Prosegue la rubrica a cadenza mensile in cui andare a presentare i manga più apprezzati dalle recensioni della nostra utenza. Per ovvi motivi, la maggior parte dei titoli qui presentati sarà una selezione di quanto pubblicato ufficialmente dagli editori italiani, con ben poco spazio per gli inediti. In questo settimo appuntamento, si andranno a prendere in esame i manga anni 1980-1989: dopo una classifica dei primi 30 posti si darà spazio ad una serie di recensioni utente su alcuni dei titoli della classifica meno noti al grande pubblico – oltre, ovviamente, al podio. Buona lettura!  
1 Touch 9,214
2 Maison Ikkoku 9,111
3 Rough 9,031
4 Nausicaa della valle del vento 9,000
4 Le bizzarre avventure di JoJo: Stardust Crusaders 9,000
6 Video Girl Ai 8,947
7 Dragon Ball 8,904
8 City Hunter 8,895
9 Proteggi la mia Terra 8,800
10 Berserk 8,770
11 Banana Fish 8,667
12 Akira 8,588
13 The Five Star Stories 8,583
14 La Storia dei tre Adolf 8,571
15 La Saga delle Sirene 8,467
16 Ken il guerriero 8,455
17 Le bizzarre avventure di JoJo: Phantom Blood 8,452
18 Dragon Quest - La grande avventura di Dai 8,423
19 La leggenda di Hikari 8,417
20 Short Program 8,357
21 Kimagure Orange Road 8,310
22 Le bizzarre avventure di JoJo: Battle Tendency 8,235
23 Saint Seiya 8,229
24 Georgie 8,222
25 Three 8,167
26 Love Me Knight - Kiss me Licia 8,154
27 Classe di ferro 8,143
28 Sussurri del cuore 8,125
29 Ranma 1/2 8,082
30 3x3 Occhi / Trinetra 8,077
 
>>Tutti i manga degli anni '80<<

9.0/10
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"La vita! Non parlatemi della vita." Così diceva Marvin, l'androide paranoico di "Guida galattica per autostoppisti" che ispirò ai Radiohead la celebre canzone. A Mitsuru Adachi, invece, la vita piace e ne parla volentieri, con la grazia tutt'altro che improvvisata che lo contraddistingue e che, accingendomi a recensire questo titolo, vorrei tanto possedere anch'io. "Touch", infatti, è uno di quei manga che ti danno l'impressione di aver già detto tutto ciò che valeva la pena di dire in merito ai temi di cui tratta, costringendoti ad imbastire un banchetto di parole con le poche briciole miracolosamente scampate al processo.

Kazuya e Tatsuya Uesugi sono gemelli, ma in comune sembrano avere soltanto i cromosomi. Tanto il primo, promessa del baseball giovanile, è coscienzioso, amabile e riflessivo quanto il secondo, conosciuto come "il fratello scemo", è superficiale e discontinuo, sempre alla ricerca di una scusa per non fare il proprio dovere o di una sottana da sollevare con discrezione per vedere di che colore sono le mutandine di colei che la indossa. Non hanno segreti l'uno per l'altro e neanche per Minami, la loro perspicace vicina di casa e amica d'infanzia. Tutti danno per scontato che presto o tardi lei e Kazuya si metteranno insieme, compreso Tatsuya che, pur amandola quanto il fratello, cerca di non lasciar trapelare i suoi sentimenti perché convinto di non avere nulla da offrirle; nessuno, tuttavia, ha mai pensato di interpellare la diretta interessata, che non si sente ancora pronta per prendere una decisione di cui teme, a ragione, le conseguenze.
Il sogno di ogni giovane giocatore di baseball del Giappone è il Kōshien, dove ogni anno viene decretata la miglior squadra liceale del paese. Kazuya, tuttavia, ha una ragione in più per volerci andare: lo ha infatti promesso a Minami, che da sempre anela a vederlo sul monte di lancio del leggendario stadio con il numero 1 stampato sulla divisa. Ma per un crudele scherzo del destino sarà l'altro Uesugi, quello buono a nulla per antonomasia, a ricevere la pesante eredità di un sogno che soltanto lui ha il potenziale per non far andare in frantumi.

Non amo gli spokon e non amo gli Slice of Life. Ne consegue che uno spokon con prominenti venature di Slice of Life - o uno Slice of Life condito con pizzico di spokon, a seconda dell'aspetto che si ritiene più importante - fosse destinato a non piacermi, ma fortunatamente ogni regola ha la sua eccezione. Nel mio caso non poteva che trattarsi di questo titolo, visto che essere la terza di quattro fratelli mi ha portata a sviluppare una naturale sensibilità nei confronti della questione delle rivalità in famiglia.
Mi capita spesso, nelle mie recensioni, di lamentarmi di autori che credono che basti avere una storia da raccontare per essere in grado di farlo; Adachi non solo sa quello che fa, ma lo fa bene e soprattutto senza l'ausilio di effetti speciali. Fin dall'inizio, inoltre, egli cerca di mettere il lettore a proprio agio, tenendolo sì per mano, ma senza mai strattonarlo. Casomai vi fosse bisogno di un'ulteriore riprova che non è la trama a fare la differenza, bensì il modo in cui essa viene sviluppata, questo manga, con il suo incedere leggiadro ma sicuro, si presta in modo ottimale al sostegno di una simile tesi.

Ma considerare "Touch" una semplice storia d'amore e di sani principi sarebbe oltremodo riduttivo: prima ancora di un traguardo fisico, infatti, per Tatsuya e Minami il Kōshien rappresenta la tappa finale di un lungo e sofferto percorso di maturazione sia a livello personale che come coppia. Se lui lotta per riscattarsi agli occhi di chi lo circonda - compresi i propri - lei deve riuscire a trovare un modo per venire incontro alle aspettative che suscita negli altri senza snaturare o rinnegare se stessa. Non sarà facile per nessuno dei due, ma in caso contrario non vi sarebbe gusto né a raccontarlo né a leggerlo. Quel che è certo, ad ogni modo, è che senza conoscere gli individui che gravitano loro intorno non saremmo in grado di capire e apprezzare appieno il lavoro che svolgono su loro stessi. A tendere una mano al lettore in tal senso - una mano enorme, screpolata e piena di tagli - ci pensa Shōhei Harada, faccia da teppista e cuore d'oro, che più di una volta nel corso del manga darà prova di grande saggezza e di spirito di osservazione.
Anche gli altri personaggi, pur non rivestendo un ruolo altrettanto importante, risultano ben riusciti, al punto che non importa neppure se magari, nella vita reale, non li potremmo sopportare: è quello che ho provato ad esempio nei confronti di Yuka Nitta, piccola e acuta rompiscatole combattuta tra la lealtà nei confronti del fratello Akio, rivale di Tatsuya al gioco e in amore, e la sua infatuazione per quest'ultimo. L'unico che non convinta del tutto è il coach Kashiwaba, che è sì quanto di più vicino ad un cattivo Adachi abbia da offrirci - e almeno io ne sentivo il bisogno - ma che a mio parere non è stato sfruttato al meglio delle sue potenzialità. Nulla di così grave da condizionare il mio giudizio, in ogni caso, quanto piuttosto un rimpianto quasi pro forma per ciò che poteva essere e che non è stato.

Per quanto riguarda i disegni, beh... la regia sempre azzeccatissima delle tavole e la cura profusa nella resa dei fondali e delle atmosfere non lasciano dubbi sul fatto che neppure in questo campo Adachi sia da considerare uno sprovveduto, ma proprio per questo mi riesce difficile scendere a patti con il suo character design stilizzato. Non anonimo, attenzione: che piaccia o meno il suo stile è inconfondibile, in quanto funzionale ed immediato. Ciò non toglie che ogni volta che leggo nelle recensioni frasi tipo "la bella (inserire nome della protagonista di turno qui)", mi viene da inarcare un sopracciglio, perché io non noto alcuna differenza sostanziale in termini di venustà tra l'oggetto di siffatte lodi e altri personaggi femminili. So con Adachi "bella" significa anche e soprattutto esserlo dentro - e nessuno mette in discussione il fatto che Minami lo sia - ma credo sia legittimo aspettarsi di vederla, quest'avvenenza, non di intuirla e basta. Anche in questo caso, tuttavia, si tratta di riflessioni dettate più che altro da quelli che sono i miei gusti personali, e che come tali non sono di alcuna rilevanza ai fini di valutare il manga in questione. Per alcuni Adachi potrà anche disegnare in modalità "risparmio energetico"- anche se personalmente non lo credo - ma anche così combina molto più di quanto potrei mai fare io.

Il mio voto sarebbe 8 e mezzo, ma arrotondo per eccesso in quanto dare 8 a "Touch" sarebbe crudelmente inappropriato. Non vi è dubbio, infatti, che possegga una marcia in più che gli consente, a trentun anni dalla sua pubblicazione, di costituire un vero e proprio faro per le opere del suo genere.

10.0/10
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Maison Ikkoku è l'ennesimo capolavoro della Regina del Manga, Rumiko Takahashi. Ingiustamente poco noto al grande pubblico (rispetto ad altre perle come Ranma 1/2, Inu Yasha e Lamù) rappresenta una delle storie meglio riuscite dell'autrice giapponese, forse a causa del suo carattere "normale" così insolito nelle opere della grande Sensei.

Ad ogni modo, la trama ruoto attorno alle vicende di un gruppo di inquilini dell'Ikkoku-kan, pensione non certo a cinque stelle (per usare un eufemismo) in cui improvvisamente arriva, come nuova amministratrice, la bella Kyoko, vedova del figlio del proprietario dello stabile. Con la sua dolcezza, la bella vedova sconvolgerà la vita del povero Yusaku Godai, studente scapestrato e squattrinato che farà di tutto per conquistare l'amministratrice, ostacolato però dai problemi di tutti i giorni (l'università, il lavoro, i soldi che mancano, ecc...) e dagli altri inquilini, una banda di squinternati che farà di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote (almeno apparentemente). Metteteci anche svariati rivali in amore, dosate il tutto con un po' di humour e tanti tanti equivoci, ed avrete tutti gli ingredienti della ricetta di un capolavoro.

Analizzando l'opera, c'è da dire che in MI troviamo tutti gli elementi che hanno reso grande RumikoTakahashi: l'intero manga è infatti pensato come una gigantesca commedia degli equivoci. Ma non solo. Perché innanzitutto, è anche una "slice of life": è sconvolgente pensare come, specie in questo periodo di crisi, i problemi di Godai siano in fondo gli stessi di un giovane di qualsiasi Paese occidentale: entrare in una buona università (specie in Giappone, dove il sistema di selezione inizia fin da bambini ed è spietato), trovare un buon impiego, assicurarsi uno stipendio decente, riuscire a pagare l'affitto, farsi finalmente una famiglia ecc...E perché, in secondo luogo, Maison Ikkoku è una storia romantica. Attenzione, romantica senza essere sdolcinata. Perché anche uno come me, che gli shoujo strappalacrime non li ha mai potuti soffrire, adora il modo in cui la componente sentimentale, pur essendo preponderante, resta sempre sullo sfondo e quando emerge non lo fa mai in maniera eccessiva, né scontata, né banale. Ovviamente, grande pregio dell'autrice, è l'essere riuscita a dosare in maniera assolutamente perfetta i tre generi: commedia, slice of life, romanzo romantico.

Altro punto forte della mangaka sono certamente i personaggi. Vero punto di forza dei manga takahashiani, che sono fondamentalmente tutti dei romanzi corali, presentano un ottima caratterizzazione che li rende interessanti, credibili e inconfondibili. La parola chiave, tra quelle utilizzate, è la seconda: credibili. E' questo, a mio avviso, il miglior pregio per chi scrive: creare dei protagonisti verosimili, che per quanto assurdi non sono né delle macchiette, né degli stereotipi, ma "persone" con una loro psicologia, che anche in fumetto comico e scanzonato come questo si rivela molto più complessa di quanto sembri.

Per quanto riguarda, invece, lo stile. c'è da tenere presente che stiamo parlando di una dei primi lavori della Takahasi. Infatti MI si colloca tra Urusei Yatsura (Lamù) e Ranma 1/2. Non aspettatevi quindi nulla di eccelso. Va comunque notato come si registri un'evoluzione impressionante, che rende i personaggi moto diversi già dopo i primi volumi (diversi in meglio. Il tratto nei primissimi tankobon è piuttosto rozzo). E comunque i disegni della sensei, per quanto non eccezionali, si lasciano apprezzare e rendono le tavole sempre comprensibili.

Un ultima considerazione riguarda l'edizione italiana. Purtroppo Maison Ikkoku è disponibile solo in una stampa piuttosto vecchia della Star Comics, che manca dell'ultimo volume (perché esaurito). Quindi magari pensateci bene prima di comprarla. Non sono presenti pagine a colori, il numero di tankobon è maggiore rispetto all'edizione giapponese (27 volumi italiani contro 15 giapponesi) perché ogni volume ha meno pagine del corrispettivo nipponico, ma il prezzo è molto contenuto (2,10€ a volumetto). La lettura è all'orientale, sono presenti spesso delle rubriche con le lettere dei fan, mentre ottima è la scelta del traduttore di mantenere gli appellativi giapponesi (-kun; -chan; -san; ecc...) che danno un ulteriore tocco di realismo e aiutano ad immergersi nell'atmosfera giapponese.

Concludo dicendo che Maison Ikkoku è veramente un must per qualsiasi appassionato di fumetti, ma anche per un aspirante otaku alle prime armi. Consigliato sia a chi, come me, ama tutto della grande Rumiko, sia a chi la odia dopo aver letto Inu Yasha.
Insomma, non perdetevelo!

10.0/10
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L'adolescenza, ci rammenta l'autore, è un periodo piuttosto transitorio della vita.
Non si è bambini, non si è adulti, ma si è già, in potenza, ciò che saremo una volta cresciuti.
Man mano che passerà il tempo, il nostro carattere potrà cambiare, e determinati sentimenti che proviamo potranno modificarsi.
L'adolescente, lo studente delle scuole superiori, è quindi soltanto una versione incompleta dell'uomo che sarà, un blocco di pietra ancora ruvido in attesa di trasformarsi in una bellissima scultura, la bozza di un bellissimo quadro.
C'è una parola che descrive alla perfezione tutto questo, e questa parola è "rough". Ruvido, abbozzato, incompleto.
Il nostro protagonista, Keisuke Yamato, ex campione di nuoto, si iscrive alle scuole superiori e comincia una nuova vita assieme a un simpatico gruppo di coinquilini.
Tra le nuove conoscenze liceali, però, c'è anche lei, Ami Ninomiya, bellissima tuffatrice e oggetto dei desideri di tutta la scuola.
Mentre entra subito in confidenza con gli amici del ragazzo, Ami sembra invece detestare Keisuke dal profondo del cuore.
La ragione di tanto astio sta nell'appartenenza di Keisuke agli Yamato, storica famiglia di pasticcieri che da generazioni rivaleggia nella professione con i Ninomiya.
Se, da un lato, Ami è cresciuta nell'odio per qualsiasi appartenente alla famiglia Yamato, dall'altro a Keisuke invece interessa poco e niente della pasticceria e delle faide familiari, e, anzi, si sente attratto dalla ragazza.
Una serie fin troppo fortuita di coincidenze e giochi del destino porteranno i due ragazzi ad avvicinarsi sempre più l'un l'altro, cosicché dall'odio iniziale nasca un'amicizia, una bella intesa, e poi, chissà...

Dopo averci regalato il superbo Touch, Mitsuru Adachi ritorna con una nuova, intensa, storia di sentimenti e di sport.
Messo momentaneamente da parte l'amato baseball (che però troverà il modo di fare un'innocente comparsata anche tra queste pagine), Adachi mette in scena la storia di un nuotatore e di una tuffatrice, ma lo sport rimarrà unicamente sullo sfondo, limitandosi a fornire, di tanto in tanto, lo spunto per una gag, per un deus ex machina, per un'analisi psicologica dei personaggi.
Rough non ha l'intensità psicologica del precedente Touch, e si presenta anzi come una semplicissima storia d'amore e d'amicizia: un affiatato gruppo di amici, una scuola, una piscina, e la vita da studenti di liceo con tutto ciò che questo comporta.
Eppure, nella sua apparente semplicità, Rough riesce a coinvolgere lo spettatore regalandoci una storia bellissima., i cui personaggi sono tanti e tutti sapientemente descritti. Descritti, e non costruiti, perché usare questa parola sarebbe uno sgarbo nei confronti dell'autore. I personaggi di Rough sono infatti tratteggiati in maniera semplicissima, sia dal lato grafico, sia dal lato caratteriale, e chiunque di noi potrebbe dire di averne incontrato almeno uno per strada, di averne almeno uno tra la cerchia delle proprie amicizie. Nella loro semplicità, i personaggi di Rough risultano umani, veri, profondi, e riescono a toccare il cuore del lettore e a trascinarlo con delicatezza nelle loro vicende.
Amore, dunque. Un amore che nasce lentamente, sviluppandosi a poco a poco a partire da tutt'altro tipo di sentimenti, perché, in fondo, l'adolescente è ancora "rough" e i suoi sentimenti possono cambiare dall'oggi al domani.
Ma anche amicizia, un legame all'apparenza spensierato ma in realtà molto profondo e sincero che ci lega ai nostri compagni di vita, la goliardia e la spensieratezza del gruppo di amici del liceo, all'interno del quale ci si confronta, si fanno esperienze, si sviluppano amori e legami, si cresce insieme e si impara a vivere. In allegria e apparente spensieratezza, ma con molta profondità, sotto sotto.

Quel che piace di Rough è la naturalezza della narrazione, il realismo con cui sono dipinti i suoi personaggi, il delicato umorismo e la poesia degli eventi, l'atmosfera dell'adolescenza che riesce a ricreare, riuscendo a farci sentire proprio lì, a riscaldarci in una piscina al coperto mentre fuori soffia il gelido vento dell'inverno, o a passeggiare in spiaggia sotto il caldo sole estivo.
A ritrarre tutto questo, l'ormai consolidato stile dell'autore, fatto di disegni semplici ma raramente così belli e dettagliati, di silenzi, di frasi interrotte a metà, di detti e non detti, di una rappresentazione dei sentimenti che riesce a farsi apprezzare senza artifici, senza baci, senza sesso, senza gesti eclatanti, ma solo con la forza della sua poesia, delle sue passeggiate sotto i ciliegi in fiore, delle sue timide dichiarazioni d'amore registrate su audiocassetta...

Con una coralità assai rara da trovare nelle altre storie adolescenziali, Rough si presenta, in sordina, al lettore, e riesce a toccargli il cuore in maniera assolutamente inaspettata, facendo leva su sensazioni che egli quasi dimenticava di poter provare.
L'edizione italiana, essendo uno dei primi manga giunti sul suolo del nostro paese, purtroppo appare oggi assai inadeguata, con volumi di formati diversi, lettering a penna e parecchi riferimenti alla pop culture italiana e internazionale del periodo che sostituiscono quelli al Giappone, eppure, anche così, Rough riesce a toccare il cuore dei suoi lettori come ben pochi altri manga del suo stesso genere sanno fare.
Dal momento che all'unanimità Rough ha ottenuto 10, glielo do anch'io per non rovinargli la media, e senza alcun rimorso, perché sono manga come questi che davvero lo meritano. Consigliatissimo ai neofiti appassionati di storie d'amore che, leggendo Rough, potranno conoscerne una delle più belle che siano mai state scritte.
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<i>Proteggi la mia terra</i> è secondo me uno dei migliori shojo manga siano stati mai realizzato. La storia è avventurosa, profonda, complessa, nemmeno un po' melensa, affascinante ed irrimediabilmente ammagliante. La trama è incredibilmente intricata e riassumerla frettolosamente sminuisce di certo la perfetta tessitura della Hiwatari. Tuttavia, in una recensione la trama è necessaria.

Sette ragazzi extraterrestri, che hanno trascorso i loro ultimi anni sulla Luna per studiare più da vicino la Terra, si sono reincarnati ed incontrati nuovamente in Giappone. Non tutti ricordano la loro vita precedente, perciò decidono d'incontrarsi per discutere e recuperare le memorie del loro passato comune, prima per curiosità, poi per ossessione ed infine per necessità.
Ognuno dei sette ragazzi comincia ad essere influenzato dalla propria vita precedente, taluni smarrendo la propria personalità, altri confondendo l'identità passata con la propria identità del presente, ripetendo gli stessi errori e provando gli stessi sentimenti degli scienziati della Luna. Solo Arisu, che rinnega i ricordi passati, mantiene la propria personalità.

Nonostante le riunioni per ricostruire il loro passato, non tutti i ricordi possono essere rivelati con leggerezza di fronte a tutti i partecipanti, poiché gli errori ed i segreti dei ragazzi della Luna sembrano pesare molto sulla coscienza dei giovani, che si sentono ancora molto legati alle loro esistenze passate. Di ciò approfitta Rin, unico bimbo del gruppo, grande manipolatore e conoscitore delle debolezze della mente umana, che usa i sensi di colpa e la vergogna di alcuni ragazzi per tessere subdolamente gran parte della storia e perseguire un grande obiettivo ed evitare il ripetersi di alcuni eventi del passato.
Arisu, dapprima semplice tormentata spettatrice, comincia ad interessarsi attivamente alla faccenda per affetto nei confronti di Rin.

Le anime dei sette ragazzi inizialmente sembrano essere rinate nel presente e sulla Terra per assolvere ad un compito di protezione lasciato in sospeso, ma via via che ci si inoltra nella storia sembra invece che si siano reincarnate per essere persone migliori e vivere una vita migliore.
Il vero protagonista della storia sembra essere più Shion che Arisu, poiché è proprio lui a scatenare importanti eventi e riflessioni sia sulla Luna, ma anche sulla Terra. Proprio lui che non conosce ipocrisia e non ha riprovevoli segreti da nascondere, perché conduce una vita libera da ogni morale, andandone fiero. Non ha vissuto che pochi attimi di felicità ed odia e brama allo stesso tempo quella degli altri. Non è capace di amare e mostrare affetto, così come lui non ne ha mai davvero ricevuto. Vive come nessuno, prigioniero dell'etica propria e sociale, vivrebbe e si comporta come nessuno osa comportarsi, ma come molti vorrebbero. È proprio questa sua conturbante personalità a renderlo il centro dell'intera opera della Hiwatari.

<b>[Attenzione, spoiler!]</b>Arisu è più forte e vincente che nella sua precedente vita, perché diventa esattamente ciò che Mokuren desiderava diventare e riesce a dire e a fare ciò che Mokuren avrebbe voluto. <b>[Fine spoiler.]</b>
Mokuren è uno dei personaggi della Luna che prima snobbi e poi ami: una kicie ribelle ed incredibilmente umana, mal adattata ad una vita segregata a riti sacri, per sempre legata al ricordo dei suoi splendidi genitori (che molto mi è dispiaciuto non vedere negli OAV).
Tutti i personaggi principali sono ben caratterizzati (ed anche di più) da connotazioni e ricordi ben precisi. In definitiva, ci si affeziona ad ognuno di loro, anche a coloro che si sono macchiati di colpe ignobili, forse perché uno degli insegnamenti che l'opera vuol trasmettere è proprio quello di accettare gli altri così come sono, senza giudicare le loro debolezze, poiché tutti ne abbiamo. La storia sembra voler invitare a vivere il presente al meglio, così come viene, seppure con la maturità acquisita nell'esperienza di crescere.
Lo spirito shojo di questo manga sta nel fatto che alle anime degli amanti è concesso di innamorarsi nuovamente seppur in corpi e menti di individui differenti.

Che dire di più? I disegni diventano sempre più belli man mano che si va avanti nella lettura, l'esposizione della trama è perfetta ed intrigante ed i temi trattati sono appassionanti. La maestria dell'autrice credo renda quest'opera unica e bellissima. Un bel 10 è più che meritato!

9.0/10
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Questo appassionante manga ruota completamente attorno alla figura del carismatico protagonista Ash Lynx. Ash è un capobanda diciassettenne, la sua capacità di giudizio, il suo sangue freddo e la sua abilità nell'arte del sopravvivere contro avversari più o meno insidiosi gli valgono un indiscusso rispetto da parte dei numerosi "ragazzi di strada" di New York. Il fascino di Ash non consiste però nell'essere "il più duro dei duri", è un personaggio notevolmente interessante perché è un'anima ferita in cerca di riscatto, il suo passato da bambino abusato nel nefando mondo della pedofilia e pedopornografia lo ha reso come un animale selvatico, una lince appunto, che non si fida di niente e di nessuno finché non incontra Eiji, ragazzo giapponese cresciuto nel benessere e ignaro del lato oscuro della società che rappresenta il quotidiano di Ash. Quest'ultimo non può permettersi di rilassarsi, il suo aspetto da efebo fighissimo lo rende preda del desiderio sessuale degli adulti che vorrebbero soggiogare il suo spirito indomabile tramite l'umiliazione della violenza sessuale, mentre la sua connaturata abilità di leader lo rende un odiato rivale per i teppisti che vorrebbero far carriera, solo con Eiji Ash può abbassare la guardia. Eiji che viene da un mondo totalmente diverso è l'unico che non giudica Ash, non si spaventa davanti al lato criminale dell'amico perché si rende conto che sotto la dura scorza di freddo assassino c'è una persona infelice e tormentata bisognosa di affetto e accettazione totale.
Questa amicizia nasce all'interno di una storia di intrighi e potere, Ash si ritrova invischiato in qualcosa molto più grande di lui, tutto nasce da una potente droga, la Banana Fish del titolo, e i complotti attorno a questa sostanza raggiungono livelli stratosferici.

Se piace l'azione è un manga che consiglio caldamente, la trama è al fulmicotone, i protagonisti non hanno un momento di riposo, gli eventi si susseguono a ritmo frenetico e nemmeno il lettore ha un attimo di tregua perché si vuol sempre vedere quel che accadrà dopo. A voler muovere delle accuse si può dire che la trama è un bel po' sopra le righe: un diciassettenne, okay con l'istinto da animale selvatico e un addestramento speciale, senza scordare il Q.I. superiore a 200 ma sempre un diciassettenne che tiene testa a mafia corsa, mafia cinese, polizia, FBI, cariche governative varie, mercenari e pure un ex agente del KGB, direi che è decisamente troppo! Ma appunto, se piace l'azione e i film americani alla Bruce Willis vi sembrano credibili o comunque godibili questo manga fa per voi, senza contare che a differenza di quei film questa storia gode di personaggi ottimamente caratterizzati come il giornalista Max Lobo, il cattivo Golzine o il malinconico sicario Blanca.
L'unica cosa di cui voglio lamentarmi è il finale, a prescindere che ci sia o meno il lieto fine, per me la conclusione deve essere sensata e questa a mio parere non lo è e mi ha fatto l'effetto di un pugno sullo stomaco rovinandomi la lettura di quello che consideravo un dieci con lode fino al penultimo numero.
Consiglio comunque la lettura di questo manga per la trama avvincente e per un protagonista che entra di prepotenza nel cuore del lettore senza volerne più uscire.
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Accingersi a recensire The Five Star Stories per tutta una serie di motivi merita un certo riguardo. Se la cosiddetta letteratura disegnata esiste, FSS (da qui in poi verrà abbreviato) è sicuramente una di quelle opere che può ambire a farne parte. Non a caso era anche l'unica grande serie giapponese ancora inedita in Italia. Per cui ho accolto con molto entusiasmo la notizia che Flashbook Edizioni avrebbe finalmente portato in Italia questa importante serie.
Di mio conoscevo già FSS in quanto la mia passione mi ha sempre portato in giro per eventi e fiere in Italia e non, e quindi avevo visto gadget e soprattutto resin kit* legati alla serie in tempi non sospetti. Se la memoria non mi inganna ne avevano accennato (una decina di anni fa) altri importanti editori nazionali, ma quelle voci di corridoio si risolsero all'epoca con un nulla di fatto. Lasciando la serie inedita in Italia per troppo tempo. Per il rispetto che ho citato precedentemente verso FSS ho atteso di avere un po' di materiale per le mani, prima di buttarmi in una recensione approssimativa o basata sull'emozione causata dall'aver atteso a lungo qualcosa.

La serie si basa sull'incipit che l'unico vincolo che ci sia in una storia sia il tempo; la coerenza degli avvenimenti che vengono presentati all'interno di una cronologia ben definita. La storia infatti viene presentata al lettore iniziando dalla sua fine. Il primo capitolo del volume uno infatti non è altro che la fine della serie stessa. Da li in poi si partirà come in un viaggio nel tempo a narrare le gesta e le avventure più importanti avvenute sotto la luce delle cinque stelle.
Questa trovata, che a molti sembrerà solo un modo rapido ed indolore per non dover poi dare un finale in fretta e furia nel caso la serie dovesse essere soppressa a causa di uno scarso numero di lettori - prassi normale nel panorama dell'editoria Giaponese -, a mio parere è invece un segno di grande rispetto da parte di Mamoru Nagano, autore della serie.
Il lavoro di Nagano infatti è il mecha designer, FSS per lui è una valvola di sfogo per le sue idee, ma dal momento che non era la sua occupazione principale, nel caso in cui per un qualsiasi motivo avesse dovuto smettere di disegnarlo i suoi lettori non sarebbero mai rimasti senza la fine della storia. Se qualcuno ha mai letto una serie soppressa a causa dello scarso gradimento del pubblico sa quanto sia sgradevole la sensazione che si prova in questo caso.

Dal vincolo che è appunto la fine stessa dell'universo delle cinque stelle che noi conosciamo, andiamo quindi a rivivere le gesta dei cavalieri "headdliner" che insieme alle loro "fatima" pilotano i colossi biomeccanici chiamati "mortar headd". Seguiremo le vicende del sacro imperatore immortale Amaterasu** e della sua amata Lechesis, le battaglie dei cavalieri "mirage", viaggi spaziali, alieni che combatto draghi immortali è divinità di ogni forma e dimensione ed un sacco di altre meraviglie. Ma in FSS troveremo anche le atrocità della guerra, la rabbia per un destino segnato o le lacrime per la perdita di un amore. Tutto ciò senza essere mai banale, e senza diventare un inutile minestrone fatto di buone idee si, ma infarcite a casaccio.

FSS risente delle influenze di opere quali "la Storia infinita" di Michael Ende piuttosto che non delle "Cronache di Narnia" per via di un certa allegoria religiosa, ma anche di una certa narrativa di Philip K.Dick; dando una deriva alla parte più fanascentifica (passatemi il termine) della serie. Senza contare l'influenza di Yoshiyuki Tomino, padre di Gundam, con cui Nagano lavora nel corso degli anni. Lo si può notare prestando un po' di attenzione.
Non bisogna al contempo dimenticare che FSS a sua volta influenza le serie targate Gundam e sviluppate successivamente ad essa. Anche se a mio parere le serie che sono più pervase dall'aura di FSS sono i progetti Code Geass ma soprattutto Escaflowne.

In sostanza sono contento. Le aspettative che avevo verso una serie che sapevo essere cosi importane in Giappone sono state rispettate. L'edizione italiana poi vale veramente la spesa; in proporzione al prezzo di copertina la qualità offerta dall'editore è una spanna sopra la media dei prodotti offerti dal mercato italiano, senza che il prezzo ne risenta particolarmente. Ci viene infatti proposta un adattamento integrale dell'edizione pubblicata in Giappone dall'editore Kadokawa nel 1998. Con tutte le pagine a colori, sovraccoperta e una mole di materiale extra da far invidia ai contenuti speciali di molti film home video in edizione limitata: mappe, cronologia, schizzi preparatori, interviste, commenti dell'autore e chi più ne ha più ne metta; l'editore italiano in questo caso dal mio punto di vista si merita un promozione a pieni voti.


* I resin kitt sono modelli da assemblare in resina: simili ai plastik kit di Gundam per intenderci ma molto più complessi da costruire a causa del peso del materiale, e della superficie della resina che rende difficoltoso rispetto a pvc e plastica stendere il colore ed eventuali effetti successivi. I modelli di FSS mi colpirono all'epoca (avevo 14 anni) perché il loro prezzo era qualcosa che si avvicinava ad un mezzo stipendio da impiegato. Ancora oggi se frequentate siti del settore vedrete prezzi per il modelli di FSS che si aggirano intorno ai 25.000 yen!

** La leggenda vuole che il Giappone sia nato dall'amore di due divinità. Dal loro amore si dice sia nata Amaterasu, una nuova divinità da cui le leggende dicono discendano tutti gli imperatori del Giappone.

8.0/10
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Quella dei tre Adolf è una storia nella Storia, e Osamu Tezuka usa la prima per spiegarci la seconda, e la seconda come teatro della prima.
Ci racconta tramite le vicende dei suoi personaggi il nazismo, della sua intricata rete di informazioni e violenze, della sua precisione sistematica atta a cancellare ogni minima azione potenzialmente pericolosa per il regime. Ci racconta con una semplicità clamorosa ma allo stesso tempo efficace come il nazismo sia stato aiutato dalla pubblicità e dalla propaganda, e di come sia un'arma potente e sottovalutata anche oggi; prendi un ometto, caratterizzalo con un'acconciatura e dei baffi particolari ed eccoti con un nuovo carismatico personaggio, e una folla crescente che lo incita, qualunque cavolata dica.
Ci spiega come la cultura e l'intelligenza aiutano a non cadere in questi tranelli, come l'arte della retorica vince sulle ideologie, come concetti quali nazionalismo e patriottismo riescono a plagiare un'intera popolazione, di come il romano "Divide et impera" non è poi un termine così anacronistico.

Quello che mi ha stupito, e non mi vergogno a dirlo, è la capacità narrativa dell'autore, conoscevo già Tezuka per il suo talento e come "Dio dei manga", ma dall'inventore di Kimba e Astroboy non mi aspettavo certo un'opera che anticipa tecniche utilizzate da grandi artisti contemporanei, come Naoki Urasawa. Le piccole casualità che cambiano la storia di un uomo, la forza combattiva di un uomo stremato, solo contro tutto il mondo e a cui di umano è restato solo l'orgoglio, vicende che inaspettatamente si rivelano collegate tra loro, il passato dimenticato che si rivela la chiave per molti degli enigmi del futuro.
Il tutto condito da un disegno deciso, chiaro ma allo stesso tempo dettagliato, e una capacità straordinaria di far esprimere emozioni e sentimenti ai personaggi, ed ogni tanto qualche spunto caricaturale che però non rovina l'atmosfera e che anzi dona un'aria particolare al manga.

La grandezza di questo manga è data dal fatto che presenta una storia ricca di insegnamenti non retorici, c'è spazio per il dolore e per i sentimenti, con picchi che non mancheranno di commuovervi.
La grandezza di questo manga è data dal fatto che utilizza uno stile che rende l'opera fruibile anche a chi un manga non l'ha mai letto, portandolo di diritto nell'olimpo del fumetto mondiale.
La grandezza di questo manga è data dal fatto che ci racconta solamente gli amori, i dolori e quindi la vita di tre persone, di nome Adolf.

8.0/10
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All'interno della lunga lista dei manga disegnati e sceneggiati da <i>Adachi Mitsuru</i>, una delle opere di maggior interesse risulta sicuramente essere <b>Short Program</b>, raccolta di molte delle storie brevi e degli one-shot scritti dall'autore nel corso degli anni. Giunto finora al terzo volume – ma non è improbabile a breve l'uscita del quarto numero – <b>Short Program</b> rappresenta la chiave per decodificare e meglio comprendere la narrativa del “poeta dei manga”.

Le singole storie che fanno parte di <b>Short Program</b> sono tutte storie brevi, semplici, in cui si respira quella poesia del quotidiano, quasi malinconica, che pervade tutta la poetica di <i>Adachi</i>. Storie di ragazzi e ragazze come se ne possono incontrare ovunque, con problemi e ambizioni modesti, scorci della vita di tutti i giorni, tra una vacanza al mare e un pranzo al bar con gli amici; vi si possono incontrare anche episodi inconsueti, mai visti prima nelle opere principali dell'autore, probabilmente a causa di una maggiore libertà nella sceneggiatura, essendo queste storie scritte tra un capitolo e l'altro dei suoi titoli più mainstream. Storie così semplici eppure (o forse proprio per questo) così belle, nella miglior tradizione adachiana, in grado di toccare il lettore nonostante la brevissima durata; non vi sono inutili orpelli in queste storie, ma solo l'essenza, ed è proprio questo il motivo per cui una (banale) storiellina di 20-30 pagine riesce a rimanere impressa nel lettore, quando le librerie sono piene di volumi unici o intere miniserie che vengono completamente dimenticati nel giro di poche settimane.

I disegni di <b>Short Program</b> sono quelli che i lettori di <i>Adachi</i> ben conoscono, minimalisti ma precisi, con volti semplici ma incredibilmente espressivi, con pochi dialoghi ma in grado di emozionare coi suoi silenzi e i suoi semplici gesti quotidiani; un disegno che pare quasi incarnare i canoni classici del fumetto giapponese, senza alcun fronzolo, e forse proprio per questo così amato.

Se consideriamo l'intera narrativa adachiana “recente” (l'era pre-<i>Nine</i> non c'interessa in quanto <i>Adachi</i> si occupava prevalentemente del solo disegno), gli “short program” ne sono la cellula base, il principio primo. Virtualmente possiamo dire che <i>Adachi</i> disegna la stessa cosa da decenni – non è errato affermare che letto <i>Touch</i> si è letto (quasi) tutto <i>Adachi</i>, come se fosse sempre la stessa ragazza, una volta con i capelli lunghi e sciolti sulle spalle, una volta con le trecce, una volta col chihon, un'altra volta con i capelli corti a caschetto e cosi via, ma sempre lei tutte le volte. Questo proprio perchè, con un'opera di decostruzione delle singole storie, sempre lì si torna, ad un insieme di “short program”, indubbiamente abbelliti, resi più complessi e articolati, uniti tra loro da rapporti di causa-effetto, dai medesimi personaggi e dalla medesima ambientazione, e con l'aggiunta – a volte – dell'elemento sportivo, ma sempre di “short program” stiamo parlando.

A portare in Italia <b>Short Program</b> è <b>Star Comics</b>, inizialmente in 4 sottilette a basso prezzo pari ai soli primi 2 originali, successivamente in una ristampa in 3 volumi in ampio formato (15x21) da circa 300 pagine l'uno. La ristampa, avvolta in una spartana sovracopertina, presenta tutte le pagine a colori originali, comprese quelle interne al volume, (troppo) spesso sacrificate dagli editori, non solo italiani. Buona anche la carta, sufficientemente spessa da garantire una trasparenza delle tavole nulla e con una discreta sfogliabilità – grazie soprattutto all'ampio formato; discreta anche la resa stampata, senza particolari errori od orrori nella resa di retini, linee sottili e campiture nere. Il prezzo a cui ci viene proposto è di 7€ a volume, prezzo più che onesto considerando formato, numero di pagine e tavole a colori interne.

<b>Short Program</b> è <i>Adachi</i> allo stato puro, non ancora distillato; ne rappresenta l'opera più autoriale, non a caso pubblicata su una rivista seinen, un must have per chiunque si professi anche solo lontanamente appassionato di uno degli autori più letti e amati in Giappone e nel mondo. <b>Short Program</b> è anche un buon entry point per chi ancora non conosce <i>Adachi</i> ma ha già alle spalle una discreta esperienza come lettore, mentre per i neofiti è forse meglio approcciarsene tramite una delle opere principali.
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"Se non dovessi farcela, sappi amore mio che vivrò per sempre nel tuo cuore, e ti aspetterò nell'aldilà, ti ho sempre voluto bene e sempre te ne vorrò..."
"Caro, devi solo operarti di unghia incarnita, non c'è bisogno di fare tutte queste scene, sii uomo!"

"Prof, non posso essere interrogato, vede... Ieri non sono riuscito a tornare a casa, l'autobus è rimasto senza benzina... Avevo una gomma a terra... Non avevo i soldi per prendere il taxi... La biblioteca non mi ha consegnato i libri! C'era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C'è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia! Lo giuro su Dio!"
"John, se non avevi voglia di studiare almeno ammettilo, sii uomo..."

"Oddioddioddioddioddio... non ce la faccio a dirglielo, ho troppa paura... e se poi mi dice di no?"
"Dai, si vede che le piaci, e lei ti piace, fatti coraggio e diglielo, sii uomo!"

Cos'è un uomo?
Cosa vuol dire essere uomini veri, è solo una sterile dimostrazione di forza bruta, di tracotanza fine a sé stessa, o è qualcosa di più profondo, di più importante?
Per saperlo dobbiamo tornare indietro di parecchi anni, e spostarci in Giappone, per vedere che stava accadendo da quelle parti in quel periodo.
Nel 1985 D.C., tutto il Giappone era stato conquistato dalla cultura occidentale. Tutto? No!
Nella periferia di Tokyo c'è una piccola scuola superiore che resiste ancora e sempre all'invasore, una piccola scuola di irriducibili Giapponesi, la Otoko Juku. Una scuola dove l'unico indumento di biancheria concesso è il fundoshi, dove cantare canzoni che non siano Kimi Ga Yo (l'inno nazionale Giapponese) e i canti di guerra è vietato, dove si affrontano prove terribili per forgiare gli animi più saldi e dove solo al secondo anno si cominciano a studiare le "terribili somme delle frazioni".
Sakigake!! Otoko Juku (conosciuto in Italia come Classe di Ferro-Otoko Juku) mostra le sue carte sin dal primo volume, e si può facilmente capire dove voglia andare a parare l'autore Akira Miyashita: azione, legnate, umorismo, mascolinità strabordante (soprattutto grazie ai disegni che molto devono a Tetsuo Hara e lo dicono anche abbastanza esplicitamente in un paio di scene) e genialità nell'inventarsi tante arti marziali, tante soluzioni assurde, tanti combattimenti con regole deliranti e pericolosissime, più qualche messaggio nascosto.

Chi conosce la storia Giapponese del Ventesimo Secolo sa che quello è stato un periodo di rivoluzione assoluta per il sol levante, dove la rigidissima cultura nipponica si è ritrovata a doversi aprire a quella delle altre nazioni, tra assolutisti che vedevano il nuovo come il demonio e i giovani, più aperti e ribelli, che abbracciavano queste novità, musicali, letterarie o culturali in generale.
Heihachi Edajima, il preside della Otoko Juku (personaggio assolutamente geniale e ben stampato nell'immaginario collettivo Giapponese) è per certi versi un ottimo punto di svolta per la gestione della sua scuola. Si è laureato all'Università Imperiale di Tokyo, ha combattuto nella seconda Guerra Mondiale, venendo poi venerato come un mito, e infine ha raggiunto la sua posizione all'interno dell'istituto, e qui, a poco a poco, pur mantenendo salde le radici di orgoglio nipponico che contraddistinguono l'edificio, si è aperto anche lui al resto del mondo, a una maggiore libertà pur rimanendo orgoglioso delle sue origini, per far si che i suoi studenti possano crescere anche in maniera migliore.
L'adattarsi ai tempi che cambiano pur non perdendo la propria identità storica è quindi una delle tematiche nascoste dietro alla fracassona trama di questo manga, e di pari passo va anche il tema del ricambio generazionale, un ricambio consapevole e da accettare per far sì che le nuove generazioni crescano nel modo giusto e raggiungano a loro volta la vetta, questo si noterà soprattutto nella seconda metà della serie, con passaggi di testimone tra senpai e kohai così commoventi da far percepire nel profondo quanto la fiducia verso le capacità degli uomini del domani dev'essere sentita, in quanto non è semplicemente il futuro che sostituisce il passato bensì dev'essere proprio il passato a farsi da parte per primo, lasciando comunque traccia di sé, un segno indelebile nell'eternità anche nelle generazioni successive.

Oltre al tema del rinnovamento "intelligente" e del ricambio generazionale, è un altro il tema che circonda la storia, senza dubbio il più sentito e più evidente, tanto da essere sottilmente ammesso dall'autore nel discorso in chiusura della serie: il tema dei legami tra le persone e della loro solidità.
Legami d'amicizia, d'affetto, d'amore, di stima e d'ammirazione, ma anche contrastanti, d'odio, di rivalità, di vendetta, d'invidia, sentimenti che possono legare amici, compagni di scuola, compagni d'armi, genitori e figli, fratelli, innamorati corrisposti e non corrisposti, persino uomini e animali, in quanto è pieno di combattenti che lottano al fianco di creature di vario ordine e grado e che li trattano come veri e propri figli o, nel caso dei più deplorevoli, solo come armi di cui sbarazzarsi quando non servono più.
Si tratta di una vera e propria analisi della vita adolescenziale in salsa combattiva, perché è quella l'età dei protagonisti, anche se non sembra, e loro vivono, come più o meno noi, lo stesso tipo di scoperta del rapportarsi con gli altri tipico dell'adolescenza, i legami d'amicizia coi compagni di scuola, il voler rendere orgogliosi i genitori o il volersi ribellare a loro rifilandogli uno schiaffo morale, gli amori dolorosi o meno, e anche il dolore nel perdere qualcuno, dolore che porta a crescere e maturare, se affrontato con lo spirito giusto, lo spirito della Otoko Juku, in fondo.
Inizialmente poi, si può trovare folle che la frase-tormentone "io sono Heihachi Edajima, il preside della Otoko Juku!" possa essere considerato un discorso con parole ricche di significato, ma chiuso il ventesimo volumetto italiano, si finisce per comprendere almeno un po' cosa voglia dire questa frase, di cui non spiegherò la mia interpretazione personale, lascerò alla mente di chi legge, finita la storia, fare le giuste supposizioni.
Le avventure di Momotaro, di Togashi, di Matsuo, Tazawa, del professor Orco Barbuto e di tutti quelli che verranno dopo saranno intensissime, senza mai un attimo di stanca, pur andando nella parte finale dell'opera (dal diciassettesimo volume Italiano in poi) a standardizzarsi un po'.

Sono purtroppo presenti alcune dimenticanze di trama che non generano incongruenze pesanti ma sono comunque da segnalare, come gente che recupera dita o braccia perse senza che venga detto niente su come ha fatto, ok che hanno le antichissime tecniche di medicina cinese dalla loro, ma un minimo di spiegazione sarebbe stato gradito.
È tutto sommato un peccato poi che la penultima saga si chiuda in un modo un po' frettoloso, per quanto comunque l'autore sia riuscito a mettere in piedi una conclusione divertente ed esaltante.

Il tratto di Miyashita è quanto di più anni '80 possibile, con personaggi maschili possenti e dall'aspetto adulto (e anche parecchio nerboruto) e, di contro, pochissimi personaggi femminili disegnati, dove non sono vecchiette comiche, in maniera aggraziata e con garbo, senza eccedere in maniera esagerata come sovente capita oggi, ma senza risparmiarsi in delicato fascino.
Il character design subisce un'impennata nel corso dell'opera, con personaggi assolutamente fuori dagli schemi ed estremamente diversi l'uno dall'altro: se all'inizio l'opera si basa solo su ciò che avviene all'interno della scuola, e quindi l'abbigliamento dei personaggi è ricco di ragazzi/omoni con le divise scolastiche lunghe e nere, proseguendo si avrà modo d'aver a che fare con antichi Egizi, Dei dell'Olimpo, citazioni ad altre famosissime opere dell'epoca o tizi talmente ben caratterizzati da ispirare in futuro personaggi di altre produzioni (Dhalsim e T.Hawk di Street Fighter sono nati qui).
Peccato solo il buon Akira seppur ricco di fantasia pecchi in attenzione di quando in quando, sono presenti infatti alcuni refusi (non troppo grandi in realtà) nell'aspetto di alcuni personaggi: cicatrici che vanno e vengono, per esempio, e in una scena il buon Tazawa riesce a tenere le braccia conserte e contemporaneamente massaggiarsi il mento con una terza mano.
Sono dettagli minuscoli, che di certo non rendono l'opera meno bella sotto l'aspetto grafico dove anzi eccelle ma che è giusto citare per dovere di cronaca.

L'edizione italiana dell'opera, a cura della Star Comics, è più breve dell'originale in quanto i volumi sono più grandi di quelli giapponesi ma la storia è stata pubblicata nella sua integrità.
L'adattamento è ottimo e divertente, per quanto da un certo punto in avanti (in corrispondenza con l'addio dei Kappa Boys alla Star, peraltro) c'è un calo qualitativo generale nell'adattamento e nel lettering, con refusi sia grammaticali che di natura più problematica (nel volume 17, il peggio adattato di tutta l'opera, viene detto che tre personaggi sono morti quando non lo sono e la frase era intesa come "sono rimasti loro e sono morti gli altri", oltre a esserci un grossolano errore di matematica, stavolta non colpa dei cattivi insegnamenti dei prof della scuola).
La carta utilizzata è solida e priva di trasparenze, e i volumi per quanto cicciosi sono resistenti.

Classe di Ferro-Otoko Juku si prefigge dunque un obiettivo chiaro e tondo (voler essere uno shonen ironico/iconico ricchissimo di combattimenti sì drammatici, sì seri, ma dotati di una vena delirante evidente, anche solo nelle descrizioni delle arti marziali, che se all'inizio sembrano serissime, poi diventano una chiara farsa da millantatore di quart'ordine e non si vergognano d'esserlo) e tanti obiettivi segreti (narrare una storia con un evidente invito al rinnovamento, sull'importanza del ricambio generazionale e sulla forza dei legami che si vengono a creare e sciogliere, nel bene e nel male, nel corso dell'adolescenza, o della vita in generale) sin dalla prima pagina e li centra tutti, finendo per stamparsi a chiare lettere nel cuore di chi ha saputo cogliere lo spirito della Otoko Juku e quindi lo spirito dell'opera, e si è affezionato a quei personaggi, tanto da sentirli davvero come loro compagni di crescita, e si stima il preside come se fosse il proprio, come un vero e proprio padre, anzi, una figura così calda, possente, seriosa e affidabile e così incredibilmente divertente e comica che è davvero impossibile non amare.
Una bellissima opera sfaccettata, con dei piccoli lati grezzi, ma con un grande cuore e un'atmosfera speciale, guascona fuori, dolce (una dolcezza mascolina e virile, ma sempre calda è) e matura dentro.
E soprattutto, divertentissima e comica come ormai non se ne vedono più.

Tratto da: Mille modi per elaborare una recensione sulla narrativa disegnata orientale nel corso dei secoli, pubblicato dalla Minmei Shobo
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Nata dal pennino di Yuzo Takada, quest'opera è uno dei più completi e interessanti manga d'avventura mai pubblicati in Italia.
La storia ha per protagonista Yakumo Fujii, studente che vive da solo a Shinjuku lavorando in gay-bar per tirare avanti. Un giorno incontra Pai, una ragazza cinese che dice di avere 300 anni e di essere l'ultima esponente dell'antico popolo dei Sanzhiyan Hum Kara, la Stirpe dei Triclopi in possesso dei segreti dell'Immortalità e dell'Eterna Giovinezza. Pai sta cercando un modo per realizzare il suo più grande desiderio, quello di diventare un essere umano. Tuttavia, in seguito ad un incidente, per salvare la vita al ragazzo Pai è costretta ad usare le Arti dei Sanzhiyan, e trasferisce l'anima di Yakumo nel proprio corpo trasformando lui in un Wu, un essere immortale in grado di rigenerarsi da ogni ferita, la cui esistenza è però indissolubilmente legata a quella del suo Triclope. I due, braccati da esseri che bramano il potere dell'Immortalità, partono così alla ricerca di un modo per tornare esseri umani.
La trama è ricca, articolata, piena di suspense e colpi di scena, non dà un attimo di tregua e mostra un'impressionante varietà di situazioni (tra cui spiccano per originalità i capitoli dedicati al santuario lunare, al subspazio e al pianeta di Amara). Incessanti i riferimenti alla mitologia e alla storia tradizionale, soprattutto di alcune grandi religioni orientali (Induismo e Buddhismo). Il finale è un inarrestabile "crescendo" dai toni apocalittici che per certi versi ricorda, nelle tematiche affrontate, un'opera completamente differente come "Evangelion".
I personaggi sono molti e tutti ben caratterizzati. A partire da Yakumo, costretto suo malgrado a diventare un perfetto combattente per difendere la sua Triclope; per arrivare a Pai, irresistibile nella sua doppia personalità, da un lato ingenua e imbranata (ma è davvero così?) e dall'altro portatrice di un sapere e di una responsabilità millenari. Altri personaggi indimenticabili sono il temibile Benares, il mago Asrath Khan, e Hua-She/Ayanokoji, il demone serpente, forse la figura più complessa e meglio riuscita dell'intera opera.
Graficamente il manga parte da standard appena sufficienti, soprattutto a livello di sicurezza di tratto e di regia, per poi migliorare inesorabilmente nel corso dei vari capitoli e raggiungere il suo massimo a partire dall'inizio della quarta saga, "Trinetra". Da quel momento in poi il tratto diventa elegantissimo e pulito, efficace, e le tavole si presentano molto equilibrate per quel che riguarda i contrasti bianco/nero. Il design è particolare e non a tutti potrebbe piacere, ma si può comunque apprezzare per la sua completezza.
Per chi ama le storie d'avventura questa è un'opera da non perdere assolutamente.