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Adotta un titolo 1Adotta un titolo 2Titoli poco conosciuti, passati in sordina all'epoca dell'uscita o dimenticati col tempo... su AnimeClick.it abbiamo migliaia di schede anime e manga senza alcuna recensione, privando quindi i lettori di uno dei principali punti di forza delle stesse.
Per cui, ad ogni appuntamento di questa rubrica vi proporremo alcuni di questi titoli, con la preghiera di recensirli qualora li conosciate. Tutti gli utenti che recensiranno le opere proposte entro la scadenza assegnata riceveranno l'icona premio Scheda adottata. Per le regole da seguire nella stesura delle recensioni rimandiamo al blog apposito, che vi preghiamo di utilizzare anche per commenti, domande o tenere traccia dei premi (non commentate l'iniziativa in questa news).

I titoli al momento disponibili sono:

[MANGA] Soul Gadget Radiant (Scadenza: 21/1/2015)

[ANIME] Body Jack (Scadenza: 25/1/2015)

[ANIME] Mitsuwano (Scadenza: 28/1/2015)

[MANGA] Astroboy Remake (Scadenza: 1/2/2015)


Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con gli anime Ninja Kamui, One Piece 3D2Y e Barakamon.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.


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In un periodo Edo cupo, senza luce, pieno di povertà e ingiustizie, il Ninja disertore Kamui vaga senza meta, con il solo scopo di sopravvivere agli attacchi dei sicari inviati dal clan Iga, dal quale è stato allevato fin da bambino come killer professionista. La solitudine del guerriero è totale: egli può solamente continuare a fuggire, non può fidarsi di nessuno, pena la morte.

Salta subito all'occhio il fatto che questo anime sia uscito nel lontano 1969. All'epoca in Giappone erano in corso rivolte studentesche, agitazioni sociali di vario tipo, la povertà ed il caos derivanti dalla perdita della guerra, uniti al frenetico climax dell'industrializzazione, avevano temprato la generazione di giovani giapponesi del periodo, che richiedeva per il suo intrattenimento prodotti socialmente impegnati, nei quali fosse presente una ribellione contro la società e l'ordine costituito. Il gekiga di Sampei Shirato, autore del qui presente "Ninpuu Kamui gaiden ", nasce proprio per rispondere alle esigenze tipiche dei giovani dell'epoca: si tratta di storie adulte, impegnate, in cui la ribellione e la denuncia sociale fanno da padroni. Kamui è il giovane giapponese dell'epoca, che si ribella alla società di vecchio stampo tradizionalista legata al profitto - in questo caso rappresentata dal clan Iga, vero e proprio servo degli interessi dei ricchi proprietari terrieri - e che, nella sua fuga continua e senza speranza, incontra l'atroce indifferenza dei contadini, dei taglialegna, delle persone "non rivoluzionarie" che con la loro apatia e la loro cattiveria mantengono la società in stallo, privandola del cambiamento necessario ad una sua evoluzione.

Il periodo Edo di "Ninpuu Kamui gaiden" è un'evidente metafora del Giappone in crisi, appena uscito dalla guerra e travagliato dalle disparità sociali. Non ci sono regole, non ci sono valori, solamente frenesia, incomprensione, dolore e morte. Queste sono le cose che il giovane Ninja Kamui incontrerà lungo il suo cammino. La sua condizione ontologica di fuggitivo braccato ad eternum, in base alle numerose scene naturalistiche dell'anime - che raffigurano predatori e prede, mentre il sole si erge in alto come un disco monolitico ed impersonale, incurante del dramma umano - suggerisce il profondo pessimismo cosmico dell'opera: per Kamui la libertà è impossibile, in quanto la natura, con le sue leggi, ha decretato che ogni preda finirà immancabilmente nelle fauci del predatore. Non resta quindi che fuggire sottostando alle sue regole, uccidendo per sopravvivere e aspettando, nella più completa solitudine, la venuta della morte.

Valutata come anime Ninja in sé, la cupa epopea nichilista del Ninja Kamui eccelle sotto tutti i punti di vista: i combattimenti, nonostante siano stati animati più di quarant'anni fa, sono comunque spettacolari; il dramma è crudo, senza sconti per lo spettatore: l'umanizzazione di alcuni antagonisti - tra i quali sono presenti anche numerose donne - spesso renderà la loro dipartita un'evento tragico e drammatico; la storia d'amore presente nell'anime è anch'essa tragica, virile e senza speranza, ben lontana dal solito happy ending che va tanto di moda ai giorni nostri. La continuity degli episodi è serrata, anche se il solito canovaccio del Ninja che vuole ammazzare Kamui puntualmente fatto a pezzi - anche con l'ausilio di cavalli selvatici e tartarughe che spuntano fuori dal nulla al momento più opportuno (!) - in alcune puntate si dimostra leggermente ridondante. Quello che rimane comunque impresso è il messaggio di fondo dell'opera, la sua atmosfera scarna e cupa, la sua profonda "giapponesità"; infatti, " Ninpuu Kamui gaiden" è l'anime giapponese più "giapponese stricto sensu" che abbia mai visto. Siamo ben lontani dagli eroi perfetti ed immortali creati negli anni '80 prendendo ad esempio quelli dei comics americani: Kamui è un antieroe tragico che prova paura, smarrimento, che uccide donne e bambini innocenti temendo che siano sicari inviati dal clan Iga per ucciderlo. Non c'è alcun filtro inibitore nel mostrare personaggi che muiono, situazioni tragiche e nichilismo accompagnato da carneficine varie - il tutto senza musiche epiche, solamente con il rumore del vento che squarcia la quiete della notte sinistra e silenziosa; oppure il fruscio inquietante di un serpente che stritola la sua preda; gli angoscianti latrati dei cani selvatici. Si respira quella situazione di "annullamento" tipica della cultura orientale, in cui, a differenza del pensiero occidentale, la morte non è concepita come una cosa negativa, ma sfocia in un nulla che in questo caso ha valenza positiva e liberatoria. Anche il character design è tipicamente giapponese: i tratti dei personaggi, sopratutto quelli feminili, sono estremamente fedeli all'antica cultura artistica del sol levante, allo stesso modo del mare, che sembra appena uscito da un dipinto di Hokusai.

In conclusione, prendendo la maggiorparte degli anime shonen da combattimento odierni, pieni di fanservice otaku ed ipocrite ruffianate allo spettatore, e confrontandoli con opere come il suddetto "Ninpuu Kamui gaiden", personalmente ho notato l'abisso tra i giapponesi di adesso e i giapponesi di allora. Sembra quasi che essi abbiano perso la loro identità, le loro radici, oppure che non sappiano più trasmettere la loro cultura in modo soddisfacente attraverso gli anime (a parte poche eccezioni, sia inteso). Il continuo processo di occidentalizzazione in qualche modo ha snaturato l'antico carisma del paese del sol levante, che emerge senza eccessive contaminazioni dalle opere di animazione degli anni '60 e '70. Il ragazzo giapponese del dopoguerra che consumava opere gekiga era esattamente l'opposto dell'otaku rintanato in casa ad ammirare le capziosità degli interminabili shonen commerciali "alla Naruto", dove la patologica assenza di contenuti, di spessore delle vicende trattate, l'alienazione dai problemi dell'esistenza e della vita hanno avuto la meglio sul triste passato di un popolo orientale fiero, affascinante, segnato indelebilmente dalla tragedia del dopoguerra e dalla durezza della sua stessa tradizione. Evidentemente i tempi sono cambiati.



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Iniziamo subito con il dire che, visto il titolo del film in questione, è difficile non fare spoiler su una parte della storia, ma credo anche che chi lo guarderà e leggerà questa recensione sia a conoscenza delle premesse, perciò non mi farò problemi.

"One Piece - 3D2Y: Superare la morte di Ace! La promessa di Luffy ai suoi amici", è uno special televisivo di quasi due ore che ha per protagonista Luffy, ed è incentrato su un'avventura vissuta dal nostro capitano dal cappello di paglia accaduta durante i due anni di vuoto narrativo nel manga e nell'anime originale.
Non sto a spiegare tutta la trama di "One Piece" perché sarebbe inutile, ma ad un certo punto della storia, in uno dei momenti più intensi del manga, Luffy si ritrova a dover combattere per salvare suo fratello Ace dall'esecuzione. Purtroppo non ci riesce, e quando si ritrova con il fratello morto tra le braccia, Luffy, un personaggio incredibile, ha per la prima volta una reazione credibile, umana. Ferito nel fisico e mentalmente distrutto, crede di non avere più uno scopo nella vita, ma Jinbe gli ricorda che ci sono ancora i suoi otto compagni: Zoro, Nami, Sanji, Usopp, Chopper, Robin, Franky e Brook. A loro Luffy aveva fatto una promessa, quella di rivedersi dopo tre giorni e partire insieme verso il Nuovo Mondo. A causa però dell'attacco di Kuma Bartholomew, i suoi compagni sono dispersi e Luffy ha capito che non sono ancora pronti per la nuova avventura. Per questo decide di allenarsi sotto la guida di Rayleigh, e l'appuntamento con i compagni è posticipato: il luogo è lo stesso, la data però è tra due anni.

Ciò che succede dopo, ormai è noto, i personaggi si ritrovano, più forti ma cambiati. Luffy ha anche una grande cicatrice sul petto. Cosa è successo in questi due anni non è noto, Oda, l'autore del manga, ha solo realizzato piccole vignette, ma per il resto è tutto avvolto nel mistero.

Ed è qui che inizia il film. Luffy si sta allenando sotto la guida di Rayleigh a controllare il potere dell'Haki, o Ambizione, come è stata chiamata nel manga in Italia. Mente però si allena, si ritrova faccia a faccia con Byrnndi World, un pirata evaso da Impel Down nella grande fuga causata proprio da Luffy. World decide di attaccare il Governo Mondiale, cominciando dalla Flotta dei Sette, e visto che la più a portata di mano è Hancock, decide di iniziare da lei. Ovviamente Luffy non può stare a guardare e decide di combattere.

Ora, a me il film è piaciuto abbastanza, non è un capolavoro ma è nella media dei film di "One Piece". Sono un po' deluso dal fatto che la storia è incentrata solo ed esclusivamente su Luffy, e invece degli altri Mugiwara non c'è nessuna traccia. Luffy da solo, per quanto sia un bel personaggio, non rende al meglio e ha bisogno dei suoi compagni per risaltare. Ad accompagnarlo in questo film c'è Hancock e in parte Baggy, che riescono a fare pesare meno la cosa, ma si sente la mancanza ad esempio di Zoro o di Nami.

Il nemico del film, tale Byrnndi World, è abbastanza ben caratterizzato e ha i poteri di un Frutto del Diavolo che, pur non essendo molto originale, risulta essere molto versatile e soprattutto potente. E' interessante il confronto tra lui, che ormai è disilluso, non ha più un sogno e ha perso la fiducia nei suoi compagni, e Luffy, che invece per gli amici sarebbe pronto a sacrificare la vita. Non c'è chissà quale confronto psicologico tra i due, ma un paio di dialoghi non sono niente male.
Risaltano meno i comprimari di Byrnndi World, ma in combattimento si fanno valere grazie a tecniche e poteri decisamente interessanti.
Molto bello vedere in azione Baggy, un personaggio simpaticissimo e che purtroppo si vede troppo poco nella storia, ma anche Hancock, che è semplicemente divina, anche in combattimento.

Sul versante tecnico, il film si presenta curato quanto basta. I disegni e le animazioni risultano più curate rispetto alla media degli episodi TV, ma lontani da quanto visto nei film per il cinema. Ci sono un paio di scene animate un po' male e con qualche imprecisione, ma nulla che si noti troppo, e nel complesso i disegni sono ben fatti.
Doppiaggio e musiche rimangono quelle della serie anime, tutto molto bello e d'effetto.

Da segnalare infine che nel finale del film l'ultima scena presenta uno spoiler abbastanza importante per chi segue solo l'edizione italiana del manga.

In conclusione, se siete fan di "One Piece" la visione è d'obbligo. Questo special non aggiunge poi molto alla storia e alla fine risulta tutto sommato inutile, ma resta comunque gradevole da guardare.



9.0/10
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La vita è come la scia d'inchiostro lasciata da un pennello. Alcune volte sei tu in prima persona a tracciare con mano ferma il percorso da seguire. Altre volte è qualcun altro a disegnare per te la strada sulla quale camminare. Fino al suo trasferimento nelle isole Gotō, Handa Seishū, un ventitreenne genio della calligrafia, non aveva fatto altro che intingere i piedi nel calamaio di suo padre e zampettare freneticamente qua e là, senza comprendere fino in fondo l'importanza della sua arte. Il tutto si rifletteva in uno stile calligrafico scolastico ed impersonale. Quando un illustre critico lo pone di fronte alla realtà dei fatti, dà in escandescenze e mena il povero anziano creando malcontento nell'opinione pubblica. Di rimando viene espulso dalla civiltà, spedito su quest'arcipelago nell'estremo sud del Giappone in mezzo a pescatori e contadini, con la caldaia a manovella e mocciosi che entrano e escono da casa sua eletta quasi a "covo malavitoso", senza dargli un po' di serenità per dedicarsi al perfezionamento della scrittura. Sballottato in lungo e in largo, fra mare e montagna, insetti, pesci e felini, festival e ricorrenze, in questo putiferio immerso nella natura e imbevuto di tradizioni, Handa scopre forse per la prima volta il calore umano, la meraviglia, il sapore del preparato in casa, il preoccuparsi per i familiari... E tanti altri sentimenti che arricchiscono piano piano il suo pennello, finché questo non inizia ad esprimersi in uno stile tutto nuovo. Stavolta a disegnargli davanti ai piedi è una bambina di 7 anni dall'accento spiccatamente meridionale, Kotoishi Naru, che sorridente e curiosa, sbatte il pennello a destra e a manca macchiando tutta la tela del malcapitato Handa. E voltandosi verso il nuovo arrivato con aria di sfida, come se volesse dirgli che ha capito il senso dell'esistere prima di lui, si diverte a scombussolarne la tranquillità assieme ai suoi amici e compaesani, trascinando il sensei in una spirale imprevedibile di irregolarità. Bambino fra i bambini, Handa insegue la sua infanzia negata, imparando dalle piccole cose lo splendore dello stare al mondo. Discontinuo e innovativo, creativo e sperimentale, in continua evoluzione: il nuovo stile calligrafico di Handa riflette la sua crescita, che è un po' la crescita di tutti, in questo ciclo di esperienze e fallimenti che è la vita umana, la quale va presa col sorriso, proprio come fa Naru.

La calligrafia è una vera arte per i paesi dell'Estremo Oriente che utilizzano come sistema di scrittura gli ideogrammi. La sua essenza non risiede nel significato letterale del carattere ma nell'emozione trasmessa attraverso la pittura di esso. Porre lo shodō (書道, la via della scrittura) al centro di una storia qual è Barakamon, manga di Yoshino Satsuki animato dallo studio Kinema Citrus, se da un lato può essere un riferimento immediato per un giapponese che ha nella sua quotidianità gli ideogrammi, per un occidentale diventa complesso riuscire ad assorbire il concetto di calligrafia in tutti i suoi livelli di strutturazione. In realtà, dubito che anche la generazione di oggi del Sol Levante sia capace di comprenderne fino in fondo la portata, poiché diventa sempre più esiguo il numero di giovani che si interessa all'arte, e così come è successo per il teatro kabuki, per la cerimonia del tè, per l'ikebana, per la ceramica, col tempo alcune branche in cui il Giappone eccelle sono diventate appannaggio di pochi. D'altre parte, l'arte calligrafica richiede anni e anni di preparazione, ore di esercitazioni, sessioni di studi filologici, e una grande conoscenza del sostrato culturale dal quale si vuole attingere. Iniziare fin dalla tenera età alla via della scrittura significa sottrarre il bambino a tanti piaceri dell'infanzia, che se hai la fortuna come Handa di vivere da adulto, allora puoi ancora ampliare il tuo bagaglio, ma per quelli che quest'esperienze non potranno più farle, sarà dura riuscire a trovare una strada con la quale riaccendere il proprio estro creativo.

Tuttavia, Barakamon non si ferma solo a parlare di questo. L'idea paterna di spedire Handa nelle isole Gotō, nella prefettura di Nagasaki nell'estremo sud del Kyūshū, dove il tempo sembra aver cristallizzato gli abitanti durante il periodo feudale, è come fargli fare un bagno nelle tradizioni e in quello spirito genuino che caratterizzava il Giappone di qualche secolo fa. Accompagnando al loro stile di vita da pescatori e contadini la scoperta della modernità, gli isolani dell'arcipelago Gotō conservano l'umiltà che ad un vinto come Handa serve imparare. Per disseppellire il proprio io da quell'accozzaglia di carte, pennelli, macchie d'inchiostro, stampi, mescolati alla presunzione di aver già raggiunto dei traguardi con uno stile pulito ma altresì scolastico, Handa prende per mano quella dispettosa bambina bionda dal dialetto marcato, appassionata di insetti, curiosa, innamorata della vita, e da lei acquisisce la conoscenza che mancava alla sua scrittura. E così sarà anche per lo spettatore. Naru ha uno dei sorrisi più belli della storia dell'animazione ed è la dimostrazione lampante di quanto un bambino ha da insegnare ad un adulto. La spensieratezza che possiede l'aiuta ad affrontare il presente con leggerezza, scherzosamente, prendendo il negativo come fa con gli scarafaggi e mostrando la preda al mondo con gli occhi di chi ce l'ha fatta. Ad un topo di laboratorio come Handa, che ha passato l'intera esistenza rinchiuso a scrivere, concentrandosi su come migliorare il proprio tocco, senza nemmeno accorgersene, in maniera del tutto naturale, proprio come solo ai bambini riesce, Naru mostra la natura e i suoi figli, la freschezza delle sere d'estate, la meraviglia dei fuochi d'artificio, il sapore della famiglia, la purezza di un pianto, il dolore di una ferita, il divertimento dietro la fatica, il calore di un bagno a casa propria, la gioia della conquista di un nuovo tesoro, l'importanza dei legami e delle gerarchie, la lezione al di là della storia, l'affetto dietro un'attesa, l'autenticità dell'esistenza umana in ogni sua forma.

Il rapporto unilaterale sensei-gakusei viene invertito, in un'eco che risuona de "Il cuore delle cose" di Natsume Sōseki. In Barakamon è Handa ad imparare da Naru, è il maestro ad abbassarsi verso la piccola studentessa per guardarla negli occhi, prendere le sue mani e lasciarsi guidare. Handa prova ad insegnarle l'unica cosa che sa fare, seguire la via della scrittura, ma è Naru a penetrare negli angoli del suo cuore, facendolo riecheggiare di suoni che originano un effetto domino sul suo vissuto, concatenando eventi, emozioni, scelte, fino a donargli quello che cercava e che su quell'isola sperduta non immaginava di trovare. Il senso del vivere lì si abbatte prepotente sul futuro del sensei, smuovendo il desiderio di non abbandonare quel posto che lo ha accolto come un neonato, lo ha cullato, nutrito, educato, amato, facendolo sentire a casa. La dimensione di familiarità che si crea fra i personaggi e fra lo spettatore e quest'ultimi è infatti un'altra meraviglia di Barakamon. Nella sua misura di slice of life, fa scoprire la vita giorno per giorno, emergendo come una serie che intrattiene con situazioni normali, pur se affrontate da personaggi piuttosto eccentrici. Oltre Handa e Naru, che con i loro siparietti potrebbero reggere da soli l'anime sulle spalle, c'è un contorno di comprimari degno di una commedia goldoniana.

Molto curato dal punto di vista tecnico, Barakamon ha un chara design che valorizza in pieno la bellezza dei soggetti e un deformed design che velocizza la comicità. In particolare, i bambini sono la cosa più pucciosa che esista! Il punto forte dell'anime è l'ambientazione nelle isole Gotō, che appaiono agli occhi di uno straniero come la rappresentazione genuina del Giappone di un po' di tempo fa, quella nazione che ancora non era stata intaccata nei sentimenti dalla guerra e che tanto affascinava i paesi esteri. Ottima la prova al doppiaggio della giovanissima Hara Suzuko, che riesce a rendere bene la parlata dialettale di Naru, sicuramente difficile per una ragazzina di 9 anni nata nella prefettura di Kanagawa. Altrettanto valido è stato il lavoro con Handa di Ono Daisuke, ritrovatosi a collaborare assieme ad una partner alle prime armi, con la quale, come emerge da alcuni photoset, sembra aver instaurato un rapporto quasi "paterno". In generale, doppiaggio più che buono, ma sotto questo punto di vista il made in Japan si smentisce raramente. Anche l'OST è gradevole e i testi delle canzoni d'apertura e chiusura sono l'immagine specchiata della serie. Alcuni versi dell'opening theme cantata dalla rock band Super Beaver, infatti, potrebbero riassumere il significato della storia: "Mi domando: cosa significa "essere se stessi"? Il tempo potrà pure passare, ma non riuscirà mai a cancellare ciò che è veramente importante. Quindi la strada da percorrere è una vita in continuo cambiamento." Attraverso l'immedesimazione nel protagonista, lo spettatore riesce ad imparare in maniera divertente, senza troppo impegno, tante piccole lezioni, che spesso nel viavai del tempo della vita di città si dimenticano. Soprattutto la semplicità, che i giovani d'oggi decantano di possedere, ma che a conti fatti nascondono sotto pesanti strati di trucco e dietro aggeggi tecnologici. Solo quelli che hanno un cuore disilluso potrebbero non riuscire ad apprezzare gli insegnamenti di Barakamon. Come una mamma quando accarezza quel birbante di suo figlio in lacrime dopo essere caduto, questa tela sapientemente dipinta a più mani coccola la "persona molta vivace" (ばらかもん, barakamon vuol dire proprio questo in dialetto) che eravamo un tempo, la quale, nonostante la ferita gli pizzichi ancora, non ha paura di svegliarsi, vivere e amare.