Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci aspetta un viaggio nella fantascienza, con Ghost in the Shell - Stand Alone Complex, Ozuma e Fang of the Sun Dougram.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Con "Ghost in the Shell - Stand Alone Complex" il concept del noto manga di Masamune Shirow viene trasposto finalmente su serie animata, dico concept poiché veramente poco sopravvive delle vicende proprie del fumetto originario, si opta invece per una strada del tutto diversa che cerca di proporre qualcosa di nuovo, seppur tuttavia senza tradire troppo lo spirito cyberpunk che contraddistingue il suo progenitore. A onor del vero non credo si possa però parlare, in senso stretto, di cyberpunk vero e proprio, ma le tematiche della serie sono affini a questa corrente letteraria tanto da permettere più di un timido accostamento.

Nell'opera in questione fanno da padrone i topoi fondanti del genere, come ad esempio il rapporto uomo-tecnologia, in particolare tra uomo e macchina. In questo mondo alquanto futuristico infatti gli uomini hanno raggiunto un livello tale di sviluppo tecnologico da potere meccanizzare e rendere artificiale gran parte del corpo e questo pone inevitabilmente pesanti riflessioni circa l'essere umano e la sua sostanziale differenza dagli androidi, robot completamente artificiali ma dalle fattezze umane. In una delle vicende, ad esempio, si narra della drammatica quanto patetica storia di un amore impossibile tra un uomo e un'androide femminile, e della loro fuga da una società non ancora pronta per accettare una simile alienazione da ogni schema pulsionale umano, sebbene non sia così innaturale pensare all'amore per un oggetto o per una bambola, proiettato su un "essere" capace di muoversi e agire nel mondo, pur non dotato di autocoscienza. Altro tema fondamentale è quello della degenerazione sociale con tendenziali elementi distopici quali depersonalizzazione e alienazione, che vengono resi di certo in modo meno efficace e profondo che nel relativo film di Oshii. In ogni caso gli autori riescono a prodursi in una trattazione piuttosto dignitosa, cercando di focalizzare l'attenzione sul fenomeno sociale detto "stand alone complex" di cui si dirà più avanti.
Altro tema fondamentale in "GITS" è quello della rete e della realtà virtuale, che sposta l'attenzione sulla percezione individuale, soggettiva del mondo, questo si palesa in più di una occasione, ad esempio l'abilità de "L'uomo che ride" di impossessarsi degli occhi delle sue vittime per poter mostrare loro le immagini da lui programmate falsificando la realtà. Anche qui si rintracciano dei pallidi ricordi di quello che furono il film e il fumetto, sebbene non si possa parlare di una trattazione profonda e filosofica dell'argomento, comunque esso è inserito in modo magistrale ed efficace.

A mio avviso sarebbe controproducente approcciarsi a quest'opera proponendo un confronto con il famoso film di Mamoru Oshii, questo perché Kamiyama è evidentemente interessato più a narrare una storia cyberpunk in bello stile, ricca di complicate macchinazioni fantapolitiche e di spionaggio, che a imbastire una riflessione metafisica sull'idea di essere umano e di vita. Si deve quindi prendere la serie come manifestazione più 'disimpegnata' dell'universo di "Ghost in the Shell" in particolar modo tenendo da conto come i personaggi vengano resi in modo diverso, come ad esempio il maggiore, che si avvicina a incarnare quell'ideale di sexy-eroina alla Shirow piuttosto che il personaggio dilemmatico del film, o Batou, il quale si presenta più come un uomo rude e tutto muscoli, non certo il personaggio profondo tratteggiato da Oshii, soprattutto in Innocence (che seguirà a questa serie dopo due anni, 2004).
Il punto in effetti è da considerare più a fondo, i personaggi risultano anche qui abbastanza freddi e piuttosto inumani, questo perché si deve considerare il loro avvicinarsi alle macchine, mentre le macchine subiscono il processo inverso, acquisendo una loro coscienza e imparando ad affermare la loro personalità auto-riconoscendosi come entità individuali e ben definite, umanizzandosi. Questo è messo in risalto dai momenti in cui i Tachikoma si interrogano riguardo alla propria esistenza, vere e proprie perle di sceneggiatura che poi confluiranno nel culmine del loro farsi entità sensibili e coscienti, ovvero nell'amare e sacrificarsi per il bene della persona che hanno a cuore, momento di un'intensità commovente e apice emotivo della serie.

Resta ora da considerare quello che sarebbe dovuto essere il fenomeno centrale dell'opera, lo "stand alone complex", cui vengono purtroppo concesse troppo poche puntate per essere sviscerato con il dovuto approfondimento. In ogni caso, nella vicenda riguardante "L'uomo che ride", si riescono a dare le coordinate per comprendere a sufficienza tale fenomeno sociale, descritto come il diffondersi dell'imitazione di un simbolo, legato a un ideale, che si ripercuote come fenomeno sociale di massa ma che sembra non avere un punto iniziale, una causa scatenante. Esempio analogo, nella nostra realtà, sono i Meme, conosciuti da tutti e diventati di moda, nessuno o quasi nessuno ne conosce l'autore originale, eppure se ne fa largo uso e imitazione, similmente è per l'entità conosciuta come "L'uomo che ride" ispiratore di ideali puri e innocenti, motore immobile di un'intricata e cerebrale questione di etica e politica, che vede interessate diverse aziende prese nel mirino del terrorismo. Esso verrà imitato da una moltitudine di falsi "Uomo che ride" senza che si riesca a scoprire l'esistenza di un originale, di una causa causante primigenia.

"Ghost in the Shell - Stand Alone Complex" si distingue per una realizzazione tecnica d'avanguardia per il tempo (2002), e di bellissime colonne sonore adatte allo scopo di concretizzare un'atmosfera tesa e pregnante. La regia di Kenji Kamiyama è ottima così come la sceneggiatura, i dialoghi sono particolarmente interessanti, come già accennato soprattutto in occasione delle parti inerenti alle disquisizioni dei Tachikoma, a mio avviso punta di diamante della serie; la trama si snoda attraverso archi auto-conclusivi, spesso di un solo episodio, rimanendo però di sottofondo le vicende riguardanti il "Laughing man", che esploderanno verso la conclusione. Non posso che rimanere soddisfatto dalla visione e consigliare questa serie a tutti gli amanti del mondo di GITS e delle opere complesse, con una forte componente anche di poliziesco e di azione.



6.0/10
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A volte la scelta di uno spettatore medio è davvero ardua, specie se a suscitare il suo interesse sono le serie d'animazione giapponesi, dato l'alto numero di produzioni annuali capaci di venire incontro al gusto di ogni tipo di palato; per orientarsi il più delle volte si fa come con i film e cioè si sceglie il titolo dietro cui c'è l'autore affermato, quello delle serie che ci sono sempre piaciute o che comunque sappiamo essere tra i migliori. Questa è la scelta fatta almeno da me nei confronti di questa miniserie "Ozuma", che oltre a venire incontro ai miei gusti fantascientifici sapevo essere il primo lavoro originale da cinque anni a questa parte non di un autore famoso, bensì di un vero e proprio mostro sacro qual è tutt'oggi Leiji Matsumoto, il papà di opere fondamentali dell'animazione del Sol Levante (ma anche del resto del mondo), quali Corazzata Yamato e Capitan Harlock. E' inutile dire che lo studio di produzione Gonzo, da tempo afflitto da problemi di natura economica ma anche creativa, ha puntato molto sul nome del sensei, affidandogli la cura oltre che del concept originario anche e soprattutto della sceneggiatura, delle animazioni e del character design, senza però dare a questo titolo un budget adeguato, come d'altronde si evince dalla scelta stessa dell'esiguo numero di episodi.

Ambientato in un futuro dove un'anormale attività solare ha trasformato la Terra in uno scenario unico e desolato a metà tra l'universo narrativo di Mad Max, Dune e il pianeta Tatooine di Guerre Stellari, "Ozuma" è la classica storia matsumotiana con al centro un gruppo di personaggi anti-sistema, l'equipaggio del Bardanos, che si troveranno a contrastare l'esercito di un'oligarchia di cloni, gli Ideal Children, per salvare la classica figura mistica femminile alla cui esistenza si scoprirà essere legato il futuro del pianeta. La trama insomma è piuttosto scontata, i più cattivi la potrebbero definire banale anche per l'ennesima riproposizione di temi ecologisti triti e ritriti con un finale che sa di déjà vu già dai primi fotogrammi.

Contribuiscono a rendere ancora più seccante la visione allo spettatore con un minimo di infarinatura sull'argomento le numerose mancanze dell'aspetto tecnico, dovute evidentemente alla mancanza di fondi già citata; si va dall'abuso di una computer grafica piuttosto dozzinale (a cui lo studio Gonzo purtroppo ci ha già abituato con il film "Origine") fino all'oscena staticità dei fondali, tali da far rimpiangere il Matsumoto anni Settanta, dove almeno si esprimeva una certa poeticità pur nella povertà di risorse. A chiudere il cerchio di negatività, incredibile ma vero, è lo stesso chara design del maestro, capace di propinarci delle caricature che, pur avendo la tipicità del suo tratto, lasciano un senso di gommoso risultando senza un minimo di espressività, ma d'altronde questo non stupisce più di tanto, essendo i protagonisti personaggi che definire stereotipati è un eufemismo, tanta è la loro piattezza psicologica. Salva un po' la baracca il fatto che ci siano molta azione e scene di battaglia con il consueto corollario di numerosi termini scientifici a giustificare delle forzature quali due navi che si combattono nella sabbia come fossero in mare: d'altronde chi ama Matsumoto a queste cose non fa certo caso dopo aver visto sventolare bandiere pirata nello spazio e volare una corazzata della seconda guerra mondiale.

"Ozuma" è un'opera, quindi, che considerare minore è giusto un complimento, data la pochezza con cui è stata imbastita e le cui colpe vanno divise a metà tra la Gonzo e lo stesso maestro, per quest'ultimo comunque un piccolo errore di percorso che non ne macchia certo l'alone leggendario; di certo un'opera che sconsiglio a chi vuole avvicinarsi per la prima volta ai lavori del suo autore, e che indico solo a chi vuole passare un po' di tempo senza grandi pretese. Il mio voto sarebbe più basso, ma la stima e la gratitudine per un uomo che in gioventù e ancora adesso mi ha regalato tanti momenti epici con le sue magnifiche storie spaziali mi fanno dare la sufficienza, anche se con tante riserve.



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Space Century, anno 153: il pianeta Deloyeran, da sempre colonia della Federazione Terrestre, dopo l'instaurazione di un governo fantoccio rivendica la sua indipendenza. Crinn, figlio di Denon Cashim, governatore federale, sposa la causa dei suoi amici deloyerani e, abbandonata la facoltosa famiglia, si unisce all'insurrezione entrando nel gruppo della Zanna del Sole e diventando presto pilota del potentissimo Dougram. La guerra civile sarà lunghissima e dolorosa, e in essa si intrecceranno molteplici interessi...

Anime dall'importanza non relativa Dougram. Primo figlio della concezione robotica realistica/drammatica inaugurata da Gundam e, sopratutto, primo capolavoro del futuro re del Real Robot Ryousuke Takahashi. Una Prova, la sua, con la P maiuscola, un cult che, oggi riscoperto dopo decenni di oblio, aggiunge un nuovo rappresentante a quella decina di visioni robotiche fondamentali nell'evoluzione del genere. La domanda correntè è sicuramente quella del come trovare la forza di guardare una serie così vecchia, dai disegni così datati (prima e unica prova di chara design dello sceneggiatore Soji Yoshikawa) e composta da un elevato numero di episodi. L'unica risposta che mi sento di dare è che Dougram trascende la sua età, risultando tutt'oggi coinvolgente grazie allo sterminato numero di pregi. Il più importante dei lavori di Ryousuke Takahashi, che prima di inventare il "vero" Real Robot con Votoms, e aggiornarlo al massimo realismo possibile in Gasaraki e Flag, tra l'81 e l'83 racconta il primo, storico dramma di guerra dove il conflitto è analizzato nel modo più pragmatico possibile, nelle sue varie sfacettature politiche, economiche e sociali. È con Dougram che il suo nome diventa nell'ambiente sinonimo di storie dal background politico/militare curato oltre ogni limite.

Come da trama, incipit essenzialmente riciclato da quello di Gundam, ma è il modo di raccontare la storia che è antitetico. Se la creatura di Tomino racconta la guerra calandola in una storia di formazione dai toni epici e avventurosi, Takahashi lo fa in un modo così distaccato da farle perdere ogni residuo eroico, con una regia così oggettiva e priva di spettacolarità da sembrare quasi un reportage (tanto che il film riassuntivo che esce a fine serie addirittura si presenterà come documentario), e protagonisti del tutto irrilevanti nei giochi politici ed economici dei pezzi grossi che muovono le ostilità. Dougram è una metafora della Guerra Fredda, con il pianeta Deloyer che è un Paese dell'America Latina che tenta di liberarsi dalle odiose interferenze degli USA (l'immaginario stato di Medoul) che vi hanno instaurato un governo autoritario loro amico. Durante il conflitto i ribelli sono militarmente supportati dagli stati Kohod e Rodia (ovviamente, URSS e Cina), e la loro lotta ha così ripercussioni sulla politica, sull'economia e sull'opinione pubblica terrestre. Intuizioni che segnano il tratto fondamentale di quelle che saranno un po' tutte le future opere militari di Ryousuke Takahashi: setting ispirato alle vicende politiche contemporanee. E Dougram più di qualsiasi altro suo lavoro trasmette l'impressione di assistere a un vero scorcio di Storia: più e più volte la guerra d'indipendenza dei deloyerani, per effetto di ambientazioni, abbigliamenti e dettagli minori (la canzonetta rivoluzionaria spesso cantata dalla Zanna del Sole, sorta di Bella Ciao fantascientifica) fa rivivere echi di guerra civile spagnola e/o cubana. Lo stesso Crinn, per l'abbandono alla vita agiata in favore della guerriglia, ricorda Ernesto Guevara - e il rivoluzionario viene anche citato esplicitamente -.

Fang of the Sun Dougram pone in primissimo piano, con rigore ed esemplare cura dialogica, relazioni interpersonali, tattiche militari e macchinazioni politiche: ne sono prova le numerose discussioni della famiglia di Crinn sugli esiti e le conseguenze del conflitto, o le strategie con cui la Zanna del Sole e i suoi avversari portano avanti le loro battaglie, pensando a mille variabili come l'umore delle truppe, le munizioni rimaste, le implicazioni morali di una sconfitta, la conformazione geografica del terreno, le spese militari, lo stress del pilota Crinn... addirittura lo stato del carburante del gigantesco Dougram. In questo senso, per l'appassionato di Storia robotica, Dougram segna un altro passo in avanti verso la creazione del vero Real Robot. Come in Gundam anche in questo caso il robottone protagonista è invincibile (i veri robot realistici continuano a essere le unità prodotte in serie, i Soltic), ma è però sempre più smitizzato dal suo ruolo, sempre più vulnerabile, sempre più dipendente dalle debolezze psicologiche del suo pilota, tanto che in più di un'occasione è costretto a ritirarsi o addirittura a fuggire dai campi di battaglia perché rimasto disarmato, senza più carburante etc. Il forte realismo di fondo è ricorrente in ogni aspetto della trama, toccando caratterizzazioni psicologiche complesse (non si vedono spesso connotazioni umane date a ruoli odiosi quali spie, tiranni o traditori), analisi dei rapporti familiari e delle visioni della politica, riflessioni filosofiche sul ruolo delle idee, delle rivoluzioni e della mentalità degli individui nella Storia, intermezzi sentimentali una volta tanto credibili e non da romanzo d'appendice, tragiche e inaspettate morti dovute a pura sfortuna e non a immolazioni eroiche, crudo realismo degli scenari di guerra (ospedali militari, campi minati, soldati impazziti dallo stress etc.), etc. Interessante poi il ruolo dei componenti della Zanna del Sole, non passivi spettatori delle battaglie del Dougram ma veri e propri attori importanti che, con le loro armi, solitamente fucili o bazooka, intervengono attivamente nelle battaglie aiutando Crinn a sopravvivere agli scontri più duri. Si può forse parlare, per davvero, di una storia robotica ambientata in un contesto totalmente realistico.

Quello che però veramente stupisce dell'opera è come Takahashi imbastisce una storia lunga, minuziosa e dai tempi narrativi pachidermici (il soggetto principale procede a una lentezza esasperante, salvo poi "esplodere" nelle ultime quindici puntate) senza annoiare mai. Rispetto ai lavori successivi, maniacali a livelli tanto estremi da risultare gelidi (Gasaraki e Flag, ma anche il celebrato Votoms per certi versi), il regista trova in Dougram perfetto equilibrio tra intermezzi action e didascalici, presentando un coinvolgente dramma che tiene avvinghiati dall'inizio alla fine, anche a dispetto di un aspetto grafico vintage (non per questo inespressivo), protagonisti non irresistibili e una OST dimenticabile e ripetitiva. Questo, forse, perché più che di genere robotico Dougram vuole essere la semplice cronaca di una guerra civile, non si spiegherebbe altrimenti lo spazio risicato dato agli scontri tra robot, quasi sempre relegati agli ultimi tre minuti di episodio (tanto per fornire a Sunrise e agli sponsor il contentino mecha).

Un finale forse prevedibile, ma comunque evocativo e in piena linea con le premesse di realismo politico della vicenda, è la ciliegina finale che rende la visione di Dougram indimenticabile. Un'opera di culto assoluto che, finalmente recuperato e reso disponibile alla visione, si spera conosca tardivamente la dovuta consacrazione internazionale a opera tra quelle imprescindibili del genere. Un lavoro che per i suoi temi è unico nel mondo dell'animazione, se si esclude Legend of the Galactic Heroes realizzato sei anni dopo e che riesce addirittura a eguagliarlo.