Si è tenuto, lo scorso 10 dicembre, all'Università Ca' Foscari di Venezia, Hiroshima, Nagasaki, Fukushima: ricerca, traduzione, didattiva e impegno sociale, un incontro di presentazione della nuova edizione, a cura di Hikari, di Gen di Hiroshima (Hadashi no Gen) di Nakazawa Keiji.
L'incontro, durato circa 2 ore e mezza, ha visto avvicendarsi diversi relatori, trattanti ciascuno un campo specifico dell'opera. Data l'eccessiva lunghezza del testo (più di 70.000 caratteri), abbiamo deciso di pubblicare separatemente le varie parti dell'incontro.
 
PARTE I: GENBAKU BUNGAKU, LA LETTERATURA DELLA BOMBA ATOMICA
a cura della prof.ssa Luisa Bienati

Io vi parlerò delle voci letterarie che si sono occupate di questi temi, in modo ovviamente generale e senza addentrarmi in singoli autori, non essendo questa la sede e non avendo il tempo per farlo.
È giusto contestualizzare questo manga all'interno della produzione più generale che prende il nome di Genbaku bungaku. Questo tema è estremamente attuale, e vorrei partire con la presente citazione, di Terada Torahiko del 1933, che era un fisico che si occupava di terremoti e disastri naturali in generale, nonché saggista e scrittore.
 
«I disastri naturali vengono nel momento in cui ce ne siamo dimenticati»
[Terada Torahiko]
 
Questa affermazione si può benissimo applicare anche oggi, ed è stato fatto, sopprattutto dopo il disastro di Fukushima. Si è guardato indietro, al passato, e ci si è chiesti come sia stato possibile dimenticare i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki. Dopo il marzo 2011 molti scrittori hanno affrontare il tema della dimenticanza, la letteratura della bomba atomica come grande dimenticanza. Questo tema è stato trattato anche da Murakami Haruki, in un discorso fatto in occasione del ricevimento di un premio letterario in Spagna. Tra le tante cose interessanti che ha detto, ha ricordato le parole scolpite sul memoriale delle vittime della bomba atomica ad Hiroshima: “Riposate in pace, perchè l'errore non si ripeterà.
Murakami commenta così:
 
«Queste sono parole nobili, che riconoscono che siamo in realtà vittime e carnefici allo stesso tempo. Questo è vero anche per quanto riguarda l'energia nucleare. Nella misura in cui siamo minacciati dalla forza del nucleare, siamo tutti vittime.
Inoltre, dal momento che abbiamo scatenato noi questo potere e siamo quindi in grado noi stessi di evitare di usarlo, siamo tutti colpevoli.
Sessantasei anni dopo i bombardamenti nucleari, i reattori nucleari di Fukushima Daiichi stanno ora diffondendo la radioattività, contaminando il suolo, l'oceano e l'aria tutt'intorno. Nessuno sa come e quanto possiamo fermare questo.
Questa è la seconda fonte di devastazione causata dal nucleare in Giappone, ma questa volta nessuno ha sganciato una bomba atomica. Noi, il popolo giapponese, abbiamo aperto la via a questa tragedia, facendo gravi errori e contribuendo alla distruzione delle nostre terre e delle nostre vite.»
[Murakami Haruki]

Un'altra voce famosa che ha preso posizione su questa dimenticanza è Oe Kenzaburo, premio nobel per la letteratura nel 1994 e da sempre impegnato sul fronte delle battaglie contro il nucleare, sia per la conservazione della memoria, degli eventi di Hiroshima e Nagasaki, sia come attivista contro l'utilizzo del nucleare dopo il 1945. Commentando il triplice disastro di Fukushima, Oe scrive:
 
«Questo disastro è legato a due drammatici fenomeni. Il Giappone è un paese vulnerabile per i terremoti e, di conseguenza, le centrali nucleari sono altamente pericolose. Il primo fenomeno è una realtà con cui abbiamo dovuto confrontarci in tutta la nostra storia. Il secondo, che può portare a ben più grandi tragedie del terremoto e dello tsunami, è opera delle mani dell'uomo».
[Oe Kenzaburo]

Oe si pone un interrogativo inquietante, chiedendosi cosa il Giappone abbia imparato dalla tragedia di Hiroshima.
Cito poi le voci di due giovani scrittrici che hanno vissuto da quegli eventi del '45 uno stacco generazionale, cioà sono nate dopo e di tali eventi hanno sentito parlare solo in modo indiretto. Eppure nel momento in cui la minaccia del nucleare si è concretizzata dopo l'incidente di Fukushima hanno preso posizione verso quella che è stata anche una loro dimenticanza, un rendersi conto a quello che avrebbero potuto fare ma non avevano fatto.
La prima è Kawakami Hiromi, che spiega qual è lo scopo della sua scrittura dopo gli eventi di Fukushima, ovvero esprimere
 
«lo stupore per come le nostre vite quotidiane possano andare avanti, senza che niente accada, dopo giorno dopo, e poi all'improvviso essere drammaticamente cambiate da eventi esterni, l'esperienza mi ha lasciata con una certa rabbia, che ancora non si è calmata. Ma alla fine questa rabbia non è diretta ad altri che a me stessa: chi ha costruito il Giappone di oggi se non io e altri come me? Anche se portiamo dentro di noi questa rabbia andremo avanti a vivere come sempre. Rifiutiamo ostinatamente di dire basta, perchè quando tutto è finito è sempre una gioia essere vivi»
[Kawakami Hiromi]

Un'altra voce è quella di Tawada Yoko, che ha avuto anche la possibilità di assistere agli eventi di Fukushima dall'esterno del Giappone e criticare il modo in cui il suo paese ha presentato gli eventi, in particolare la funzione dei media. Lei scrive:
 
«Nessuno ha colpa per il terremoto e lo tsunami. Inpotenti, sconvolti, i giapponesi potranno adottare da qui in futuro, un atteggiamento ancora più passivo di fronte alle proprie condizioni di vita. Ma per questa volta, vorrei prendere le difese della natura crudele e dire che essa non è responsabile di tutto quello che avviene. Non è la natura che ha inventato la radioattività, l'ineguaglianza sociale e la manipolazione dei media.»
[Tawada Yoko]

Queste giovani scrittrici si confrontano col passato prendendo coscienza di quello che è il disastro nucleare attraverso il binomio Fukushima-Hiroshima. Hiroshima è diventato un argomento di cui si è ricominciato a parlare grazie all'incidente di Fukushima.
C'è da chiedersi, a questo punto, se dopo Fukushima è cambiato lo sguardo sulla letteratura della bomba atomica. Per quello che posso dirvi ora, c'è certamente una maggior attenzione: mentre ero in Giappone c'è stato recentemente a Hiroshima un seminario sulla letteratura femminile della bomba atomica che metteva insieme Hiroshima, Nagasaki e Fukushima; ed anche all'università Waseda stanno svolgendo un seminario su questo tema e soprattutot sulla prospettiva femminile che come sappiamo è molto particolare, diversa, da quella maschile, perchè nel genpaku bumbaku vi sono molte scrittrici donne che trattano questo tema, e anche nella narrativa post-Fukushima pare che le voci più significative e numerose siano quelle delle donne. Il motivo è semplice: a livello fisico, le donne sono più coinvolte per quanto riguarda la contaminazione nucleare, la riproduzione le trasmissione genetica ai figli.

Vorrei ricordare che questo tema è stato trattato da molti punti di vista, ad esempio quella che state vedendo adesso è una fotografia tratta da una tesi di laurea di una mia studentessa dedicata alla fotografia; ne abbiamo avute sull'arte, sui manga, sulla letteratura, sul cinema, quindi è un argomento che è stato molto studiato, tuttavia sempre rivolto ad un pubblico specialistico, sia qui che anche nei seminari di cui vi parlavo prima in Giappone. Per questo ritengo molto importanti essere qui, oggi, a presentare questo manga in una nuova traduzione italiana che non solo è importante come opera di per se, ma perchè mostra questi eventi dalla parte delle vittime, di chi ha subito queste tragedie,

Perchè all'inizio abbiamo insistito su questo tema della dimenticanza? Perchè in Giappone il genere è caratterizzato da questo tema della dimenticanza. Sono opere poco conosciute in Giappone e ancora meno all'estero, c'è qualcosa di forse tradotto in inglese, pochissimo in italiano, in Giappone viene ristampato pochissimo e sono opere che hanno avuto una gestazione difficile, molte scritte subito dopo il '45, censurate, vedendo la luce solo molti anni. È un oblio che ha molti aspetti, uno dei quali è la difficoltà di guardare al passato, alla realtà vera di queste due città bombardate. A questo proposito bisogna anche dire che c'è un predominio di Hiroshima su Nagasaki: ci sono stati due bombardamenti a distanza di tre giorni, un numero di morti immenso in entrambi i casi, però quando noi parliamo di questo Nagasaki è spesso dimenticata. Anche le voci letterarie della letteratura della bomba atomica, a parte Hayashi Kyoko e qualcun altro, sono più numerose quelle che parlano di Hiroshima. Sempre legato al tema dell'oblio, questi testi all'inizio descrivono in modo realistico la situazione di queste due città ma poi molto presto l'atomica si trasfigura e diviene il segno premonitore di qualcosa che potrà avvenire in un futuro molto lontano, una cosa che riguarda tutti noi ma viene come spostata nel tempo, un problema del futuro, non più del passato. Questo allontana lo sguardo dalla distruzione di queste città. Non è una rimozione solo letteraria, ma anche storico-politica: possiamo accennare al processo che ha portato dopo il '45 alla costruzione nell'immaginario giapponese di un nucleare buono, pulito; su questo c'è un saggio scritto dal prof. Miyake a cui rimando per approfondire il tema.

Una rimozione importante è l'immagine stessa con cui noi ricordiamo i bombardamento di Hiroshima. Qui citò un'altra tesi di un nostro dottorando, che ha espresso un'idea che io trovo molto significativa:
 
«Che significato ha per noi questa immagine, questo fungo atomico? Si potrebbe dire che il fungo atomica nasconde la città, non ci mostra la città, è la visione dall'alto, è la visione di chi ha sganciato la bomba. Nome e immagine si sono trasformati in una pericolosa sineddoche, lasciando precipitare la città e le vittime nel non detto e nell'irrappresentato. Osservando una fotografia del fungo atomico su Hiroshima, non c'è nulla di caratteristico che aiuti a distinguere quella nube da qualsiasi altra esplosione atomica. L'individuazione è affidata eventualmente alla didascalia o al grado di diffusione raggiunto dall'immagine. Ma la sovrapposizione di un testo descrittivo e la visione reiterata, per quanto garantiscano l'efficacia della funzione iconica dello scatto, non sono in grado di far emergere quello che sta al fondo della nube, a terra. L'icona non sta per Hiroshima o Nagasaki: piuttosto le nasconde»

Ho parlato di dimenticanza ma devo aggiungere, come premessa per parlare di questo genere letterario, un altro termine: pregiudizio.
Questo genere è stato fin dall'inizio bollato da pregiudizi e quindi marginalizzato. Perchè è stato creato un genere a se stante: il bombardamento atomico fa parte della seconda guerra mondiale, ne è la conclusione, ma se voi guardare qualsiasi testo di letteratura giapponese si parla di letteratura di guerra ma la bomba atomica è un'altra cosa, è separata, ed è trattata come un genere a se stante, il che crea diversi problemi. Innanzitutto si crea una specie di ghetto letterario, che significa staccarla dalla guerra, che queste opere sono individuate semplicemente dall'avere una tematica comune, il bombardamento atomico. Quindi potremmo dire che questa produzione viene isolata, confinata in un ambito specialistico. Ed è una produzione che non possiamo neanche definire attraverso un genere letterario, non possiamo individuare delle caratteristiche formali, non ci sono: c'è poesia, c'è letteratura, c'è cinema e tutte le altre cose già elencate prima. Ciò che definisce il genere è semplicemente il riferimento preciso e puntuale ai bombardamenti.

Il secondo pregiudizio riguarda l'artisticità del genere. È stato un genere molto criticato dai critici letterati, che spesso hanno sostenuto che scrive di questi temi non può produrre un'opera d'arte, oppure che non si può in nessun caso fare dell'arte partendo da questi temi. Sono state criticate soprattutto le opere scritte dagli hibakusha, coloro che sono stati colpiti dalle radiazione del bombardamento. E naturalmente le prime opere, di testimonianza, sono opere di hibashuka; anche Hayashi Kyoko, che ha scritto a molti decenni di distanza, era stata testimone degli eventi.
Cito due giudizi molto duri, di critici che hanno contrastato questo genere. Il primo è Yasuoka Shotaro che proprio parlando di Matsuri no ba, il capolavoro e prima opera di Hayashi Kyoko, scrive:
 
«Sono molto impressionato dalla realtà dell'esperienza che Hayashi descrive in Matsuri no ba ma non è la stessa cosa che essere impressionato dalla sua abilità artistica».
[Yasuoka Shotaro]

Un altro giudizio molto duro fu espresso dallo scrittore Nakagami Kenji che arriva a dire:
 
«non c'è niente di più velenoso della letteratura sulla bomba atomica,
non c'è fiction più perfetta per quei giapponesi che rimpiangono la guerra».
[Nakagami Kenji]

Qui si aprirebbe un lungo discorso, che non possiamo fare, che riguarda il revisionismo storico. È un discorso importante, io vi do un riferimento letterario per chi è interessato a questo tema: in Italia è stato pubblicato un libricino intitolato Ieri e 50 anni fa che contiene le lettere di Oe Kenzaburo e Gunter Grass in occasione del 50° anniversario della fine del secondo conflitto mondiale.
Fatte queste premesse e guardando sopprattutto questi due concetti, dimenticanza e pregiudizio, vediamo adesso come si definisce questo genere letterario. Partiamo dalla definizione di disastro; uso due citazioni:

“evento estremo”, eventi di fronte ai quali vengono meno i valori etici e occorre trovare un senso, rifondare una nuova etica (Todorov)
il “disastro” è la «sovversione dell'ordine delle cose» cioè è «il tipo e il grado di disgregazione sociale che segue l'impatto di un agente distruttivo sulla comunità umana» (Ligi)
Non c'è disastro se non colpisce una comunità umana: un'eruzione vulcanica in un'isola disabitata è un fenomeno naturale, non un disastro. Il disastro è il modo in cui questi eventi si riperquotono sulla comunità umana. In Giappone abbiamo due termini per definire la letteratura che si occupa di questi disastri:
  • Shinsai bungaku (震災文学): Letteratura della catastrofe, che tratta di terremoti, alluvioni, incendi, distruzioni, come ad esempio Hōjōki di Kamo no Chōmei , primo testo importante che la letteratura ricorda, richiamato da tutti gli scrittori e intellettuali dopo Fukushima. C'è stato bisogno di tornare al passato e vedere in che modo la letteratura aveva rappresentato in epoca classico il disastro.
  • Genbaku bungaku (原爆文学): Letteratura della bomba atomica. Questo termine è importante già in sé, se lo analizziamo, in quanto i primi due kanji significano atomica e gli ultimi due letteratura. Li traduciamo come letteratura “della” bomba atomica, una letteratura che appartiene alla bomba atomica, che ha origine come genesi proprio dal bombardamento atomico. Questa definizione è una definizione puntuale e ambigua nello stesso tempo. Puntuale perchè non c'è dubbio si riferisca a quegli eventi; ambigua perchè questi due termini sono giustapposti e suggeriscono un rapporto di identità e appartenenza e vuol dire appunto che sono opere che hanno la loro fonte e origine in questi eventi e gli scrittori per combattere l'artisticità dell'opera hanno precisamente combattuto questa visione per dire che un'opera ha un valore in sé, non è dipendete dal fatto che tratti di questo argomento. Possono quindi esserci opere di grande valore artistico all'interno del genbaku bungaku così come opere di carattere più documentario, che magari non hanno neanche la presunzione di voler essere opere artistiche.

Queste sono le premesse necessarie per vedere più da vicino questo genere; di solito a lezione lo tratto per più incontri, ma in quest'occasione non possiamo entrare nel dettaglio, per cui mi soffermerò sulle caratteristiche di solito individuo:
 
  • SINGOLARITÀ / UNIVERSALITÀ
Singolarità in quanto l'esperienza di Hiroshima e Nagasaki è stata un'esperienza storicamente singolare, specifica di un luogo e di un tempo e allo stesso tempo un'esperienza universale: all'interno dei discorsi che si possono fare sulla letteratura successiva alla seconda guerra mondiale, questa letteratura viene spesso accostata a quella che ha trattato della Shoah. Abbiamo molto studi che trattano di questo tema, ad esempio è uscito recentissimamente un libro che sarà presentato tra pochi giorni intitolato I sopravvissuti di Hiroshima: L'olocausto e la nascita di una cultura globale della memoria. Si tratta quindi di un tema ancora estreamemente attuale e studiato, anche se purtroppo solo in ambito specialistico.
 
  • PAROLA / SILENZIO
Questa coppia fa riferimento più agli aspetti letterati dell'opera, cioè alla difficoltà che questi scrittori hanno avuto nel descrivere in modo realistico questi eventi. Cito un poeta giapponese che dice:
 
«Comunque uno provi a parlare
comunque uno provi a scrivere dell'atrocità umana
tutte le lingue e tutte le penne sono inutili»

Questo ci ricorda anche la famosa frase del filosofo Adorno che dopo Auschwitz non si può più fare poesia; il concetto è lo stesso, la difficoltà di rappresentare in ambito estetico-letterario di un evento di questo genere.
Tra le scrittrici che hanno trattato questo tema Ota Yoko, una delle più famose, è stata forse la prime a descrivere questi eventi; nell'arco della sua carriera ha cercato, anche dopo di aver descritto del bombardamento di Hiroshima, di continuare a scrivere altro, di continuare a fare la scrittrice come prima, senza riuscirci.
 
«Ho cercato di scrivere qualcosa che non avesse nessun collegamento con la bomba atomica ma ogni volta l'immagine della mia città natale, Hiroshima, era così impressa a fuoco nella mia mente che spingeva via qualsiasi altra immagine per altri lavori. Imprigionata nella mia città di cadaveri sono incapace di scrivere su qualsiasi altro argomento.»
[Ota Yoko]

Un altro scrittore giapponese scrive:
 
«Gli orrori raccontati in queste opere sono al di là delle parole. Non ci sono parole che potrei aggiungere. Noi siamo obbligati a un silenzio che sta oltre il linguaggio.»

Il tema della parola e del silenzio è importante non solo per la difficoltà di rappresentare questi eventi con la parola, ma anche per quello che viene detto nell'ultima frase. Ci sono autori che hanno trattato questo tema, ad esempio Oe Kenzaburo nel suo Hiroshima Notes, nelle interviste che lui fa ai sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki ci riporta spesso a questo che considera un diritto del sopravvissuto, il diritto al silenzio come la possibilità di ricominciare una vita senza necessariamente sempre pensare a quell'esperienza vissuta.
La difficoltà di comunicare quest'esperienza a chi non è stato vittima è un'altra dei punti cruciali che gli scrittori affrontano, cioè un difficile rapporto con la scrittura; ad esempio Ota Yoko diceva che odiava scrivere la parola genbaku, ma al contempo non poteva non scriverla, avvertendo nella sua scritta la difficoltà che viene dall'utilizzo di canoni tradizionali.
 
«Mi vergono di fare uso di tecniche tradizionali; in un paese che ha sperimentato una cosa che non ha precedenti come usare tecniche convenzionali?»
 
  • TEMPO PASSATO / TEMPO PRESENTE
Come è stato descritto l'evento subito dopo il bombardamento e come è stato descritto a distanza. I critici hanno individuato vari momenti, quelli che qui riporto sono uno studio di Tachibana Reiko che ha non solo distinto questi tre momenti ma ne ha dato un titolo e una caratterizzazione:
  1. evocare le rovine
La letteratura delle macerie, chi ha scritto nell'immediatezza del dopoguerra. Di questa prima fase fa parte ad esempio Ota Yoko, con la sua opera più famosa Shikabane no machi (Città di cadaveri), non tradotta in italiano. Il titolo è un ossimoro, che dice cosa descrive questo testo.
  1. prospettiva a distanza
Scrittrici o scrittori che sono stati testimoni, o anche non lo sono stati, che scrivono a distanza di tempo. Ad esempio Ibuse Masuji con La pioggia nera, uno dei pochi testi tradotti in italiano.
  1. espansione nel tempo e nello spazio
La bomba atomica narrata in una prospettiva più ampia, le storie vanno al di là del Giappone, del singolo episodio, del bombardamento. Non c'è più un legame stretto con l'evento storico , ma c'è una prospettiva più allargata, più internazionale.
A questo terzo periodo appartiene Hayashi Kyoko, che descrive a distanza di tempo quest'evento in Matsuri no ba, una delle sue opere più significative e famose. Potrei citare anche Oba Minako, bravissima scrittrice e amatissima in Giappone ma qui poco e niente tradotta; potrei citare Inoue Mitsuharu, Oda Makoto e vari altri autori.

Concludo con quello che gli scrittori di allora e anche quelli di oggi che hanno scritto di Fukushima ritengono essere il loro compito, cioè il compito dello scrittore che si accinge a scrivere queste opere. Parto da Ota Yoko che si domandava:
 
«si può scrivere su qualcosa del genere? Bisogna, dice.
Questo è il dovere dello scrittore che ha visto.»
[Ota Yoko]

E poi Hayashi Kyoko, che è stata definita la cantastoria del 9 agosto, il giorno del bombardamento di Nagasaki.
 
«la vita di ogni giorno non è altro che una vita da hibakusha:
narrare il 9 agosto non è più narrare quel giorno ma narrare tutti i giorni».
[Hayashi Kyoko]

È qualcosa di sempre attuale, che sempre ci riguarda da vicino. Questo ce lo conferma il discorso di Murakami Haruki che avevo citato all'inizio, quando lui afferma:

 
«Noi scrittori professionisti che facciamo delle parole il nostro mestiere, dobbiamo essere coinvolti in un lavoro collettivo di grandi dimensioni: dobbiamo connettere parole nuove con una nuova etica e valori. Dobbiamo costruire, far germogliare storie nuove e vivaci. Devono essere storie che possiamo condividere. Devono essere storie che hanno un ritmo che incoraggia la gente, come le canzoni che si cantano durante la semina dei canti. Facendo così abbiamo ricostruito il Giappone trasformato in cenere dalla guerra. Dobbiamo ritornare a quello stesso punto di partenza, una volta ancora.»
[Murakami Haruki]

Questa citazione ci riporta ad una considerazione molto triste: Murakami dice che non abbiamo fatto un passo avanti, siamo ancora a quel punto, dobbiamo ripartire da quel punto, dobbiamo ricostruire una nuova etica.

Per concludere, vi leggo quello che scriveva invece l'autore di Hadashi no Gen, Nakazawa Keiji, quando era stato accusato di riprodurre in modo troppo crudo, troppo realistico questo eventi. Lui risponde così a queste accuse:
 
«In questa società, dov'è il dolce mondo delle favole? Se mostriamo ai bambini la guerra e la bomba atomica ricoprendoli di un dolce strato di zucchero e nascondendo la crudezza della realtà, questi bambini finiranno per pensare: “sono queste la guerra e la bomba atomica?”. Se aumenteranno i bambini che, vedendo le condizioni crudeli causate dalla bomba atomica, piangeranno dicendo: “Ho paura, sono triste, non voglio che si ripeta”... ecco, penso che questo sia un bene.»
[Nakazawa Keiji]

A cura della prof.ssa Luisa Bienati
 

A breve pubblicheremo la seconda parte dell'incontro, a cura del prof. Toshio Miyake, dal titolo:
 
PARTE II: Il Giappone nucleare: contraddizioni, convergenza mangaesque e Gen di Hiroshima