
Nella fase iniziale Hoshi o ou Kodomo illude lo spettatore: con i suoi colori tersi e gli scenari, su cui si innesta una trama apparentemente elementare, lo proietta in un’ambientazione fiabesca. Ma un tono ben dissonante subentra al di là del passaggio a livello, tanto caro al regista, cosicché proseguendo la visione comincia a primeggiare un’atmosfera immersa in un’alterità oltremondana con profondi accenti mistici.
Shinkai non narra con le parole. Lui si serve delle immagini, essendo dotato di un talento fuori dal comune nel renderle talmente vivide da farle sembrare delle istantanee scattate da un sognatore. Le quali, in Hoshi o ou Kodomo, mostrano un autore più maturo, più riflessivo e profondo, capace di impegnare il linguaggio dell’animazione su un excursus di vita e morte. Agartha è quel mondo dalle arcane radici mitiche che ci separa dai nostri cari, legati all’aldiquà con lontani echi simili a una canzone proveniente dalle stelle. Ecco, dunque, il salto da Byousoku 5 Centimeter.
Ciò che si percepisce dallo svolgimento del lungometraggio è una dimensione di lunga durata; sembra che si stia raccontando una storia d’età pari a quella dell’esistenza del cosmo. E Agartha non è la semplice proiezione di un mondo fiabesco così immaginato da Shinkai. Vero è che molti scenari riportano alla mente accenti miyazakiani alla Laputa, ma in Hoshi o ou Kodomo viene indagato in tutte le sue recondite pieghe ciò che in Laputa è solo accennato. Rovine appartenenti a civiltà superbe del passato sono esplorate in ogni anfratto. Tra ruderi di fortezze ormai dismesse dal tempo si svolgono le sequenze d’inseguimento più dinamiche degli ultimi tempi, immerse in una fotografia cangiante come la varietà diurna della luce del sole.
Hoshi o ou Kodomo sembra più lungo di quanto non sia in realtà: ogni fase della vita quotidiana di una ragazzina, studentessa modello, è raccontata con un compiacimento quasi lezioso per i più piccoli dettagli. La minuzia è sempre stata caratteristica dei prodotti realizzati da Shinkai, ma qui è talmente ostentata da sembrare quasi superflua. Tuttavia, a ben vedere in Hoshi o ou Kodomo tutto ha senso in funzione del passaggio tra due dimensioni: il lungometraggio imposta in modo fluido e ricorsivo un raccordo simbolico tra la vita, così piana e lineare, piena di piccoli gesti quotidiani, e la morte, o ciò che potrebbe essere, certo un mondo dove si respira eternità, quasi la stasi del tempo.
L’aura cosmica traspira dalle figure solitarie ed ermetiche dei guardiani, chiamati, con ispirazione agli Aztechi, Quetzal Coatl, figure zoomorfe di chiaro stampo sumero-babilonese, che racchiudono millenni di storia nel proprio enigmatico silenzio. Agartha somiglierebbe a un eden di vaga derivazione mesopotamica con accenti tibetani e richiami alla funeraria megalitica, e lo Shakuna Vimana, a dispetto di un nome pregno di antico vedismo, potrebbe ricordare un’elusiva barca solare che traghetta le anime nel punto più riposto e inaccessibile dell’universo, secondo l’affascinante soteriologia egizia. Hoshi o ou Kodomo racconta il trapasso, e lo fa con una figurazione colma di filosofia e di grande consapevolezza storico-religiosa: è la summa di un viaggio cosmopolita trasposto in una dimensione in cui i confini tra le barriere culturali sfumano.

L’afflato d’eternità non investe di certo lo spettatore per il tramite della storia o dei dialoghi, ma con immagini più silenziose, in cui scenari immensi imbastiscono un grande ordito simbolico che fa da contrappunto al dettaglio imperante nella fase iniziale del lungometraggio. I personaggi protagonisti, a dire il vero, non sono poi tanto carismatici, non sanno dare molto d’inedito a uno spettatore abituato alle vicende che li vedono al centro. Di contro non è facile dimenticare il trasporto emotivo suscitato dalla figura di una divinità dai mille occhi che osserva un Orfeo del ventunesimo secolo giunto al capolinea della vita alla ricerca disperata della sua amata. La comunicazione avviene a livello empatico, nel passaggio dalla densa socialità dei dialoghi quotidiani alla muta solitudine di luoghi eremitici troppo lontani dal trantran umano, in un movimento ascetico diretto al trascendente. Il ricordo, componente ineliminabile della vita, si esprime in flashback accennati e staccati – con una resa grafica discorde – dalla linea della narrazione. A ciò si accompagna il continuo e ricorrente motivo del trapasso tra due piani temporali: la ferrovia è il diaframma simbolico tra il quotidiano e l’eterno, tra il tempo sacro e quello profano. Una dicotomia, quella tra sacro e profano, che si respira nello stesso ritmo della narrazione, a tratti convulsa e impetuosa, come lo scorrere insignificante del tempo profano, a tratti distesa, molle, pervasa da una lentezza grande come il respiro di un millennio. L’asse comunicativo di Hoshi o ou Kodomo è disposto su una prospettiva verticale: il movimento di ascesa presuppone una discesa nei più intimi recessi dell’esistenza umana.

Nonostante il virtuoso apparato grafico non si può trascurare la goffaggine del chara design, volutamente ghibliano e un po’ troppo forzato e artefatto nella scelta di ossequiarne i canoni. Scelta che ricade sull’originalità delle espressioni e delle movenze, costringendo in ranghi forse un po’ troppo severi la vena creativa del designer Nishimura. D’altronde i richiami al mondo Ghibli, e a Miyazaki in particolare, sono evidenti, non soltanto sul versante grafico, ma anche e soprattutto su quello narrativo.
Il legame tra i due protagonisti rievoca alla mente dello spettatore allenato a Miyazaki la classica storia di formazione delle opere del grande maestro, in cui ricorrente è quella complicità tra adolescenti appena sfiorata e mai palesata attraverso un esplicito contatto carnale. Ma si tratta di stilemi esteriori rielaborati in modo autonomo da Shinkai: in Hoshi o ou Kodomo la somiglianza alle opere Ghibli è superficiale, non vi saranno mai le contrapposizioni ideologiche tipiche di Miyazaki, né la simbolizzazione di conflitti generazionali, a lui tanto cara. Il giovane fan di Miyazaki farà tesoro dei preziosismi visivi del maestro per intraprendere una propria strada, sia sotto il profilo stilistico sia sotto quello contenutistico.
Il comparto sonoro, opera dell’ormai fedele Tenmon, non è purtroppo in grado di dare respiro al film, incapace di emergere dalla sua potenza figurativa e risultando in alcuni casi persino sovrabbondante e retorico. I grandi accenti enfatici appesantiscono spesso le azioni concitate, quasi stonando nell’intenzione di volervisi accompagnare. Non avrebbe guastato, visto il misticismo dilagante di Hoshi o ou Kodomo, un comparto sonoro meno pompato e diretto a dare tono a quelle scene intime – così ricorrenti nel film – che sarebbero diventate veramente poetiche con un’appropriata rifinitura melodica.
Hoshi o ou Kodomo potrebbe per molti esporsi alle stesse critiche di Biousoku 5 Centimeter, soprattutto se si considerano l’impianto della trama, i rapporti tra i due protagonisti e lo spessore dei dialoghi. Ma quando ci si approccia alla visione di Shinkai è bene tenere a mente che siamo di fronte a un giovane talento che ha una grande strada davanti a sé, e che come tutti i talenti ha scelto un percorso personale. Ci si chieda, dunque, prima di guardare un film di Shinkai, perché sia costante, seppure resa diversa da opera a opera, la volontà di perfezione grafica. Shinkai racconta con la vastità delle immagini la profonda solitudine dell’uomo e il suo incessante inseguimento di un desiderio, spesso illusorio e irraggiungibile, come molla quotidiana della vita. Hoshi o ou Kodomo è una variante del tema spinta all’infinito.
E nulla contro Catulla, anzi, è che scrive benissimo su tutto ciò che non m'interessa
Red Finger record attempt!
Devo dire che mi ha piacevolmente sorpreso: a livello grafico è eccelso, le tematiche di fondo sono interessanti come pure il loro contesto. Peccato le protagoniste siano le tematiche appunto e ci si concentri non troppo sulla psicologia dei personaggi...
Voto: 8
Complimenti a Catulla (e NON alla Kaze
Restereste impressionati dalla potenza visiva di Shinkai o questa storia vi annoiera' non poco?
Scusa, una curiosità, ma allora perché commenti? XD
@Messer_Azzone
La trama di Hoshi o ou Kodomo alla fin fine è ciò che c'è di più secondario nel film. Forse non l'hai potuta apprezzare perché ti sei concentrato solo su di essa, o perché gli altri aspetti non ti interessavano granché, ma è innegabile la profonda vena mistica che traspira da ogni scenario evocato in questo film.
Si riconosca quantomeno a Shinkai la bravura nel narrare tramite le immagini. Per conto mio ho visto Hoshi o ou Kodomo e gli altri film del regista come pure successioni di istantanee, il cui significato va ricercato negli elementi compositivi e nella resa grafica.
Direi proprio di no. Basta leggere le interviste del regista per rendersi perfettamente conto di come filosofia, poetica, richiami alle religioni e immagini combacino.
Che critica stupenda! Da lettore ne sono estasiato e da aspirante recensore piuttosto frustrato...
Complimenti, Catulla!
Il problema è che puoi fare un lavoro eccelso con le immagini (ed è il minimo che mi aspetto, conoscendo Shinkai), ma affiancarle a una storia debole, cosa che è successo con Hoshi wo ou kodomo, probabilmente perché la forza di Shinkai è riuscire a inserire elementi di riflessione sulla quotidianità in ogni sua opera che qui, sinceramente, ho visto poco o nulla.
"La trama di Hoshi o ou Kodomo alla fin fine è ciò che c'è di più secondario nel film", purtroppo, non è affatto una scusante. Un'opera cinematografica è composta di tanti elementi, tra cui la trama ha sempre un peso determinante.
Tu parli di vena mistica, a me sembra uno scimmiottamento di quanto già fatto da altri autori, oltretutto miscelato piuttosto male. Poche idee e molto confuse, insomma.
Noia allo stato puro: da un fantasy mi aspetto più azione; se non sai inserirla non fai un fantasy.
Che ti devo dire, probabilmente io riesco a farmi rapire dalla suggestione. Ma non credo che Shinkai abbia scimmiottato. Come ho scritto in recensione, lui omaggia Miyazaki, ma lo fa in modo molto originale. Shinkai narra la nostalgia e la solitudine come componenti ineliminabili dell'uomo e allo stesso tempo come molle d'azione insite nello slancio vitale: non è tematica da poco. La trama è presente, ma nell'ordito grafico, non certo nei dialoghi, di per sé fiacchi in Hoshi o ou Kodomo. Ho sempre apprezzato opere che vanno anche al di là della mera riflessione discorsiva, quindi non mi frega nulla né dei personaggi di questo film né di quello che si dicono.
@Oni
Ne ho studiati di simboli religiosi, e Hoshi o ou Kodomo mi ha lasciata letteralmente spiazzata per la densità con cui si accumulano nelle immagini. No, Shinkai non è così superficiale come ti sembra, te lo assicuro. Non ci sono binari preimpostati, non c'è superficialità, non capisco sinceramente perché ti soffermi sul virtuosismo e sul "bel quadretto". Se vuoi posso scriverti un'intera recensione sull'ottavo screenshot della raccolta immagini in vetrina, perché, vedi, anche le immagini che ho scelto non sono per nulla casuali.
Io appartengo alla schiera di coloro che apprezzarono 5 cm al secondo, o meglio, conobbi Shinkai proprio con quella visione.
Ma il destino beffardo ha fatto sì che ancora non abbia recuperato il suo ultimo lavoro. Forse abbisognavo davvero di qualche stimolo esterno?
Beh eccolo qua, nella forma e nei contenuti di questa (gran)bella recensione.
Al più presto farò mia una serata, la svuoterò di ogni impegno e la dedicherò esclusivamente al godimento di Hoshi o ou Kodomo.
Tu non credi che Shinkai abbia scimmiottato, io invece ne sono assolutamente convinto; non per caso tu ci vedi un omaggio a Miyazaki, che è l'autore giapponese che più in assoluto si pone e strizza l'occhilino al mercato internazionale (cosa che a me non piace, ma sono punti di vista), omaggio che per me è ben più marcato, al punto da sembrare un tentativo di copia.
Tra l'altro parli di nostalgia e solitudine, aspetti presenti in tutte le opere di Shinkai che ho visto, quindi non vedo dove stia la "novità" in questo.
Lo "scimmiottamento" di Miyazaki è puramente esteriore.
Quindi i temi di Shinkai sono sempre stati orientati a questo.
Non vedo dove stia la variante in questo caso, cambia solo l'ambientazione... ed è stata gestita male.
Quando uno non sa come muoversi in un fantasy, copia o "scimmiotta"; è una cosa del tutto normale.
Le interviste in merito alle proprie opere gli autori le rilasciano o meno per scelta assolutamente personale, non certo per etichetta a cui conformarsi; ciò pertanto non inficia a posteriori il loro valore. Non puoi giudicare un film informandoti in via preventiva se il regista ne abbia parlato
@messer
Quando parlo di "variante" intendo lo stesso tema variato solo in minima parte e innestato su un altro racconto. Alla fine non stiamo dicendo cose diverse, ma non siamo d'accordo sull'apprezzamento di tale elemento. E a mio avviso l'ambientazione è favolosa, sono i personaggi che non funzionano bene e che pregiudicano un nove al film.
Le critiche verso di lui le trovo pretestuose, anche a me nn è garbato al massimo questo film ma definirlo autoerotismo grafico è volutamente esagerato dato che i contenuti ci sono e pure belli copiosi...semmai si può discutere di come questi contenuti siano stati espressi
ma lì si va anche sul gusto personale come Catulla senza nessuna presunzione ha fatto ampiamente intendere...
Catulla
Non giudico il film, ma l'artista. Ovviamente non è un ragionamento che si possa generalizzare e che non ha pretesa alcuna di attendibilità, ma credo che un vero genio non abbia alcun bisogno di rilasciare interviste per spiegare la sua opera, soprattutto se è simbolica. Il bello di un'opera del genere è proprio il fatto che non deve avere un senso ufficiale. Ti posso portare ad esempio Anno, le sue dichiarazioni su eva sono di una tristezza unica.
La tua visione è alquanto riduttiva, mi spiace dirtelo.
Scusa Catulla, non voglio farti fare gli straordinari, soprattutto alla luce dell'enorme lavoro che hai svolto, ma dopo questa tua piccola provocazione che ha acceso la mia curiosità ti pregherei di spendere almeno due parole a titolo didascalico su quel fotogramma! (o sull'insieme se preferisci)
Dovresti leggere meglio i post invece che trarre le tue conclusioni affrettate dalla prima riga. Se ci fai caso e sai leggere potrai notare che ho detto che il finale disilluso e cinico è l'unico punto su cui potrei cedere ed apprezzare, ti è forse sfuggito? In ogni caso ci sono ben due pezzi prima della fine che danno il voltastomaco, ed è talmente banale e scontato che mi ha solo fatto cadere le braccia. L'unico motivo per cui ho dato un 5 e non un 3.
La tua visione è troppo suscettibile al sensazionalismo, posso dirtelo senza che ti offendi?
C'è a chi piace e a chi no, c'è chi ne ha respirato tutta la grandezza e chi invece non si è sentito minimamente toccato..come tutte le opere che ci circondano. Mica siamo tutti fan della stessa musica, no?
Siamo tutti diversi, abbiamo gusti personali che variano e si evolvono in continuazione..non facciamone una questione di stato.
A me è piaciuto e dovrò riguardarlo più volte per capirlo fino in fondo. Punto.
Forse non traspare, ma ho il massimo rispetto per catulla, dato che la conosco abbastanza e ho avuto più volte occasione di discuterci. Avere una discussione non vuol dire uccidersi a parole. Ho sempre trovato ipocrita non dire il proprio pensiero in modo diretto.
Per complimentarmi con te per la recensione
La descrizione potrebbe essere un po' spoilerosa, ma posso semplicemente evidenziare come Shinkai abbia trasposto in pieno con l'essenzialità degli elementi la condizione dell'essere umano.
Un muro separa la bambina da un'ombra lontana, lontanissima, quasi evanescente. Il muro, artefatto costruito dall'uomo, è un diaframma, ultimo resto di civiltà che separa il mortale dal divino, dall'immortale. La bambina è seduta su una pietra, una posizione che indica l'attesa che ancora la separa dal ricongiungimento alla divinità. E quella parete è una rovina, un diaframma fragile che racconta come l'esistenza umana sia così flebile da potere essere spezzata in ogni momento. Al di là di questo piccolo muro non c'è traccia di artefatto umano, solo un'immensa distesa, infinita come la stessa divinità. Quest'ultima è imperscrutabile e resa come ombra proprio per tale attributo, oltre che per l'incertezza dell'uomo sulla sua esistenza, non dimostrabile con saperi razionali.
Insomma, bob, non voglio spoilerarti nulla, se scendessi nel dettaglio rischierei di dire troppo, ma vorrei sottolineare come solo con tre elementi - la bambina, il muro, l'ombra lontana ed evanescente - Shinkai abbia condensato in un'immagine l'uomo, il dio, la morte, ovvero ciò che li separa e allo stesso tempo li unisce.
Sì va bene ok discutete pure, non ho mica detto che dovete smettere. Ho solo dato la mia opinione sulla vostra adorabile schermaglia.
E allora potresti risparmiarci le tue perle di saggezza posticcia ed evitare direttamente di scrivere ^^
Concordo su moltissime cose: lo stile e la qualità delle immagini, l'attenzione verso civiltà passate, il viaggio quasi spirituale, la forzatura del chara ghibliano e le musiche di Tenmon che questa volta nn hanno "sfondato".
Io, come penso anche Catulla, considero Shinkai il vero futuro dell'animazione giapponese: è giovane, ha un talento infinito e un'attenzione per i dettagli veramente icredibile.
A mio parere però ha un po' strafato in questo film.
C'è troppa carne al fuoco. Il legame fra la protagonista e Shun è un po' campato per aria: c'è un personaggio che ha validi motivi per compiere questo viaggio (il professore) ma lei no...il tema del distacco io nn l'ho tanto visto, è accennato.
La critica più pesante che però muovo a Shinkai su questo film è legata all'alternanza del suo target di spettatori...mi spiego meglio:
Shinkai vuole trasmettere moltissimi sentimenti e "morali" con questo film (e questo mi va bene e l'ho capito) però l'opera passa troppo spesso da immagini dolci e oniriche a scene di una crudezza e violenza fuori luogo. Per chi è Hoshi o ou kodomo? Per bambini? Per ragazzi? Per adulti? I temi sono anche seinen ma quello che ci viene mostrato cambia troppo la sua fisionomia durante la narrazione.
A mio parere questo film è un esperimento, un test, un passo nella crescita del regista (che finora si era limitato ad un solo genere con budget di produzione limitatissimi)....Forse non è il massimo ed ha molte pecche qua e là, ma sono convinto che con il tempo Shinkai ci saprà regalare grandi capolavori.
La protagonista, come ha detto Shiro-san sopra di me non è così tanto legata a Shun da intraprendere un pericoloso viaggio verso un mondo sconosciuto, la sua determinazione si regge poco in piedi... Anche Shin, suo fratello ha un attaccamento troppo repentino verso la ragazza per ribellarsi addirittura verso il suo popolo. Non c'è una maturazione dei rapporti, non c'è una crescita, o per meglio dire ce n'è ma veramente poca.
Anche il professore non si capisce se tenga alla giovane protagonista o no, in qualche scena mostra un interesse verso la sua sicurezza, in altre non si fà scrupoli, come nel finale a sacrificare il suo corpo come contenitore per l'anima della moglie.
Ammetto però che il background del mondo di Agartha non è stato male, mi è piaciuto.
Le animazioni, sfondi ed effetti, inutile dire che erano perfetti, diciamo unico aspetto che ho veramente apprezzato dal profondo ma un film non può basarsi solo su esse, come detto da altri.
Non vorrei che l'afflato mistico che fa da legante a quest'opera finisca per offrire soluzioni metafisiche azzardate, tali da snaturare i temi del distacco e della solitudine tanto ben rappresentati in Byousoku 5 Centimeter (in questo caso confinati nell'immanenza della natura umana - e della natura in generale).
Il chara ghibliano inoltre non mi fa impazzire, anche se non è questo l'aspetto più importante.
In ogni caso, prima o poi devo vederlo.
@Catulla: per una recensione così, dovresti farti pagare l'onorario da Shinkai in persona! Complimenti!
Complimenti a Catulla per la recensione!
Era da circa un anno che volevo vedermi 5 cm per second, ma il mio "stato d'animo" mi aveva sempre trattenuta ti farai male, ti farai male, non aveva tutti i torti, ma dopo aver letto una bella recensione (di non ricordo chi) tra i manga (s)consigliati mi sono decisa a visionalo. E ne è valsa la pena, nonostante tutto. Poi mi sono fiondata subito su Hoshi No Koe e ora... dopo questa recensione non posso che mettermi a cercare anche questo!
Quei fondali sono pazzeschi.
Come minimo Shinkai deve aver dato il meglio di se, altrimenti rischia di farla fuori dal vaso, toccando l'argomento Agartha. In fondo è il simbolo allegorico del distacco e della solitudine per il regista, fin dagli esordi casalinghi.
Personalmente la qualità tecnica è altissima ma ad oggi moltissimi studi sono in grado di grantire la stessa qualità di dettaglio, senza contare che ciò toglie un certo senso di vissuto all'opera. Nei miei ricordi Shinkai rappresenta il non arrendersi dinanzi alla forza d'i rotazione terrestre. Ma farlo con suna barca a remi e diverso che farlo con l'Enterprise
In primis, spesso si tende a dimenticare che un anime è fatto, innanzitutto, da immagini in movimento. La cura visiva è la base principale di un prodotto d'animazione. Un anime formalmente eccelso, già solo con ciò, può acquistare un suo senso; una storia solida visualizzata con una grafica da quattro soldi è handicappata.
In secundis, l'estetica di "Hoshi o ou Kodomo", o delle opere di Shinkai in generale, non è autoreferenziale ma funzionale, come illustra bene Catulla nella sua recensione.
Shinkai parla per sequenze visive. La sceneggiatura funge da pretesto, il regista non si serve delle parole per dire ciò che ha da dire. Lo mostra.
Bisogna sapere guardare, se lo si vuole capire. Il suo è un approccio diverso rispetto a quello di altri autori più discorsivi, più "narratori". Ma non per questo è sbagliato. Non per questo lo si può assalire con il coltello tra i denti accusandolo di insulsaggine solo perché non è conforme ai nostri modelli.
In ultima, le dichiarazioni che Shinkai ha rilasciato non inficiano in nessun modo la sua opera, e non vedo per quale motivo dovrebbero farlo. Tutti gli autori, siano essi registi - d'animazione o di film live - scrittori pittori eccetera, rilasciano interviste in cui spiegano, a richiesta, determinati aspetti contenutistici delle proprie creazioni: simbolismi vari ed eventuali, significati nascosti, tematiche affrontate e via discorrendo. Parlando della suo opera e dei suoi contenuti, un autore non la priva certo di valore. Diventa invece un supporto alla corretta lettura della stessa, operazione preliminare a qualsiasi approccio critico.
Per fare un esempio, anche Oshii ha rilasciato innumerevoli interviste, illustrando la propria poetica, le idee dietro determinate scelte registiche e formali, e il senso di intere sequenze o, addirittura, di tutta una pellicola. A ciò, come capirai bene, non segue in automatico una svalutazione dei suoi film, semplicemente perché le due cose - l'ermeneutica di un'opera e il valore della stessa - non sono interdipendenti. Com'è ovvio che sia.
PS
Messer Azzone, non forzare Miyazaki dentro Shinkai. I due registi operano in modo diverso e in diversa maniera funzionano i loro film. Il discorso sul fantasy è fuori luogo. Come ogni altro genere, il fantasy è solo un contenitore, non impone ricette preconfezionate o manuali d'istruzioni su come essere trattato.
Tra parentesi, contrariamente a quanto tu affermi, "Hoshi o ou Kodomo" trascende i precedenti temi di Shinkai affrontando il concetto di distacco non più nell'ottica di allontanamento nel tempo e nello spazio, ma in quella di separazione tra la dimensione della vita e quella della morte. C'è un bel salto tra le due riflessioni.
Non mi trovo molto d'accordo, un anime formalmente eccelso ai miei occhi non guadagna punti se poi non fa seguire alla forma anche la sostanza, e sinceramente mi annoierei a guardare un anime graficamente ineccepibile ma che non mi sa dire nulla, come è successo con biyosoku. Mi sembrerà sempicemente un contenitore piuttosto vuoto.
La sceneggiatura funge da pretesto, il regista non si serve delle parole per dire ciò che ha da dire. Lo mostra. Il suo è un approccio diverso rispetto a quello di altri autori più discorsivi, più "narratori"
Parlando di shinkai in "generale":
Di certo non è una prerogativa di shinkai mostrare con le immagini ciò che si ha da dire. Vorrei farti venire alla mente, ad esempio, un certo utena o un certo Tenshi no tamago, anche loro puntano molto sulle immagini e sui simboli per mostrare il loro contenuto, non è una cosa poi innovativa o a me aliena. A mio avviso il problema sta proprio inquesto contenuto, shinkai non raggiunge vette di profondità, ma lascia più un'idea, un'emozione, un qualcosa che ti colpisce sul momento ma che non suscita la riflessione circa un tema. A mio avviso tu confondi due concetti, i film di shinkai (da quello che ho visto e compreso io del suo stile, mie idee ok? poi potrei sbagliarmi di certo), ma anche le sue opere più brevi, sono sicuramente evocativi, anzi direi suggestivi, ma non hanno quel simbolismo che tu e catulla invece sembra vogliate affibiarli. Insomma, io li vedo come mera atmosfera, che può suggestionare un po', ma nulla di più o di trascendente. Inoltre, sempre prendendo ad esempio biyosoku, si capisce benissimo dove voglia andare a parare, esagerando con la depressione, idealizzzandola, e poi dando quel finale un po' disilluso che fa gridare tanto al capolavoro, ma che non capisco come possa essere considerato tale, soprattutto vista la linearità del tutto.
Per quanto riguarda le interviste. Non ho mai sostenuto che per il fatto che l'autore dia una sua versione allora l'opera sia sminuita in sè, per il "non fa che rovinare la sua opera" intendo dire che la limita, poichè chi la guarderà avrà l'ombra della interpretazione ufficiale. Basta vedere evangelion e quello che le dichiarazioni di anno hanno fatto all'opinione pubblica, dando pasta in bocca agli heater. Io non ci darei troppo peso, tutto qui, anche l'interpretazione dell'autore è solo una fra quelle possibili. Io volevo semplicemente sostenere che a mio avviso per apprezzare un'opera non c'è bisogno di andare a vedere le interviste e che, anzi, spesso si rivelano riduttive o deludenti. NOn ho detto che un autore non le debba rilasciare per nessun motivo. Inoltre, il mio discorso voleva essere questo: in un'opera che si definisca simbolica non ha senso andare a cercare il percorso che un autore ha voluto laciare dietro di sè, piuttosto preferisco non sapere cosa ha da dire in merito, anche perchè ognuno dovrebbe esser libero di averne la sua visione, anche se non vi vede nulla. Non che sia il caso di biyosoku, il cui messaggio è assolutamente chiaro e che non mi ha offerto nulla per cui apprezzarlo. Ma il discorso vale anche per le altre opere sue che ho visto, quindi Lei e il suo gatto e La voce delle stelle.
Ultima cosa, il discorso non era nato per criticare la rece di catulla o il film in questione, ma, più semplicemente, per parlare dello stile di shinkai in generale e, dalla mia esperienza, questo è ciò che è emerso.
Comunque è più che apprezzabile (e poi i primi sub usciti li ho tradotti io con due amiche appena uscito il dvd internazionale... http://subsoup.blogspot.com/ )
Poi presta attenzione: io ho parlato di forma e non di mera grafica; non alle lucine e ai colori alludevo, ma a come li si compone, a come li si usa, alla sensibilità con la quale li si maneggia. Dicevo, appunto, che un film può acquistare un senso ragionando anche solo sulla messinscena, sui suoi meccanismi, sul suo funzionamento. Gli esempi a riguardo sono innumerevoli. Si chiama fare della forma il contenuto (la sostanza). E non è certo un ghiribizzo degli Shinkai giapponesi; ci sono dietro nomi ben più altisonanti e antichi.
A ogni modo, non è il nostro caso. Shinkai non si masturba guardando i suoi scenari finemente cesellati, seguendo l'esordio del tuo primo post. Infatti hai convenuto anche tu che le sue sequenze d'immagini veicolino determinati contenuti. E parlare attraverso le immagini equivale a mostrare. Penso.
Se poi i suoi - di Shinkai - discorsi siano profondi o meno, mi sottraggo dal valutarlo, non avendo ancora trovato un metro attendibile per sondare la profondità di una riflessione. Posso esprimermi sullo spessore di un tema, e di certo andare a ripescare il mito di Orfeo ed Euridice, espandendolo per trattare della relazione tra la vita e la morte in un quadro di misticismo sincretico, non è da tutti. E non è roba da nulla. Se la si è letta, la recensione lo spiega bene; non mi sentirei di metterla in discussione: stiamo trattando argomenti antropologici, chi l'ha scritta è del settore.
Da parte mia ti obietto che, ovviamente, è solo prepotenza (o convenienza?) pretendere di dare un proprio arbitrario senso a qualcosa che appartiene a qualcun altro. La legge appoggia la mia obiezione, d'altronde. Poiché l'autore è il solo a dire cosa la sua opera sia o non sia - sentenza Brancusi -, l'interpretazione della stessa non è libera, ma si limita al tentativo di leggerla nel modo corretto. E in ogni caso non c'è bisogno certo di un atto giudiziario per comprendere ciò che la storia dell'arte ha compreso da secoli. Si cerca di interpretare nel modo corretto una creazione, poi ci si confronta con ciò che dice l'autore: si trovano conferme - ho capito bene - o si rivedono le proprie posizioni - ho capito male, poco o nulla. Quella dell'autore non è un'intepretazione della propria opera - ciò sarebbe infatti assurdo, ci mancherebbe che uno non sa quello che crea e cosa ci ha messo dentro -: è la verità su (e di) quell'opera. Questo in generale.
Nel particolare, ti chiedo di illustrarmi quale immagine, simbolo o sequenza Shinkai usi in maniera sbagliata, senza potenza, senza grandezza. Quale tema sia così sciocco, così risibile. Ben inteso che quelli da te citati sono la mera superficie e non il nocciolo concettuale dei film di Shinkai, e che non sono certo io a forzare dentro di essi significati a loro estranei, avendo ampiamente ricevuto conferma della mia lettura dalle dichiarazioni del regista. Ma magari per averle rilasciate è solo "un artista del tutto patetico"; come gli altri, del resto, no?
tirerò le conclusioni finendolo di vedere ...
PS: Se non erro sta per uscire in italia,quindi lo comprerò al volo senza pensarci
Per il resto amo lo Shikai dei cortometraggi, ma l'ho visto annaspare in opere come in "5 cm for second" dove si sforano i 15 minuti, mi chiedo come possa cavarsela in un lungometraggio. Anche la recensione parla di una versione estesa di "5 cm" e questo mi indispone più che invogliarmi a vedere l'opera. La curiosità resta, quando potrò recupererò Hoshi o ou Kodomo e sarà la recensione a parlare. Al momento non posso che fare i complimenti a Catulla per l'ottimo elaborato^^
In effetti ricordo che la scena dell'immagine dello screenshot 8 mi aveva dato l'idea di essere pregna di contenuti e alcuni non si sagomavano in modo definito nella mia mente, anche perchè non mi sono soffermato a stoppare la visione in quell'istante.
Quel tuo breve accenno di contenuti, posture e simboli m'ha aiutato a definire meglio quelli che erano i miei sentori (la pietra in piedi mi era sembrata un po' "fuori posto" infatti)
Non vedo quale danno possa cagionarmi il fatto che Tenshi no tamago sia un film scaturito dall'intimità di oshii, lo sapevo già, non occore che sia tu a venirmelo a dire. Anzi, se non sbaglio ne avevamo pure già discusso assieme. Io lo portavo semplicemente come esempio di film che "parla per immagini", cosa che non è certo un'esclusiva di shinkai, e io avevo inteso che tu portassi tale caratteristica come fattore di estrema originalità. Ma evidentemente avevo male inteso, dato che asserisci pure tu che "non è certo un ghiribizzo degli Shinkai giapponesi" Nulla da obiettare su questo, è autoevidente.
Io ho convenuto che vi sia il tentativo di trasmettere un messaggio, certo, ma questo è dire cosa ovvia, come poter negare che un tentativo vi sia? Un' opera di animazione è un atto di volontà di un autore, e in quanto tale ha, sperabilmente, uno scopo. Come ho già detto, è il risultato ciò che a mio avviso è scadente, all'interno della casistica dei film da me visualizzati. Ora, tu ti tiri fuori dal gioco dicendo che ti rifiuti di giudicare sulla profondità di una riflessione, ebbene, asteniamoci pure, assecondando il tuo deisderio, ma sappi che non mi convinci dicendo che invece si possa valutare sulla profondità di un tema. Non si può semplicemente dire che se l'opera tratta un tema "tal dei tali" allora è bella, si dovrebbe cercare di capire se lo fa bene o lo fa male. Ma qui, mi sembra, si entra nel campo in cui tu hai deciso di astenerti dal rispondere. In ogni caso ho più volte detto che non critico la recensione di catulla, che tu chiami ancora in causa. Non a caso non sono entrato nel merito, dato che mi pare egregiamente motivata. Anche la sua spiegazione di quell'immagine l'ho trovata certo interessante, anche se asservirmi alla tua argomentazione, che si basa su un ipse dixit, non ci tengo, pure fosse proferito dal dio dell'antropologia. Ho solo usato il contesto per fare una affermazione circa il mio pensiero a riguardo dell'autore, a prescindere dal film in questione. Distinguiamo ciò che è più una provocazione da ciò che invece è un discorso che vuole essere serio. Ebbene, mi presto volentieri a farlo.
Per quanto riguarda il discorso relativo al rapporto autore-opera, ebbene mi trovi in diasccordo ancora una volta. Intanto perchè non è un rapporto bilatero quello di cui si sta parlando qui, ma uno trilatero, ovvero autore-opera-spettatore. Tu dici: ci mancherebbe che un autore non sappia quello che crea. Secondo me almeno un poco è proprio così^^ Non so se tu hai mai sperimentato la creazione di un qualcosa di artistico, ma chiunque lo abbia fatto almeno una volta in qualunque campo dell'arte sa che ciò che poi ottiene non è mai realmente ciò che ha voluto. Lo so sia per esperienza personale, ma per farti un ulteriore esemplificazione mi viene in mente il caso di Lovecraft, che in vita sua ha rigettato e rifiutato moltissimi dei suoi racconti che ancora oggi i critici celebrano tra i suoi migliori (ma non è certo il solo ad aver disconosciuto alcune proprie opere). Sarà pure ingenuo, il mio pensiero, ma ritengo erroneo considerare l'autore il dio tiranno della sua opera. Lo spettatore non è solo una figura statica ed esterna, ma parte integrante dell'opera, che deve contribuire a creare con la sua attività interpretativa. Sono conclusioni che trovo del tutto accettabili alla luce delle idee novecentesche in tema di relativismo gnoseologico ed ermeneutica. Allora tu mi obietterai: quindi tutte le possibili interpretazioni sono buone, anche quelle più scellerate? Io ti risponderei di primo acchito di no, dipende dalle motivazioni che uno adduce, vogliamo dire ragionevoli? Ma a dire il vero ritengo che la domanda posta sia irrilevante, il valore definitivo di un'opera d'arte, in quanto l'arte si volge a finalità estetiche, è dato da quello che le attribuisce il soggetto giudicante. La valenza in sè delle dichiarazioni ufficiali è a mio avviso nulla, al massimo potranno portare ad un più o meno edificante confronto di indagine intellettuale. Una volta chiarito ciò, passiamo alle tue domande. Invero, mi pare piuttosto facile, come strategia, quella di domandare, e tu fai delle domande a cui è difficile rispondere XD, dovremmo vedere il film assieme per poterti dire dove quando e come vi siano a mio avviso delle scelte che disapprovo. Proverò a farti un esempio in cui non mi è piaciuto il modo di fare di shinkai, ricordo or ora l'episodio della seconda parte di biyosoku, narrato dal punto di vista esterno di una amica del protagonista. Ebbene, a mio avviso una trovata di questo tipo si è rivelata fallace, perchè si è sconfinati in un romanticismo a dir poco stucchevole e stereotipato nel descrivere le azioni della ragazza di fronte all'apatia del compagno, non so quali significati nascosti si potessero celare dietro a tale arguta narrazione o visione, sicuramente molteplici, ma l'ho trovata di dubbia qualità e piuttosto banale nel suo svilupparsi in modo del tutto lineare, soprattutto con riguardo alle e-mail mai spedite, espediente del tutto predicibile. In ogni caso sono bellamente convinto che, ad ogni argomentazione ulteriore che io possa portare, tu troverai brillanti risposte da obiettarmi, quindi l'unica cosa che posso fare è rimandarti alla mia recensione, forse ti apparirà scritta da un dilettante, ma altrettanto vero è che potrebbe risultarti meno oscuro il perchè io non sia riuscito ad apprezzare tale titolo.
Ps. simpatico il riferimento alla sentenza del '28.
o non hai visto film come Porco Rosso o Totoro, o non sai cos'è la sceneggiatura e il cinema.
Comunque si parlava di Shinkai e ripeto, per me si affida troppo alla meraviglia della tecnica, delle immagini più che a una scrittura del film ben calibrata.
Il potenziale dei film di Miyazaki (e anche dei lavori di Shikai, per quanto ho visto) non sta nella trama ma nel potere suggestivo dell'animazione e nella coerenza e onestà delle tematiche trattate.
Guardati Hoshi... magari con i "miei" sub
Quel fotogramma non dura poi moltissimo, è quasi una suggestione, o appunto un miraggio. E la pietra può in effetti sembrare "fuori posto" perché impedisce di vedere chiaramente ciò che sta dietro ^^
@Kary89
Ecco, non ho detto che "Hoshi o ou Kodomo" è una versione estesa di B5cm, ma che sono presenti anche qui i temi del distacco e della nostalgia. La differenza significativa, e il salto ulteriore compiuto da Shinkai, sta nel proiettarli in una dimensione oltremondana, con tutto ciò che ne consegue. Kary, ricorda che Shinkai è molto giovane, che ha cominciato adesso. Io rispetto al precedente lungometraggio ho trovato un autore più maturo e molto più consapevole di sé. Ciò non vuol dire che "Hoshi o ou Kodomo" non sia esente da difetti - non dimentichiamo la piattezza dei personaggi, la vacuità di certi dialoghi e le musiche -, ma che bisogna spingersi al di là di essi per cogliere il lavoro di simbolizzazione non indifferente che è sottostante dall'inizio alla fine del lungometraggio.
eh sì io l'ho percepita come "fuori luogo" perchè pensavo potesse avere un altro senso oltre allo "stare lì tanto per fare", anche se non mi sono soffermato a pensarci (ora che ho letto la tua interpretazione, potrebbe impedisce di vedere cosa c'è oltre...)
Ricordo che mi fece strano anche che la bambina si sedette, come ad aspettare che il guardiano sparisse o a "celebrare" quel momento, piuttosto che osservare la scena in piedi (visto che non era stanca o altro)
SPOILER
Ma ricordo male o in quella scena c'era l'animaletto della bambina che veniva "fagocitato" dal guardiano ?? oppure si riferisce a quando il guardiano si allontana per andare a morire ??
A kitaniano risponderò in privato.
Sì, una simpatica verità, senza dubbio, il professore di estetica ce la esponeva ridendo.
Comunque, Onizuka, vedo che hai sfog(gi)ato una notevolissima mole di acrobazie sofistiche nel tuo corposo contraddittorio. Con tanto di salto sui trampolini (verso il nulla relativistico) di gnoseologia ed ermeneutica, figliolette viziate di madama filosofia, il più affascinante aiuto nell'elevazione dei ragionamenti verso un iperuranio di fumo.
Ora, non fraintendermi, è senza dubbio un'attività che può avere i suoi risvolti pratici, quella di speculare filosoficamente. Peccato che spesso e volentieri trascini i pensieri dal concreto all'assurdo. D'altronde, se facendo filosofia si può giungere logicamente a dei paradossi logici - "il non essere è" e simili stronzate, per dire -, va da sé che bisogna affidarsi ad altri strumenti, più utili, più idonei in relazione alla nostra discussione. Altrimenti uno finisce per confondersi e perdere il filo. Come mi pare sia avvenuto.
Provo a fare un po' di chiarezza, con un esempio, se non ti scoccia seguirmi. Metto insieme quattro parole. "Voglio bene a Narzal". Bene, ho costruito una frase il cui significato parrebbe piuttosto evidente - e in effetti lo è - ovvero provo affetto verso qualcuno. Nel caso in particolare Narzal. E' un esempio, ovviamente. Ma comunque non ho detto una bugia, tutti vogliamo bene a Narzal, si capisce.
A ogni modo, non si possono dare letture di senso contrario o differente rispetto a quella sopraesposta, poiché, secondo le convenzioni semantiche della lingua italiana, quei segni - le lettere che formano le parole -, organizzati in quel preciso modo, codificano un contenuto ben determinato, solo e soltanto quello, e non li si può quindi interpretare in maniera arbitraria. Ripeto, è solo un piccolo esempio, l'argomento è esposto in modo esauriente in qualsiasi manuale di semiotica, cui appunto rimando. E' infatti più opportuno, rispetto alla nostra questione, rivolgersi a questa signora che si occupa, appunto, di ciò che stiamo trattando, anziché affumicare il nocciolo del discorso con filosofumo relativistico.
Comunque, tutto questo preambolo ci porta allo spunto che hai introdotto tu riguardo alla creazione artistica eccetera. Ecco, vedi, Onizuka, penso proprio che, nell'ipotesi in cui io dovessi scrivere qualcosa di artistico, mi romperebbe alquanto le palle che un esimio signor vattelappesca mi mettesse in bocca - aka leggesse nelle mie frasi - pensieri non miei. A prescindere dal fatto che ciò è un controsenso alla luce di ciò che abbiamo visto poco prima - che, se non l'avessi capito, non è una mia opinione, ma la condizione che regola qualsiasi forma di comunicazione, compresa quella che adesso sta avvenendo tra me e te -, c'è un altro aspetto da considerare.
Per assurdo, accettiamo l'arbitrarietà interpretativa che va tanto di moda. Se la spingiamo all'estremo, si giunge a degli esiti piuttosto inquietanti, come per esempio è capitato con "Il Signore dei Anelli" di Tolkien. Non so se ne sei a conoscenza. Nel libro, secondo l'interpretazione di certi santoni di estrema destra - di cui tra l'altro era un accolito quel mentecatto di Firenze che ammazzò tre immigrati -, sono stati trovati contenuti che inneggiavano al nazionalismo, alla supremazia della razza bianca e altre fascio-balle varie. L'interpretazione è stata smentita dallo stesso Tolkien, che ha negato in toto e in maniera categorica ogni connotazione fascista della sua opera.
Capirai bene che, se dovessimo seguire le tue posizioni, tali smentite non avrebbero alcun peso, e alle opere di ogni autore si potrebbero quindi affibbiare contenuti non solo a esse estranei, ma che magari sono anche del tutto contrari alla morale e ai princìpi dell'autore medesimo. In pratica l'autore smetterebbe di avere voce in capitolo sulle sue creazioni, terra di conquista per la follia di sedicenti ermeneuti consacrati alla fonte del relativismo. Conclusione, mi pare, inaccettabile e credo di non doverne sottolineare ulteriormente l'assurdità.
Diverso, ma al contempo simile, è il caso di Lovercraft, che tu citavi. A quanto ne so io, e mi correggerai se sono male informato, lo scrittore nella sua vecchiaia ha rinnegato quei racconti che propugnavano delle ide(ologi)e marcate da un forte razzismo che lui ormai rigettava. Lovercraft si riferiva ai contenuti degli scritti, e non alla loro qualità letteraria, che è cosa ben diversa.
Tutto ciò per dire che, laddove si vuole intavolare una comunicazione di X tipo, un mittente invia un messaggio attraverso un mezzo - codice -, e il ruolo del ricevente è quello di decifrare correttamente il messaggio a lui giunto affinché la comunicazione vada in porto (Sensini, La dimensione linguistica, paragrafo uno: la comunicazione). Il ricevente non prende parte alla formulazione del messaggio. Al massimo lancia un feedback, "Ok, ho afferrato il concetto", e poi si invertono i ruoli e gira la ruota della discussione, al cui fondamento sta sempre l'esatta decriptazione del messaggio, pena la rottura delle comunicazioni e il verificarsi di un fraintendimento, termine che, se davvero fosse legittima la libera interpretazione, non dovrebbe esistere. Invece non è rado il verificarsi di fraintendimenti e, per esempio, io ho detto non che "Tenshi no tamago sia un film scaturito dall'intimità di oshii", ma che è un film senza contenuto che Oshii ha realizzato solo per se stesso - un esercizio di stile, se preferisci. E poi ho detto non che mi astengo dal "cercare di capire se [un'opera] lo fa bene o lo fa male [trattare un argomento]" - dato che è uno degli aspetti su cui tento di ragionare in ogni mia analisi -, ma che non ho un metro per valutare la profondità di un tema rispetto a un altro. Inoltre ho detto non che la lettura dell'immagine operata da Catulla sia un ipse dixit, ma che i suoi saperi, nel contesto di specie, danno alle sue opinioni un'autorevolezza che né io, batterista metal (secondo qualcuno), né tu, aspirante avvocato, possiamo vantare, essendo meri profani rispetto a quelle tematiche.
In ultima, per chiudere un post ahimè troppo prolisso, il senso di quella trovata cui tu alludevi si può spiegare riflettendo sull'ovvietà "Un pazzo non sa di essere pazzo". Un idealista non sa di esserlo, per cui non si può rappresentare la sua prigionia mentale, la sua alienazione, attraverso il suo punto di vista, ma è logico ricorrere alla visione di un soggetto esterno, la ragazza appunto. E' quello il senso della scelta, tutto lì. Lascio a te, se ne avrai la voglia, il ragionare con un ottica diversa sulle altre critiche che muovevi nella recensione. Che ho già letto, d'altronde, viste le mie mansioni ciò era piuttosto scontato. Come molte delle cose che ho illustrato, del resto.
Dimmi, devo prenderlo come complimento o come presa per i fondelli? XD (ps. potrei farti la stessa osservazione
Permettimi di dirti che la filosofia è tutt'altro che fumo negli occhi o inutile, e che la speculazione filosofica è una delle forme di sapere più nobili concepite dall'uomo. In fin dei conti anche la matematica si basa sulla logica, che è una branca della filosofia. E anche la scienza si basa su assiomi indimostrati, sui cui alla fine si fa un atto di fede.
Ora, tu sostieni che il linguaggio sia un codice convenzionale, e su questo non vi sono dubbi, ma io sarei più cauto ad affermare il fatto che esso possa essere univoco. Il tuo esempio su narzal è volutamente (dato che sei un furbone) semplice per dare l'illusione della certezza, ma il liguaggio sa essere molto più sottile anche in casi apparentemente banali^^ Nella comunicazione vi è sempre una piccola perdita di informazioni. Innanzitutto vi è perdita di informazione nel momento in cui devo traformare il mio pensiero in parole, vi è perdita di informazioni poi all'atto di ricezione, poichè chi riceve le informazioni le rielabora a modo suo carpendo quello che è in grado di carpire. E così via questi passaggi si ripetono nella risposta. Inoltre la sanno bene i giusperiti la difficoltà dell'interpretazione ed intrinseca soggettività del linguaggio a proposito della legge, appunto, la quale non è altro che comunicazione attraverso codici linguistici estremamente precisi e tecnici, e che in teoria quindi dovrebbero essere esenti da fraintendimenti. Con un po' di realismo si dovrebbe sottolineare invece l'ineliminabile soggettività di ogni atto ermeneutico svolgentesi su un insieme di parole, per quanto rigorosamente scritte e concatenate che siano, l'interpretazione resta ineluttabilmente concatenata da una serie di precomprensioni e dalla sensibilità proprie e diverse per ogni uomo. Non sono solo parole mie, ma del preside della facoltà di giurisprudenza, non certo il primo che passa per strada. Uno stesso caso sottoposto a 25 giudici diversi verrebbe giudicato in 25 modi diversi, e vi sarebbero 25 diverse giurisprudenze (come la coutume di parigi XD)^^ Non è un caso che sia fondamentale nel nostro ordinamento la funzione nomofilattica del giudice di legittimità, altrimenti vi sarebbe il caos come accadeva di fatto nel periodo pre-codicistico dove si richiedeva un tipo diverso di controllo (è vero che vi possono essere casi di interpretazione autentica, ma sono più unici che rari). Non voglio annoiarti oltre in merito, ti dirò solo che vi possono essere diatribe nella dottrina anche solo riguardo al significato circa preposizioni, nemmeno frasi intere
L'obiezione che tu fai è sicuramente lecita, l'autore può certo biasimare chi gli mette in bocca parole che non voleva esprimere, ma questo non cambia la realtà, anzi la conferma maggiormente. Del resto le interpretazioni deviate che tu citi sono per lo più visioni che vengono distorte o forzate volutamente, mentre il sapere richiederebbe una certa onestà intellettuale. Inoltre vi possono essere interpretazioni incredibilmente belle e costruttive su un'opera anche se tali non erano ciò che l'autore voleva esprimere, le buttiamo via perchè non conformi alla sua volontà?
L'utilità di poter sempre decifrare correttamente ed esaustivamente un'opera artistica, comunque, è smentibile anche sotto un'altro punto di vista. Quale valore ha poi la verità, sempre che di verità si possa parlare, anche se la si potesse raggiungere? Vedi, il tuo discorso è interessante, ma a mio avviso non porta da nessuna parte, perchè finisce per dare valore alla cosa in sè. L'unica versione che ha valore è quella che l'autore dice. Ma a mio avviso è inutile un discorso di questo tipo, non ha senso parlare di valore in sè, il valore di un qualcosa di artistico ha significato solo per il soggetto che lo conferisce, d'altronde per definizione esso è soggettivo, poichè è un soggetto ad attribuirlo. Per esemplificare la mia posizione e non lasciarla un insieme di parole più o meno coerente, ti faccio esempio della mia esperienza personale. Prima avevo parlato delle dichiarazioni di anno su eva, ebbene, tali non inficiano nemmeno per un secondo il valore che eva ha per me, io confrontandomi con esse le ho trovate del tutto riduttive e tristi, e quello che è stato per me l'opera non è certo smentibile o sostituibile ed è la cosa cui io do più importanza.
Per tornare alla rece di Catulla, vedi, io ti ho criticato dicendo che la tua argomentazione era un ipse dixit perchè tu l'hai basata sul fatto che lei ha delle qualifiche. Questo può essere solo un contributo in più, ma il vero valore di quello che dice catulla sta appunto nella ragionevolezza di quello che dice, e non i quello che lei è, poichè un altro studente di antropologia potrebbe anche avermi dato una versione diversa.
Sulla "trovata cui alludevo" non è il punto di vista esterno il fattore da me criticato, ma il lido cui si volge la narrazione, che da troppo spazio alle turbe sentimentali della fanciulla, per nulla interessanti e del tutto simili agli stereotipi tipi del genere. Secondo me si è resa malissimo in questo modo la sua apatia, ammesso che fosse questo lo scopo, avrei auspicato qualcosa di meno banale. Inoltre trovo che sia un voler idealizzare troppo l'idea di una pena d'amore il lasciarla metabolizzare tanto a lungo e in modo tanto distruttivo. Questo perchè non si capisce da dove venga cotanto dolore e turbamento, dato che la relazione precedente è quasi del tutto estromessa e lasciata inspiegata se non superficialmente, senza che vi siano premesse per poter giustificare una tale libagione di tristezza. Se mi vuoi descirvere la sofferenza e la solitudine non lo puoi fare solo mediante qualche scena di paesaggi sconfinati e un po' di autonichilismo, è un'osservazione che si può fare ictu oculi.
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Riguardo l'aneddoto su lovecraft la causa che ha cagionato lo disconoscere alcune sue opere sembra essere il fatto che ne fosse rimasto grandemente insoddisfatto, è risaputo che lui fosse il più grande critico di se stesso, questo vale quasi sicuramente per "La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath" che rimase inedito fino alla sua morte.
Tu dici:
Se mi vuoi descrivere la sofferenza e la solitudine non lo puoi fare solo mediante qualche scena di paesaggi sconfinati e un po' di autonichilismo, è un'osservazione che si può fare ictu oculi.
Non sono d'accordo. Prova a prendere un qualsiasi quadro di Friedrich: dipingendo "solo" un paesaggio, l'artista veicola con straordinaria forza espressiva la sua poetica (la soggezione dell'uomo di fronte al sublime, la sua debolezza al cospetto della maestosità della natura), per alcuni versi simile a quella di Shinkai. Degli uomini ritratti non occorre conoscere dettagliatamente la storia, bastano pochi tratti per ergerli a simboli del messaggio che, consciamente o incosciamente, in maniera chiara o criptica, ci vuole mandare.
D'altronde sei tu stesso a dire che il valore di una produzione artistica assume il suo pieno significato nel soggetto che lo recepisce: sebbene tu possa trovare scarsamente comunicativo, ad esempio, "Il viandante nel mare di nebbia", questo non implica necessariamente il poter affermare che per tutti debba essere così (non foss'altro che, come nel caso di Shinkai, saresti costretto a riconoscergli un'eccellente realizzazione tecnica, quindi un valore).
Lo dici tu stesso, prendi un quadro, stiamo forse parlando di quadri? No, ma di un'opera di animazione. I due sono medium che comunicano in modo diverso. Nel quadro da te citato l'uomo è un simbolo e non rileva lui in sè. Nel film in questione invece c'è un elemento psicologico importante che deve essere giustificato, altrimenti risulta forzato, estraneo, muto. Perchè questo film non si basa su simboli e basta, come potrebbe essere un tenshi no tamago, dove le figure si muovono in continue metafore e allegorie, ma ha una narrazione in cui è evidente che i trascorsi dei personaggi hanno una rilevanza. Io guardando il film non capivo proprio donde cagionasse cotanto dolore e mi sembrava del tutto una farsa messa lì apposta per creare del pathos. Gli splendidi fondali forniscono solo un supporto per il senso di alienazione, ma non una giustificazione allo stato emotivo del protagonista, che risulta del tutto infondato. Certo, non è necessario che si sappiano vita morte o miracoli, ma va da sè che si debbano creare delle premesse perlomeno sufficienti. Persino un anime come utena, che è del tutto simbolico, quando inserisce un elemento psicologico lo giustifica benissimo e lo descirve alla perfezione nel suo svilupparsi per renderlo credibile, cosa che questo film si sogna di avere.
non foss'altro che, come nel caso di Shinkai, saresti costretto a riconoscergli un'eccellente realizzazione tecnica, quindi un valore
Una bella forma non vuol dire una bella sostanza, e io di certo non riconosco un valore a quello che per me è un contenitore pressochè vuoto, ma l'ho già spiegato prima.
Ritornando al succo della faccenda, non è la giurisprudenza lo strumento pertinete per comprendere la significazione dei segni e la struttura e i meccanismi della lingua. Ti ribadisco, se vuoi studiare in modo corretto l'argomento, tra un tomo di diritto civile e un altro di diritto penale (sostituisci pure questi nomi con quelli delle materie che stai preparando per adesso), prendi in mano, che so, un manuale di Eco. O fai una capatina a qualche lezione di semiotica. Meglio se a lettere anziché a scienze della comunicazione, consiglio spassionato. Lì troverai una trattazione più puntuale e organica che il mio esempio, semplice per comodità, non aveva la pretesa di svolgere, rappresentando soltanto un piccolo cenno a quel funzionamento che regola tanto le proposizioni minime più immediate (Voglio bene a Narzal) quanto le costruzioni linguistiche più articolate, raffinate e complesse (I promessi sposi, titolo a scelta). Il tutto in relazione ai contenuti di un testo e alla loro decodifica a partire dal medesimo testo, ciò che appunto si chiama lettura e comprensione del testo - che poi dovrebbe essere ancora insegnata nelle scuole prima di giungere all'università.
Pensavo si fosse capito, ma come vedo hai divagato in giostre di circonlocuzioni circa i rispettabilissimi casini della tua futura professione, e girando un po' qui e un po' lì sei andato a parare alla questione sul valore delle opere in sé cui io nemmeno avevo accennato. E, tra l'altro, hai pure saltato a pié pari la dimostrazione della tua precedente idea secondo la quale il ricevente prenderebbe parte alla formazione del messaggio del mittente. Il che, oltre al meritarsi un bel WTF, è una cosa ben diversa dall'affermare che durante il processo di decodifica avvenga una perdita d'informazione. Ne sono ben consapevole, anche il Sensini lo spiegava bene, sempre nell'ormai famoso capitolo primo.
Ciò di cui dovresti essere altrettanto consapevole tu è che perdere una piccola quantità dati e rielaborarli a proprio piacimento - ovvero la tanto glorificata libera interpretazione - non sono due concetti affini. Stando al secondo infatti si annegherebbe nel totale caos comunicativo, dato che tutti potrebbero interpretare a proprio gusto le parole di tutti, e quindi sarebbe impossibile qualsiasi comunicazione e parimenti qualunque trasmissione di sapere e conoscenza. Questo oltre al fatto che, al contrario di quanto hai detto, il relativismo interpretativo, ipso facto, rende lecita la pratica di violentare il significato degli scritti altrui per ficcare in gola all'autore contenuti non suoi e/o non da lui condivisi. Una distorsione è sempre un'alterazione di un originale, cioè la creazione di qualcosa in precedenza inesistente, che sia bello e costruttivo o brutto e deviato non ha alcun peso.
Per nondimeno, se questa realtà ancora non ti convince, prova a farne un esperimento pratico. Al prossimo esame che sosterrai, alle domande del docente rispondi non riportando gli argomenti che lui hai spiegato a lezione, ma una tua libera e arbitraria interpretazione degli stessi. Torno a supporre che il docente, con il consenso del magnifico preside, non ne rimarrebbe molto contento.
PS
Grandebonzo è stato molto acuto. Onizuka, un anime tecnicamente è una serie di quadri in movimento, con tutte le conseguenze del caso.
Inoltre è facile argomentare estremizzando le cose e rigirando i concetti come ti pare. Libera interpretazione non vuol dire che tutto è lecito, vuol dire che si può interpretare nei limiti consentiti dall'opera stessa, vi sono opere che si prestano di più a questo tipo di attività, altre che invece non lo fanno, ma non è assolutamente vero che il significato sia sempre inequivocabile. Se l'autore da la sua versione, ciò afferisce alle sue intenzioni e non già all'opera, che potrebbe persino essergli venuta male e non comunicare ciò che l'autore vorrebbe. Ma come ho già detto, ciò che essa comunica lo comunica al soggetto. Io non ho insistito sul fatto che il soggetto potesse creare il contenuto perchè pensavo fosse pacifico. Va da sè che se vi è attività ermeneutica il soggetto crea un'immagine, o un'idea di ciò che l'opera vuole cmunicare, e questo non è forse opera di creazione?
Inoltre quando sono interrogato da un professore devo spiegare con parole mie cosa ho capito leggendo il libro, faccio una attività interpretativa, e il professore deve interpretare ciò che gli dico^^ Il che non è sempre facile XD
Inoltre è calzante anche il discorso sul valore in sè. Se noi prendiamo come valore in sè quello che gli conferisce l'autore. Non vedo dove io abbia divagato.
A ogni modo, argomentare estremizzando delle posizioni non è soltanto facile, ma anche utile, perché dimostra dove si possa giungere partendo da determinate premesse. Se adottiamo un metodo relativistico, chi può mettergli dei limiti e quali sono i suoi limiti. Se tutto è relativo, allora è relativo anche ciò. "I cretesi sono tutti bugiardi e io sono un cretese". Il serpente si morde la coda, Onizuka. Se sostieni la libera interpretazione, non le puoi porre degli argini, altrimenti non sarebbe più libera. Se a un autore neghi l'autorità di stabilire cosa la sua opera sia o non sia, allora automaticamente accetti che la si possa leggere in ogni maniera e nel suo contrario, buono o pessimo che sia. Per cui, se studiando il tuo libro di testo tu capissi l'inverso di ciò che c'è scritto e alle domande del tuo professore rispondessi esponendo proprio quell'inverso, lui non si alzerebbe in piedi ad applaudirti. Era questo ciò a cui alludevo riguardo al mio esperimento. Poi per smentirmi ti rinnovo il mio invito, puoi sempre fare una prova, ma a tuo rischio e pericolo, io non me ne assumo la responsabilità.
Ben inteso, anche il discorso sul valore di un'opera auto-sancito dal suo creatore è fuori luogo, perché altrimenti ognuno riterrebbe i suoi esiti creativi dei capolavori e alle porte del Louvre ci sarebbe una fila di sedicenti artisti del secolo con il biglietto numerato in una mano e una tela scarabocchiata da esporre al posto della Gioconda nell'altra. E nessuno potrebbe rispedirli ai loro luoghi d'origine o eventualmente alla clinica d'igiene mentale più vicina. Ripeto, il contenuto - il significato - è una cosa e il valore - la qualità - un'altra.
Limbes tu stai usando sofismi ora. E' un'idea ingenua quella di ritenere che se si pongono limiti alla libertà allora non è più libertà. Non è vero che quando si parla di libertà allora si parla di libertà incondizionata, il concetto di libertà è un concetto astratto che porta a fraintendimenti. La libertà di pensiero, per esempio, è sottoposta a limiti, come ogni altra libertà. Anche quella interpretativa ha dei limiti imposti dall'opera stessa (nel senso che vi sono opere del tutto aperte come opere che invece non si prestano molto all'interpretazione ma in tutte le opere quello che poi conta è quello che il soggetto riceve), quello del buon senso, della ragionevolezza e della bontà delle motivazioni. Ovviamente sarà difficile che una interpretazione del tutto distorta possa essere accettata da altri, perchè sarà facile poterla confutare, poichè forzosa. Se una persona offre un'interpretazione diversa da quella data dall'autore ma estratta in modo del tutto sensato e convincente non vedo perchè debba essere cassata, l'autore non può prevedere tutti i possibili significati della sua opera, e non deve essere così.
Egli è del tutto libero di dire ciò che secondo lui è la sua opera, ma come ho già detto questo afferisce alle sue intenzioni e non alla stessa, che può benissimo sfuggirgli di mano, o risultare ambivalente^^ il valore definitivo di un'opera d'arte, in quanto l'arte si volge a finalità estetiche, è dato da quello che le attribuisce il soggetto giudicante. La valenza in sè delle dichiarazioni ufficiali è a mio avviso nulla, al massimo potranno portare ad un più o meno edificante confronto di indagine intellettuale Ma così finisco per ripetermi.
Vedi, Onizuka, non ho utilizzato sofismi, ma posto delle questioni di carattere epistemologico. Sai, se decidi di utilizzare una metodo, devi vagliarne le fondamenta e scoprire dove conduce. Epistemologia, appunto.
Ora, se non lo sai, quelle che ti sono sembrate estremizzazioni, o ingenuità, sono le conclusioni cui realmente è giunto il relativismo partendo dalla relatività. Come i modelli interpretativi di Freud proiettavano cazzi e complessi edipici su ogni manifestazione umana - con il risultato che le analisi condotte per loro mezzo fanno pisciare addosso dal ridere -, allo stesso modo il relativismo è il metodo migliore per fare quattro chiacchiere con tutti senza mai prendere una posizione certa e dando ragione contemporaneamente a ognuno e a nessuno. E, nota bene, le critiche che muovo e che ho mosso non sono mie, ma provengono delle più disparate comunità scientifiche - scienze sia umanistiche sia scientifiche stricto sensu.
Tanto per citarti un Argan a caso (non so se lo conosci, è l'autore del manuale di storia dell'arte più adottato in Italia): "Senza il giudizio l'arte sarebbe un confuso ammasso di fenomeni disparati, in cui le opere che hanno caratterizzato un'epoca o una cultura, talvolta mutandone il corso, si mescolerebbero a parità di valore con una miriade di opere insignificanti, né più potrebbe mantenersi la distinzione, che ogni civiltà ebbe chiara, tra arti e mestieri". Addirittura la pone in termini di valore, pensa come s'incazzerebbe se gli mettessi in discussione la fedeltà interpretativa di un'opera. Ma con una buona dose di sfrontatezza potresti ripetergli ad libitum le stesse cose che ripeti a me, non preoccuparti della ripetitività. Repetita iuvant. Sed non obstinatio. In quel caso, non va bene, no bueno.
A ogni modo, ancora non è squillato alcun campanello d'allarme, ma non è consigliabile continuare ad abusare della tolleranza che c'è stata nei nostri confronti, considerando che siamo off topic da un bel pezzo. Se ti interessa continuare, è preferibile spostarsi in altri lidi, prima di un cazzìatone ufficiale.
Ho visto recentemente sia "5 Centimeters Per Second" che "Hoshi no Koe" e,dopo tutte le recensioni entusiastiche che avevo letto,ne sono rimasta profondamente delusa.
Il reparto grafico,l'aspetto tecnico è impeccabile,emozionante e curatissimo ma la sceneggiatura è un'optional ed è inutile che si vanti il talento del regista adducendo motivazioni basate sull'assunto "la grafica è spettacolare,per la sceneggiatura sta maturando perchè è ancora giovane" o,peggio "è grande artista,non è necessario approfondire dialoghi e esplicare i rapporti tra i protagonisti perchè le sue opere sono volutamente simboliche".
Secondo me l'immensa realizzazione tecnica delle sue opere non è sufficiente a colmare i difetti di sostanza,è corretto elogiare gli indubbi punti di forza di Shnkai ma è altrettanto corretto ammettere però,e il fatto credo sia pacifico,che sul lato della sceneggiatura ci siano delle mancanze.Per alcuni sono voluti simboli della desolazione umana,della solitudine,dell'incomunicabilità che desidera comunicare a chi guarda,per altri(tra cui al sottoscritta)sono la scelta di Shinkai di fermarsi alla comunicazione per suggestione visiva che,a quanto leggo,è parecchio apprezzata qui su animeclick!
Visto il suo grande talento come film maker autodidatta mi auguro venga presto coadiuvato da un degno sceneggiatore o sia la sua stessa maturità a permettergli di creare anime "completi"che sappiano comunicare su entrambi i fronti comunicativi e non solo tramite un reparto grafico perfetto anche perchè a lungo andare teme di diventare eccesivamente autoreferenziale.
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