, destinata a diventare sempre più intensa durante questo "gioco". Cosa che suona come un paradosso in un film horror, ma che si fa sempre più interessante fino all'ultimo minuto. Interessante è anche il fatto che, nonostante il prodotto cinematografico sia catalogato come un perfetto horror, e quindi VM18, il film non degenera mai in nessun modo, non mostrando nè scene di nudo o di sesso nè scene ad alta dose horror volte a suscitare un tremendo disgusto. 

Sicuramente in Italia il film non farà il giro delle sale e forse nemmeno verrà distribuito nel mercato home-video, ma una cosa è certa: Se doveste trovarvi di fronte a questo film (e se siete anche vogliosi di qualcosa che non sia eccezionalmente "da paura") non potete lasciarvelo sfuggire.






TOILET

TOILETAlla morte della madre, tre fratelli si trovano a dover convivere nella stessa casa con la nonna materna giapponese. L' improbabile famiglia è composta da Ray, chimico dall' indole fredda e tranquilla appassionato di anime robotici e collezionista di modellini di Gundam, Lisa, studentessa universitaria nichilista, e Maury, pianista che non esce di casa da quattro anni per via di problemi psichici. A loro si aggiunge colei che i tre chiamano "Baachan" (nonna), la loro misteriosa e taciturna nonna materna, che non parla una parola d'inglese e passa lungo tempo in bagno a sospirare, nascondendo chissà quali pensieri.

Questa la trama di Toilet, quinta opera della giovane regista Naoko Ogigami (Megane, Kamome shokudou, Yoshino's barber shop). La "toilet" del titolo è un superaccessoriato gabinetto di produzione nipponica, che si fa metafora dell' incontro fra due culture, quella americana dei tre fratelli e quella giapponese della nonna. Toilet è un film sulla famiglia e sulla mescolanza delle culture. I tre fratelli impareranno, nel corso della storia a convivere fra loro (e con le loro stranezze) e a far aprire il cuore della silenziosa, enigmatica e anziana signora che è entrata all'improvviso a far parte della casa, aprendosi a loro volta ad un mondo e ad una cultura che gli sono estranei. La pellicola, girata in Canada, ha un ritmo molto lento e si fonda su pochissimi personaggi e ambienti (perlopiù domestici) che si contano sulle dita di una mano, alla cui testa c'è proprio il bagno, elemento simbolico più importante della vicenda.

Intervistata nella breve "round table" che ha preceduto la proiezione del film al Festival del Film di Roma, la regista ha dichiarato che Toilet è un film in cui ha inserito numerosi elementi autobiografici, a partire dall' idea di base, ossia quella di incentrare un film su un bagno che fosse metafora di incontro fra culture e intimità familiare, per finire con i personaggi strambi, apparentemente freddi, otaku e appassionati di robotica e scienza ma in realtà molto sensibili. Senza dimenticare la presenza del cibo, spesso presente nelle opere della Ogigami, l'ambientazione americana (la regista, all'età di 22 anni, si trasferì negli Stati Uniti per studiare cinema, inoltre non è la prima volta che un suo film è girato all'estero e ha come tema l'interculturalità) e le citazioni all'animazione giapponese e al mondo degli otaku, elementi che l'autrice reputa parte del mondo attuale, definendosi, scherzosamente, un po' otaku anche lei.
Sebbene una distribuzione italiana del film sia probabilmente fuori discussione (il film è stato girato in lingua inglese e proiettato in Giappone in pochissime copie ed era presente al Festival del Film in versione sottotitolata in italiano), l' autrice si è detta molto felice di partecipare a questa rassegna sul cinema orientale nel nostro paese e ha sperato che gli spettatori cogliessero l' ironia e l' umorismo della sua opera.



Autore: Kotaro


IN GALLERY:

- nella prima riga Autumn Adagio incontro con la regista Tsuki Inoue; (Foto di Shaoronlover)

- nella seconda riga Ikebana sul Red Carpet, composizioni del maestro Shogo Kariyazaki: 800 orchidee bianche, rosse e rosa danno colore ad una "impalcatura" verde composta da intrecci di canne di bambù; (foto di ReiRan)

- nella terza riga "round table" con Naoko Ogigami regista di Toilet. (foto di Kotaro)