Sengoku Basara headPaese del Sol Levante, seconda metà del XVI secolo: a causa della corruzione, dell’avidità e dell’ignavia del clan shogunale Ashikaga a cui spetterebbe il compito di governare la nazione in nome dell’Imperatore, il Giappone è devastato da decenni di tumulti che vanno sotto il nome di Epoca Sengoku (戦国時代 Sengoku Jidai), o degli Stati Combattenti, durante la quale numerosi feudi, ormai indipendenti dalle maglie del potere centrale, danno inizio a uno stato di guerra senza precedenti per accrescere i loro domini. Le agitazioni avranno termine solo con l’avvento dei Tre Riunificatori, Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi, e Tokugawa Ieyasu, così definiti per aver riunito nella realtà storica il paese sotto l’ala di un nuovo shogunato.
Questo è il panorama storico in cui è calato un fortunato titolo Capcom per PS2, Sengoku Basara (戦国 BASARA), noto in occidente come Devil Kings, capostipite non solamente di un brand che conta già ben cinque capitoli, ma anche ispiratore di più rivisitazioni manga, una delle quali di recente pubblicazione in Italia per JPOP - e a cui l’editore ha dedicato un ricco focus on - e una trasposizione anime in due stagioni, di cui la prima ha come nemesi Oda Nobunaga, la seconda Toyotomi Hideyoshi; la presente recensione si focalizza sulla prima, andata in onda a partire dal 1 Aprile 2009.

Come in un gioco di scatole cinesi, Sengoku Basara a sua volta attinge da una visione storica alternativa secondo cui Oda Nobunaga, benché un’autorità cardine per la storiografia, viene considerato un indegno aguzzino, colpevole della deturpazione dell’autentico spirito guerriero, sino ad allora puro in quanto prevedeva lo scontro diretto e leale tra uomini, tramite l’introduzione di armi da fuoco occidentali e di bieche tattiche militari il cui unico fine è l’egemonia ottenuta perpetrando l’odio, la paura, la derisione e la sottomissione. Questa scelta narrativa non è comunque esclusiva di Sengoku Basara, la si rintraccia pure in altri prodotti come Onimusha.

Protagonisti ad honorem di Sengoku Basara sono Sanada Yukimura e Date Masamune, due figure realmente esistite: il primo un sottoposto di Takeda Shingen, l’altro Signore dell’Ōshū, i cui cammini si incontrano prima in qualità di combattenti, e poi come alleati in funzione anti-Nobunaga. Sanada Yukimura è temibile nell’utilizzo di due lance gemelle, mentre Date Masamune è celebre con il soprannome di Drago da un solo Occhio, poiché privo del destro, indossa un peculiare elmo con un quarto di luna e maneggia sei spade contemporaneamente, gli Artigli del Drago; il colore caratteristico del primo è il rosso, del secondo il blu.
Sincero e impetuoso, Yukimura è un fidato generale dell’esercito di Kai, guidato da Takeda Shingen, un uomo massiccio e dall’enorme potenza distruttiva denominato Tigre di Kai per la veste a strisce che indossa in battaglia; spia e avanguardia di Yukimura è Sasuke, un ninja abile nel confondersi con l’ambiente grazie a una tuta mimetica.
Terzo retto warlord è Uesugi Kenshin di Echigo, chiamato Signore della Guerra per la sua straordinaria agilità e snellezza e nemico-amico della Tigre, in un rapporto simile a quello Yukimura-Masamune; anch’egli si avvale del supporto di un ninja, l’affascinante Kasuga, a lui devota con una dedizione che sembra oltrepassare quella di mero vassallaggio.
Le vie di questi intrepidi sono destinate a ritrovarsi più volte nel corso delle loro lotte per la pacificazione del territorio e a scontrarsi con il brusco Masamune e il suo accorto stratega, l’Occhio destro del Drago Katakura Kojūrō.

A oscurare le loro speranze nella riunificazione in un Giappone giusto e incorrotto si staglia minacciosa l’ombra di Oda Nobunaga, machiavellico comandante che già stringe in pugno una porzione estesa del paese, supportato dai suoi sgherri Akechi Mitsuhide, qui un individuo dal biancore spettrale e dalla dubbia sanità mentale, Nōhime, sposa di Nobunaga che si batte con doppie pistole e mitra, e Ranmaru, un ragazzino che dietro un’apparenza innocente cela assurde doti di arciere.

Sengoku Basara center

Ossatura dell'anime sono, di default, le battaglie, che si discostano abbastanza dagli schemi adottati nel gioco, e formano il comparto in cui lo studio d’animazione si è maggiormente sbizzarrito: perciò, i nostri sono liberi di spaziare dalle immancabili tecniche segrete dai nomi complessi e altisonanti alle auree colorate alla Dragon Ball Z, soffermandosi nel mezzo, perché no, su accorgimenti più propriamente tamarri come attacchi dagli effetti devastanti per la natura circostante, singole persone che fanno letteralmente volare in aria interi squadroni con una carica, etc., il tutto condito da una dose di effetti visivi che ben si amalgama con il character design dal tratto bishōnen. Difetto di questa impostazione sono tuttavia l’eccessiva schematicità e la scarsa durata degli scambi di colpi, che raramente vanno oltre l’effetto speciale fine a sé medesimo.
Inoltre, l’anime non si concentra esclusivamente sugli assalti fisici, ma ritaglia un certo spazio per la spiegazione delle strategie adottate, spiegate visualizzando un'antica carta geografica, creando così un appropriato equilibrio tra azione e narrazione, sebbene l’importanza della prima rimanga preponderante in una creazione di relativa brevità e che riproduce eventi e personaggi leggendari nel folklore popolare e che pertanto possono fare a meno di elaborate presentazioni e gettarsi da subito nella mischia.

Accanto, trovano spazio elementi magari superflui ma lo stesso comici, come la opening, JAP, cantata dagli Abingdon Boys School, sulle cui note balla un drappello di commilitoni, il destriero di Masamune che invece delle briglie ha una sorta di manubrio, tra l’altro assolutamente inutile dal momento che Date cavalca sempre a braccia conserte, e tubi di scappamento a mo’ di moto, oppure il suo esercito formato da soldati dall’abbigliamento da teppista alla Otoko Juku e abituato a essere incitato con anacronistiche frasi in lingua inglese contemporanea; strappano più di un sorriso anche i siparietti in cui Takeda Shingen e Sanada Yukimura esternano l’affetto e la stima reciproci tirandosi allegramente mazzate che ucciderebbero all’istante un comune mortale, oppure i vistosi orgasmi provati da Kasuga a ogni complimento di Kenshin-sama.


In linea di massima, i personaggi aderiscono costantemente al loro cliché di base – il servitore leale e un po’ ingenuotto, lo spaccone dal grande onore, l’implacabile dittatore, ecc. –: ad esempio, Sanada Yukimura è il tipico cuore d’oro incapace di voltare lo sguardo davanti alle sofferenze inferte alla sua gente e dalle reazioni immediate che lo rendono simile a un bambino, e Masamune è al contempo un suo antagonista e compagno naturale con il suo atteggiamento apparentemente ruvido, ma che in realtà nasconde bontà e dignità, e i loro caratteri non conoscono un’evoluzione; ciononostante, il mancato sviluppo psicologico non intacca la visione, anzi le è funzionale in quanto rende più salda la risoluzione dei guerrieri.
Shingen e Kenshin, stereotipi del condottiero altruista che si espone personalmente per la sicurezza e il benessere del proprio popolo, che ricorre alla violenza solo se inevitabile ed è pronto a mettere in gioco la vita per i propri ideali, sono il paradigma perfetto del messaggio veicolato dall’anime: l’amore per la giustizia, per la pace, e dell’orgoglio virile, in contrapposizione alla spietatezza cieca di Nobunaga. Anche questo contenuto è alquanto abusato e non presenta alcunché d’innovativo, eppure è espresso bene e resta apprezzabile.

La soundtrack scorre piacevolmente, e unisce con abilità nella stessa produzione tracce dal ritmo incalzante e dall’esecuzione moderna, riservate alle scene più concitate – a questo proposito èSengoku Basara end epico il tema di Nobunaga -, a brani più tradizionali nei momenti di suspense, e azzeccato il doppiaggio, il quale vanta, tra gli altri, gli interpreti di Ichigo (Bleach) e Zoro (One Piece).
Belle le animazioni, numerose, fluide, e messe in giusta evidenza dai colori vividi e incisivi, nonché i paesaggi e gli agenti atmosferici che fanno da cornice alle gesta degli eroi; affascinante la resa degli edifici, in particolare del castello di Azuchi, ultima roccaforte di Nobunaga, il cui corpo centrale, in stile ornamentale nativo con sezioni auree, si inserisce in una costruzione sottostante realizzata sul modello di maniero europeo, basso e grigio, un ottimo set per il duello conclusivo. Sengoku Basara è un titolo curato tanto nell’impianto estetico quanto in quello sonoro.

Sengoku Basara è dunque una buona produzione, ma non è un capolavoro né tantomeno tenta di esserlo: si tratta di un’opera che punta al semplice intrattenimento, obiettivo che raggiunge con efficacia grazie a un ricorso collaudato ai clichés utile a rendere immediata la trattazione di persone e avvenimenti, e a una reinterpretazione storica che a suon di tamarrate e colpi di scena non manca di calamitare l’attenzione dello spettatore.