Nonostante non sia facile stabilirne l'origine esatta (qualcuno sostiene il 1902 con la nascita di Shoujo Club), è certo che i fumetti per ragazze esistessero sin dagli inizi del XX secolo. All'epoca non c'erano ancora riviste interamente dedicate ai manga, che occupavano invece solo una parte di magazine a tematica più generale; dal momento che all'epoca maschi e femmine venivano educati separatamente – le scuole era quasi tutte divise per sesso – anche le riviste venivano divise in base al target di riferimento: riviste shounen per i ragazzi, shoujo per le ragazze. Praticamente fino alla seconda guerra mondiale, i fumetti per ragazze altro non erano che brevi strisce adatte solo a bambine, che una volta cresciute le abbandonavano per altri interessi. Fu solo con l'arrivo di Osamu Tezuka e il successivo affermarsi dello story manga che si iniziò a sentire il bisogno di un rinnovamento e di storie più complesse e articolate; iniziarono a comparire fumetti più lunghi, ma ancora principalmente incentrati su ragazzine preadolescenti e su rapporti madre-figlia. Il pubblico chiedeva storie e personaggi in cui potersi immedesimare, e gli autori dell'epoca, quasi tutti uomini, non sembravano in grado di darglielo.

Attack No.1 - shoujo fine meiji

Arrivarono gli anni '60, e il mercato dei manga era prossimo a rivoluzionarsi come mai era accaduto prima. L'avvento della televisione sancì un cambio di ritmo nell'intrattenimento popolare, grazie alla cadenza settimanale di molti degli spettacoli di maggior successo. Le riviste di manga decisero quindi di adattarsi, passando da una serializzazione mensile ad una settimanale; il loro crescente successo, inoltre, aveva portato ad un aumento del numero di riviste complessive: erano necessarie nuove storie, e quindi nuovi disegnatori. Sulla scia del successo di Yoshiko Nishitani, che per prima aveva introdotto le tematiche dell'amore adolescenziale con opere quali Mary♥Lou e Lemon to sakurambo, nacque una nuova generazione di disegnatrici in grado, finalmente, non solo di dare alle lettrici quel che volevano, ma anche di elevare narrativamente e graficamente i fumetti per ragazze a livelli prima impensabili. Una delle prime esponenti di questa nuova generazione fu Chikako Urano, che entro qualche anno sarebbe passata alla storia come una delle creatrici del genere “spokon shoujo”, i fumetti sportivi per ragazze. Qualche fumetto di tale genere esisteva già in passato, ma si trattava solo di qualche caso isolato e di scarsa rilevanza; la vera esplosione del genere sarebbe avvenuta solo nella seconda metà degli anni '60, per un motivo che andremo ora ad analizzare.

HIROFUMI DAIMATSU E LE STREGHE D'ORIENTE

Attack No.1 - Hirofumi DaimatsuLa nostra storia ha inizio nel 1953, quando la fabbrica tessile Nichibo richiamò nella sua filiale di Kaizuka, cittadina nei pressi di Osaka, le migliori pallavoliste tra le sue impiegate allo scopo di creare la miglior squadra dopolavoristica della nazione. Ad allenarle fu scelto Hirofumi Daimatsu, ex-militare con un passato da pallavolista universitario, che divenne ben presto conosciuto come l'oni-coach (allenatore demonio), per l'estrema durezza e crudeltà dei suoi allenamenti. I risultati non mancarono ad arrivare e, tempo cinque anni, la Nichibo Kaizuka regnava incontrastata in tutto il paese; nel 1958 conquistò tutti i tornei più importanti a livello nazionale e nel 1959 iniziò una serie di 258 vittorie consecutive che si concluse solo nel 1966.
Il 1958 fu un anno importante per Daimatsu e le sue giocatrici anche per un altro motivo. Il Giappone, infatti, decise di adattarsi alle regole internazionali della pallavolo da 6 giocatori in modo da permettere anche alle sue squadre di gareggiare a livello mondiale nelle varie competizioni. In questo modo fu anche possibile creare una nazionale che rappresentasse il Giappone ai campionati del mondo; Hirofumi Daimatsu fu scelto per guidarla, ed egli costruì la nazionale con le giocatrici della Nichibo Kaizuka. Il primo torneo di un certo peso furono i mondiali di Rio de Janeiro 1960, dove il Giappone arrivò secondo dietro l'U.R.S.S. Insoddisfatto del risultato, Daimatsu irrigidì ulteriormente i suoi sistemi d'allenamento e organizzò anche una tournée europea per far fare esperienza internazionale alle sue giocatrici. Quella che si presentò al campionato del mondo di Mosca 1962 era una nazionale nuova, in grado di conquistare con relativa facilità il primo posto; questa volta le sovietiche riuscirono a strappare loro un solo set – unico set perso dalle nipponiche in tutta la manifestazione. La nazionale giapponese era ormai la squadra da battere per le nazionali di tutto il mondo, e le sue giocatrici erano state soprannominate le “Streghe d'Oriente” (Toyo no majo) non solo per aver interrotto il dominio internazionale delle sovietiche, ma per essere riuscite a farlo proprio in terra nemica, a Mosca. L'epopea internazionale delle Streghe sembrava volgere al termine, finchè non si scoprì che alle successive Olimpiadi del 1964 la pallavolo sarebbe diventata, per la prima volta nella storia, specialità olimpica; e la sede sarebbe stata a Tokyo, in Giappone, proprio a casa loro. Non potendo ritirarsi proprio allora, le Streghe d'Oriente e Daimatsu iniziarono la preparazione in vista delle Olimpiadi, intensificando ulteriormente i già infernali allenamenti. L'11 ottobre 1964 iniziò il torneo olimpico, con la nazionale nipponica che annichilì una dietro l'altra tutte le avversarie, comprese le storiche rivali sovietiche nella sfida finale del 23 ottobre. Le Streghe d'Oriente entrarono così nella leggenda dello sport giapponese (e mondiale), tanto che Hirofumi Daimatsu e il capitano Masae Sakai sarebbero successivamente entrati nella Hall of Fame della pallavolo. L'oni e le streghe potevano ora ritirarsi a testa alta, avendo vinto tutto quel che era possibile vincere sia a livello nazionale che internazionale, e vivere una vita normale: sposarsi, fare figli, e magari allenare la futura generazione di giocatrici era, ad esempio, il sogno di Masae Sakai.
Ma qual era il segreto del successo delle Streghe d'Oriente? Si è tanto parlato degli allenamenti infernali dell'oni-coach Hirofumi Daimatsu, ma in cosa consistevano esattamente?

Attack No.1 - Streghe d'oriente 1Attack No.1 - Streghe d'oriente 2

La risposta a tale domanda ce la fornisce Eric Whitehead, giornalista occidentale invitato in via straordinaria ad una delle sessioni di allenamento della nazionale nipponica durante la preparazione alle Olimpiadi del 1964 e che pubblicò, qualche mese prima della manifestazione, un articolo in cui illustrava la “giornata tipo” delle atlete.
Ricordiamo che la nazionale era formata dalle giocatrici della Nichibo, per cui la giornata iniziava col lavoro. Dopo la sveglia alle 7, dalle 8 alle 15,30 si lavorava nella fabbrica tessile; mezz'ora per cambiarsi e alle 16 si era tutte in palestra, una piccola stanza buia e fredda, per l'inizio degli allenamenti. Dopo una semplice partitella amichevole entrava in campo Daimatsu, si metteva su una piattaforma rialzata e iniziava a lanciare palloni per tutto il campo; alle pallavoliste, disposte in tre file una dietro l'altra, il compito di prenderle a qualsiasi costo. Tuffi, scivolate, torsioni, mosse di judo, qualsiasi cosa, pur di raggiungere la palla, mentre Daimatsu inespressivo le insultava ad ogni errore – ad una che zoppicava dopo aver sbattuto violentemente una caviglia contro una panchina di ferro urlò di andare ad unirsi ad una squadra sudcoreana se l'allenamento era troppo duro per lei. Dopo due ore l'oni-coach aveva iniziato ad imprimere un effetto alla palla; alle 19 era pronta la cena, ma Daimatsu non sembrava curarsene: ormai le ragazze erano tutte singhiozzanti, i loro volti deformati dal dolore e dalla fatica. Mezz'ora dopo, quando ormai il cibo era freddo, veniva concessa una breve pausa di dieci minuti per mangiare, e poi subito di nuovo in campo per la seconda parte dell'allenamento. Alle 22, dopo 6 ore di fatica, l'allenamento proseguiva, entrando nella sua fase finale. Ad una ad una le ragazze si facevano avanti cercando di sostenere un attacco sistematico in zone che difficilmente potevano raggiungere: era un test per temprare lo spirito e spingere ai limiti estremi la naturale agilità delle nipponiche, che non potendo contare su forza e altezza non potevano che puntare su una ricezione infallibile. A Mezzanotte (otto ore dopo) l'allenamento teoricamente si concludeva, ma non quella volta: la ragazza che aveva zoppicato dopo l'urto contro la panchina di ferro aveva deluso Daimatsu e fu costretta a proteggersi, con gomiti, ginocchia e qualsiasi altra parte del corpo, da una sequenza di pallonate da breve distanza. La mattina del giorno dopo la maggior parte delle ragazze era già in piedi al lavoro; alcune erano invece in infermeria a farsi sistemare, ma tutte, senza eccezione alcuna, sarebbero state presenti a mezzogiorno, o almeno agli allenamenti del pomeriggio. Tutto questo per 6 giorni alla settimana, 51 settimane all'anno; la domenica, in cui la fabbrica era chiusa, l'allenamento durava anche di più; sia l'allenatore che le ragazze non facevano altro nella vita al di fuori della pallavolo: amore, famiglia, amici, tempo libero... non c'era spazio per nient'altro.

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