Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo a titoli del 2002 con il live action Hero, il manga Princess Princess e l'anime Arcade Gamer Fubuki.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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8.0/10
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Potente e iperrealista, "Hero" (2002) è la personale risposta di Zhang Yimou a "La tigre e il dragone" (2000), il kolossal firmato dal taiwanese Ang Lee che ha riportato in auge il wu xia pian (alla lettera 'cappa e spada') ridefinendo i canoni estetici del genere. Con "Hero" il regista cinese prende quelle stesse istanze e le porta alle estreme conseguenze elevando le coreografie dei duelli allo stato di una danza elegante e sensuale con i contendenti calati in scenari da favola.

Ambientato in una Cina mitica e antica, divisa in sette regni, il film narra le gesta di Senzanome, un infallibile guerriero che racconta al re di Qin, futuro imperatore, come sia riuscito a sconfiggere i tre sicari che tramavano per assassinare lo stesso re oppressore del loro popolo: Spada spezzata, Neve che vola e Cielo.

Attraverso l'uso del flashback il racconto di Senzanome si divide in cinque azioni differenti, ognuna caratterizzata da un combattimento dallo stile peculiare e da un preciso colore dominante: si va dal rosso al blu, dal bianco al verde fino al nero dell'intreccio principale; un cromatismo esaltato da una fotografia sfolgorante e spettacolare. Il colore è sempre stato un elemento importante per il regista ma in questo caso diventa protagonista assoluto al pari degli attori.
La cura per il dettaglio nella messa in scena è maniacale: i costumi, le scenografie, le musiche, i dialoghi sono studiati con una tale attenzione da non lasciare nulla al caso. Alcune sequenze risultano addirittura ridondanti con un gusto esagerato per l'inquadratura e per il particolare figurativo che rischia di eccedere nel barocco, come nella paradossale scena del duello 'acquatico' combattuto sulla superficie del lago o lo scontro tra le due primedonne immerso in un vorticoso turbine di foglie autunnali, quest'ultimo tutto girato sui toni caldi del rosso e dell'oro.
I protagonisti, tutti interpreti di prima grandezza, non tradiscono le aspettative. Oltre all'atletico e convincente Jet Li (fino a quel momento relegato a stereotipati ruoli in action movie di terza) il cast stellare annovera divi del calibro di Tony Leung, Maggie Cheung, Donnie Yen e Zhang Ziyi: sostanzialmente il gotha del cinema di Hong Kong contemporaneo.

Approvato e sponsorizzato dal governo, il film è stato accusato di avallare le discutibili politiche totalitaristiche della Cina in materia di diritti civili, in quanto farebbe passare l'idea che l'unità e la stabilità sarebbero da anteporre alle libertà individuali, d'altronde lo stesso Zhang Yimou ha negato una tale interpretazione, sottolineando il messaggio pacificatorio di fondo. In ogni caso siamo lontani anni luce dai precedenti lavori del cineasta, più rivolti verso un'estetica realista, attenti alle tematiche sociali e critici sulle contraddizioni legate allo sviluppo galoppante del colosso asiatico.

Infine siamo di fronte ad uno sterile esercizio stilistico o all'ennesimo capolavoro di Zhang Yimou? Una cosa è certa, non è un film per tutti data la non facilissima fruibilità, vuoi per la scansione in capitoli e il ritmo sincopato degli archi narrativi, vuoi per l'alto tasso specialistico dell'azione coreografica che potrebbe risultare pesante e indigesto ai non appassionati del genere wu xia pian. Ma al di là di letture più o meno politiche, l'intreccio è molto ben congegnato e non risparmia colpi di scena a ripetizione, mentre da un punto di vista puramente visivo "Hero" rimane un'esperienza cinematografica unica e indimenticabile come poche altre.



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Voto: 8 1/2
Questo è stato uno dei primi manga che ho letto. Princess Princess, di Mikiyo Tsuda, che sotto un altro nome è una famosa autrice di Boy's Love (o Yaoi, comunque fumetti con personaggi omosessuali e con trama a sfondo sessuale).
Per quanto questo fumetto possieda le caratteristiche necessarie per essere uno Yaoi o anche solo uno Shonen Ai, non lo è, ne lo diventa. Questa è una cosa che mi è piaciuta molto.
Non perchè non mi piaccia il genere, ma perchè l'autrice è riuscita a donare una sorta di equilibrio all'opera, riuscendo a farla piacere sia alle fan del Boy's love che a coloro che non lo sono, creando anche situazioni divertenti ed ambigue che però non scadono mai (a mio parere) in qualcosa di puramente sessuale.
Passiamo alla trama. Originale, non c'è che dire, già dal primo volume mi sono ritrovata stupita ma anche divertita da ciò che mi si presentava davanti. Non si perde molto tempo a svelare i segreti della scuola, a parlare delle principesse e dei personaggi principali, il che è un bene perchè il manga dà spazio ad altre situazioni e non presenta quei noiosi personaggi secondari che compaiono senza poi dare nulla al lettore.
Difatti ho adorato ogni singolo personaggio del manga (in particolar modo Youjiro, per il suo carattere in contrapposizione con il visetto d'angelo) e li ricordo tutti con piacere.
Il disegno è <b>molto</b> bello. Il tratto della Tsuda sembra essersi affinato in quest'opera, ma rimane comunque riconoscibile e i volti sono più o meno tutti uguali. Difatti non si distinguono i personaggi dal viso quanto dai capelli e dalle espressioni (Mikoto è perennemente imbronciato, Tooru sembra sempre piuttosto rilassato mentre Youjiro ha sempre sulle labbra un sorrisetto falso o strafottente). I vestiti sono disegnati magistralmente, gli sfondi sono quasi inesistenti; alla Tsuda piacciono i primi piani.
Diciamo che questo 8 1/2 è il voto più alto che può raggiungere nel suo genere, una commedia dai toni ambigui e divertenti che mantiene allegri e che (a parer mio) non si dimentica. Consigliato.



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Prima che l'enorme successo commerciale di "Keroro" prendesse il sopravvento sulla sua vena artistica, Mine Yoshizaki era un disegnatore di "doujinshi". Il suo tratto grafico essenziale, fresco e moderno, ammirabile tramite vari artbook, cavalca perfettamente la corrente stilistica degli anni Novanta, delle loli sorridenti e della tecnologia ludica. Ed è proprio dai videogiochi che l'autore trae i suoi primi manga amatoriali: tale passione (insieme a quella dei "Gunpla") è ben visibile in tutti i suoi lavori successivi, fino a diventare uno dei suoi tratti distintivi al punto che oggi l'autore viene richiesto anche come character design di videogame vari.

"Arcade Gamer Fubuki" è l'apoteosi di questo speciale rapporto che Mine Yoshizaki ha con i videogames; disegnato nel 1998 e trasposto in animazione dallo studio Shaft diversi anni dopo in 4 OAV, la storia ci catapulta nel mondo delle competizioni arcade, in un Giappone dove ormai i videogiochi hanno assunto un'importanza sociale ed economica planetaria, e i tornei vengono trasmessi su scala internazionale. Fubuki è la nostra protagonista, che a prima vista sembra una studentessa come tante, ma che all'occorrenza è capace di manifestare un'eccezionale abilità nei videogame, grazie anche alle sue "Passion Panties", delle speciali mutandine che amplificano lo spirito e la passione verso i videogame, rendendola così una giocatrice imbattibile.
Vinto con una certa facilità il torneo di Tokyo, dalla regione del Kanto arriva quella che sarà la sua prima grande rivale e che le farà assaporare il gusto della sconfitta. A ciò si aggiunge la solita misteriosa organizzazione che da dietro le quinte (ma neanche tanto) mira alla conquista del mondo tramite la materializzazione dei videogiochi stessi.

Arcade Gamer Fubuki è puro "divertissement", assurdo nei suoi risvolti e terribilmente stupido, ma non per questo privo di momenti esilaranti. La tipologia narrativa utilizzata è quella del manga sportivo con l'aggiunta però dell'elemento fantastico dato dai poteri speciali e da un pizzico di ecchi. Sul fronte dei personaggi il misterioso uomo mascherato che più volte appare per aiutare e dare consigli alla protagonista risulta sicuramente il più interessante, e l'unico che copre una certa rilevanza sulla trama e sui (pochi) colpi di scena, lasciando agli altri ruoli di comparse, data la brevità della serie, ognuno dei quali però con caratteristiche e abilità distintive.
Graficamente la mini-serie si attesta su livelli medi televisivi; il character design è quello piacevole di Mine Yoshizaki, mentre per le musiche è stato chiamato il compositore Ryuichi Katsumata, attivo in campo videoludico (ovviamente), ma celebre in particolare per la OST di genere eurobeat di Initial D. Qui si limita a dare un tono "16bit" alla colonna sonora.

È un'idiozia per pochi Arcade Gamer Fubuki, coloro privi della "passione" arcade metaforizzata dalle candide mutandine di Fubuki non capirebbero lo spirito demenziale di un dinosauro che ti sfida a Fighting Vipers 2, né tanto meno coglierebbero le numerosi citazioni; per i sopravvissuti dei puzzolenti cabinati di ogni genere sarà invece un piacevole tuffo nel passato che non c'è più, nel quale Yoshizaki immaginava all'alba del nuovo millennio un mondo conquistato dal gaming nipponico, allorché in realtà le cose andranno diversamente.
Una curiosità: "Fubuki" nasce in realtà come fan-sequel di "Game Center Arashi" di Mitsuru Sugaya, datato 1978 e primo manga avente come tema principale i videogiochi. Il misterioso personaggio con i denti sporgenti e il simbolo sulle mutandine di Fubuki con la tipica astronave di Space Invaders provengono infatti da quella vecchia serie.