Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi ci dedichiamo ai live action, con Power Rangers RPM, Hiroshima mon amour e Karate Robo Zaborgar.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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Il primo impatto con "Power Rangers RPM" è spiazzante, perché è ben diverso da quanto mostrato nelle serie precedenti di questa saga. Niente soleggiate cittadine americane, niente adolescenti come tanti che vanno a scuola o al bar, fanno sport o hanno un lavoro part time. Il mondo di "Power Ranger RPM" è, anzi, apocalittico e cupo: un'immenso deserto in stile "Ken il guerriero", ma più cyberpunk, dove i pochi umani rimasti vivi vengono schiavizzati dal perfido virus informatico Venjix, che ha preso possesso di tutti i computer e spadroneggia seminando il terrore grazie all'esercito robotico di cui si è circondato. L'unico baluardo di salvezza in questo folle mondo in disfacimento è Corinth, una città-cupola in cui i rifugiati possono vivere più o meno tranquillamente, difesi dagli attacchi del virus dai coraggiosi Power Rangers.

Inaspettatamente, dunque, la serie non comincia, come si fa di solito, con la genesi degli eroi. Buona parte di loro hanno già ottenuto i poteri da Rangers, altri li otterranno di lì a poco. Non sembra neppure una serie dei Power Rangers, all'inizio, con questa storia di deserti, di uomini in fuga dalle macchine e di un improbabile duo che si incontra per caso e inizia una rocambolesca fuga nel deserto su una fiammante auto sportiva, quasi fosse l'ultimo dei buddy movies. Anche quando, solo sul finire dell'episodio, cominciano a comparire elementi familiari come variopinte tutine di spandex, goffi mostri in costume che si ingigantiscono, esplosioni e balzelli, robottoni colorati e componibili e scontri tra titani in stile film giapponese del dopoguerra, lo spettatore guarda tutto questo con un certo distacco, in un primo momento, visto che il punto di vista è quello dell'ombroso ed enigmatico "cool guy" Dillon e del suo imbranato e divertente compagno di viaggio improvvisato Ziggy. Sembrano essere loro il fulcro della storia (e sarà così, in un certo senso), anche se almeno per il momento non ci sono loro dentro a quei robot, con indosso tutine di spandex.

Una trovata innovativa e decisamente azzeccata è quella di iniziare la serie "in medias res". Se in un primo momento ci si sente smarriti, le spiegazioni arrivano, fortunatamente, ben presto, in una riuscitissima serie di episodi-flashback a scatole cinesi, che raccontano le vicende passate dei personaggi e convergono nella situazione vista nel primo episodio.
La cura dei personaggi è uno dei maggiori pregi di "Power Rangers RPM". Questa serie di flashback scandaglia per bene le loro psicologie, rendendoli vicini allo spettatore e immediatamente riconoscibili per i tratti distintivi del loro carattere, per i loro trascorsi passati o i problemi che li affliggono nel presente. C'è l'ombroso Dillon, il cui passato nasconde molti segreti che lo spettatore avrà molto piacere di scoprire a mano a mano che avanza la storia; c'è la bella Summer, che affronta con coraggio le battaglie ma si porta dietro qualche spinoso problema dal passato; c'è il gioviale Flynn, meccanico spiritoso, dal cuore d'oro e pieno di senso della giustizia; c'è il buffissimo Ziggy, che non ne combina mai una giusta e affronta sempre la vita con ironia e un sorriso, mentre cela dentro di sé un eroismo che lui stesso ancora non sa di possedere; ci sono i due fratelli Gem e Gemma, tanto esaltati quanto indomiti; c'è K, scienziato geniale con qualche problema a relazionarsi col prossimo. E poi c'è Scott - il Red Ranger e dunque, secondo i dettami della saga Power Rangers, protagonista formale della storia - che non si sente tanto a suo agio nel ruolo di leader del gruppo e di eroe salvatore del mondo. E' un personaggio interessante e ben costruito, ma, stranamente, stavolta viene lasciato un po' indietro rispetto ai suoi compagni, nonostante solo lui abbia un Megazord tutto per sé, perché la sua storia personale offre molti meno spunti rispetto a quelle di altri personaggi formalmente secondari che invece diventano, pian piano, l'ossatura di tutta la vicenda.

"Power Rangers RPM" è un "Power Rangers" strano, diverso, oscuro, che mantiene tutte le caratteristiche proprie di questo tipo di telefilm, ma, inaspettatamente, stavolta, non è negli eroi in tutine colorate, nei mostri o nei Megazord che risiede il suo fascino, quanto nell'ambientazione cupa e futuristica e nei personaggi, nelle loro psicologie, nei rapporti che intrecciano fra di loro, nel loro piccolo ma grande percorso di crescita personale, nel modo in cui affrontano e superano i traumi del loro passato.
Non manca, di certo, l'azione, ma stavolta è molto meno spettacolare del solito. Non ci sono, infatti, simbolismi, animali fantastici o trasformazioni particolarmente elaborate. I robot pilotati dai Rangers sono degli enormi giocattoloni Playmobile in computer grafica, con occhi e musi disegnati sopra a formare motivi animali: aquile, orsi, balene, squali, cani, coccodrilli, triceratopi o mammut. Occhi e musi che minano la loro serietà e stridono con l'ambientazione cupa e apocalittica, ma che non si fanno notare, fortunatamente, più di tanto, e se lo fanno è perché i personaggi stessi, con grande ironia, si rendono conto di quanto siano ridicoli i robot che pilotano.
Una ridicolaggine purtroppo inevitabile, dato che bisognava comunque adattarsi alle scene di lotta provienienti dall'originale giapponese "Engine Sentai Go-onger", che è un telefilm più infantile e giocoso a sfondo ecologico, con robot pupazzosi in stile anime che parlano e provano sentimenti, attricette idol dal faccino lindo e attorucoli idol efebici e piastrati, a differenza di "Power Rangers RPM" e del suo oscuro incubo cyberpunk. Pur non essendo troppo spettacolari, dunque, i combattimenti fra mostri e robot fanno il loro lavoro, ma non sono l'elemento di maggior interesse della vicenda, che si farà amare più per la trama intricata e avvincente e gli ottimi personaggi che la vivono.

La bellezza dei personaggi è data anche dalla bravura degli attori nella recitazione. Sono, fortunatamente, lontanissimi gli anni degli inascoltabili primi Power Rangers. Gli attori sono molto convincenti, bravi, e riescono a farsi amare anche per diverse loro caratteristiche. Difficilmente ci si scorderà dell'esilarante accento finto-scozzese di Flynn (scozzese, ma interpretato da un attore neozelandese che si è calato ottimamente nel ruolo anche dal punto di vista del parlato), del divertentissimo Ziggy che buca letteralmente lo schermo con le sue continue battute al fulmicotone, del sarcasmo della "bella di ghiaccio" Tenaya, della roboante e malvagia voce di Venjix, della tanto giovane quanto brava K e del suo sciorinare termini scientifici a velocità mach.
Una serie che sì, è cupa, drammatica e coinvolgente, ma che sa anche prendersi gioco di sé con grande ironia, sfondando spesso e volentieri la quarta parete con battute che prendono in giro la serie stessa e i suoi elementi distintivi (in vari episodi, i personaggi si chiedono il perché delle tutine di spandex, gli "occhi in stile anime" dei robot, delle trasformazioni urlate e delle esplosioni sullo sfondo delle loro azioni). Addirittura, è presente un intero episodio dove i personaggi escono dai loro ruoli e sono gli attori stessi a mostrare il set dove lavorano, il modo in cui viene realizzato il serial e bloopers vari.
Molto buoni anche i vari effetti speciali, ma, di contro, non si avverte minimamente la presenza di una colonna sonora, visto che gli accompagnamenti sonori delle puntate sono pressoché assenti o anonimi e la sigla della serie dura poco ed è bruttina.

A dispetto di come appare (i robot con gli occhioni hanno tenuto lontani molti telespettatori in patria, dove la serie è stata un flop, ed è probabilmente questo il motivo per cui è arrivata così tardi in Italia), "Power Rangers RPM" è, a sorpresa, una serie molto interessante ed avvincente, col giusto numero di episodi, che non si dilunga più del dovuto mostrando qualcosa di utile o interessante in ogni puntata. Il suo unico difetto sta, forse, nel finale, che liquida il cattivone (peraltro bellissimo e minaccioso nella sua forma finale) in una maniera un po' ingiuriosa e poco spettacolare e lascia un paio di spiragli aperti di cui mai si saprà la risoluzione. Nonostante questo, però, è un serial che si segue con grande piacere e scioltezza, grazie ad una trama incalzante, una buona realizzazione e degli ottimi personaggi.
Personalmente preferisco le serie dei Power Rangers che virano più sul fantasy rispetto a quelle fantascientifiche come questa, ma "Power Rangers RPM" è stata una graditissima sorpresa, per quanto sia una parentesi diversa dal solito e non classificabile come serie "tipo" di questo filone.



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Ho analizzato questo film come materiale per la mia tesi di laurea triennale. Poiché l'ho recensito lì, mi piaceva condividere il mio parere anche qui.

La trama ruota intorno al neonato amore di un'attrice francese, volata a Hiroshima per interpretare il ruolo di crocerossina in un film pacifista, e di un architetto giapponese. Dopo un'intensa notte d'amore, i due innamorati vorrebbero non separarsi mai più e la loro storia sembra destinata ad avere un lieto fine, fin quando gli spettri che aveva cercato di rinchiudere nel passato non fanno breccia nuovamente nella giovane donna di Nevers. Affinché il dolore causato dalla perdita dell'amato in guerra possa sfumare in un sentimento di compassione sociale, la protagonista si è lasciata il suo amato paese alle spalle, conservandone sulla pelle i tratti e lo stile, e si è diretta a Hiroshima per partecipare a un film che narri di sofferenza, per espiare così con la collettività la sua pena. Ma sarà proprio la finzione del cinema a ricondurla alla triste verità: ognuno si trova ad affrontare il proprio dolore da solo ed evadere dalla realtà finisce soltanto con l'acuirne la portata. Accanto a lei c'è sempre la figura maschile di questo giovane giapponese, simbolo di un paese che ha perso la guerra, ma che ne risulta il vero vincitore.

Con sublime maestria, Resnais utilizza la tecnica del flashback per mescolare il passato (Francia) al presente (Giappone), che si rincorrono per tutta la durata della pellicola, sfiorandosi, ma senza mai arrivare a prendersi.
L'incipit del film è una sorta di documentario, che mostra una città distrutta o, per meglio dire, ciò che ne resta. Il dialogo di sottofondo alla sequenza iniziale, con le affermazioni della donna e le susseguenti negazioni da parte di lui, schiude allo spettatore la verità degli opposti, in cui la sceneggiatura di Marguerite Duras si dispiega. Per esempio, mentre la giovane francese descrive i fiori che sbocciano a Hiroshima, sullo schermo appaiono gli effetti delle radiazioni nucleari, edifici in decadenza, cani zoppi, e persone in decomposizione. Nella scena successiva troviamo i due protagonisti avvolti in un dolce abbraccio, che crea una rottura con la tragedia delle immagini appena scorse nella sua tenerezza di amore appena sbocciato.

In un racconto senza nomi, la verità fuoriesce proprio quando i due protagonisti si attribuiscono rispettivamente i nomi delle proprie città d'origine. Non bisogna dimenticare il passato per vivere bene nel presente, ma è affrontandolo che ci si costruisce il futuro; dall'amore scomparso con la morte, nasce un nuovo amore in una città che sembra morta, il cui dolore si è già trasmesso alle pareti ricostruite dell'hotel che ha ospitato la prima notte dei due innamorati.
Tutti dimenticano, e non è una cosa propriamente positiva, ma si dimentica il dolore così come scompaiono i ricordi del piacere; bisogna imparare a convivere con questa realtà e andare avanti. La ragazza comprende perfettamente che continuando questa relazione finirà con l'obliare la sua storia passata, ma non si può fermare un meccanismo che si è già messo in moto; bisogna accettare che ci si sta innamorando ancora una volta e ciò non deve significare che il passato amore è stato qualcosa di poco importante, anzi, è grazie a esso che si può vivere l'amore presente. Per qualsivoglia sentimento e/o esperienza vale la stessa regola, quindi anche il dolore del popolo dinanzi alla catastrofe atomica con il tempo passerà e darà spazio a nuove emozioni.

Sembra, a questo punto, che la lentezza delle scene sia quasi un errore, ma se la si considera in un'ottica funzionale allo scopo dell'intero film, allora prende significato, come se l'obiettivo di Resnais fosse proprio dare il senso del tempo che si ferma durante un tempo, quello della vita, che è incessante.



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Si dice che il passato è passato e che ciò che è stato non ritorna più. Vedendo "Karate Robo Zaborgar" però viene da dubitarne. L'intero film è un grande tuffo nel passato: l'anno di produzione ufficiale può essere il 2011, ma l'anno di produzione morale è in tutto e per tutto il 1974, anno della prima messa in onda delle serie TV di Zaborgar. Chiunque sia cresciuto a pane, robottoni e tokusatsu giapponesi riconoscerà le atmosfere, le musiche, le tematiche, i gesti, le espressioni tipiche degli anni settanta: la ricostruzione storica è certosina e perfetta fin nei minimi dettagli. Zaborgar non è una parodia, ma un sentito omaggio allo spirito di quegli anni; se risulta assurdo e ridicolo è perché le opere dell'epoca erano così. Il regista Noboru Iguchi (stella del trash giapponese, con al suo attivo film come Machine Girl e Robo Geisha) realizza qui un pezzo da maestro, esponendo brillantemente le assurdità del tokusatsu storico, con evidente amore e devozione per il genere.

Il telefilm originale "Denjin Zaboga" è quasi sconosciuto in Italia, visto che da noi venne trasmesso parzialmente sulle TV private soltanto nei primissimi anni ottanta e soltanto in certe regioni; io stesso, grande fruitore della TV di quegli anni, non l'ho mai visto. Ma basta aver visto gli anime robotici dell'epoca per capire tutto di Zaborgar, che è probabilmente il primo tokusatsu direttamente ispirato dagli anime nagaiani. L'influenza è fortissima: Zaborgar è un robot trasformabile come Getter Robot, ha una seconda parte combatte contro l'Impero dei Dinosauri (sempre come in Getter Robot), ha armi copiate da Mazinga Z (come il Jet Punch al posto del Rocket Punch), ha essenzialmente la stessa trama di Cutey Honey, i personaggi e gli antagonisti sono quelli tipici dei robotici dell'epoca. Del resto tokusatsu e anime uscivano dalle stesse mani, basti dire che la colonna sonora di Zaborgar è di Shunsuke Kikuchi, l'autore delle colonne sonore di anime come L'Uomo Tigre, Babil Junior, Kyashan, Getter Robot, Hurricane Polymar, Goldrake, Gaiking, Danguard, Guyslugger, Starzinger, General Daimos e molti altri. Kikuchi in quegli anni era un autore era così famoso che il suo nome alle musiche era garanzia di successo per tutta la serie. Per noi italiani della Goldrake Generation la colonna sonora di Zaborgar significa Goldrake, essendo praticamente uguale (all'epoca le colonne sonore, gli effetti sonori e quant'altro si riciclavano tra serie diverse).

Tutta quanto si può dire per l'originale vale anche per il film "Karate Robo Zaborgar", visto che è identico. Rivaleggia con il film di "Yattaman" di Takashi Miike per il posto di miglior remake di una serie anni settanta. La visione di Zaborgar è raccomandata a tutti i fan di Go Nagai, da cui eredita lo spirito dissacrante e la vena ecchi. Segnalo in particolare i titoli di coda, in cui vengono mostrate immagini del telefilm originale, dimostrando una fedeltà assoluta nel design di robot e mostri combattenti, e perfino nell'aspetto degli attori. Si scopre così che anche le trovate più assurde, che sembravano uscite da puro spirito goliardico, erano invece presenti nell'originale. Un film essenziale per i girellari, e da raccomandare alle giovani generazioni che vogliono farsi un'idea di quello che erano i prodotti giapponesi del tempo che fu.