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Titoli poco conosciuti, passati in sordina all'epoca dell'uscita o dimenticati col tempo... su AnimeClick.it abbiamo migliaia di schede anime e manga senza alcuna recensione, privando quindi i lettori di uno dei principali punti di forza delle stesse.
Per cui, ad ogni appuntamento di questa rubrica vi proporremo alcuni di questi titoli, con la preghiera di recensirli qualora li conosciate. Tutti gli utenti che recensiranno le opere proposte entro la scadenza assegnata riceveranno l'icona premio Scheda adottata. Per le regole da seguire nella stesura delle recensioni rimandiamo al blog apposito, che vi preghiamo di utilizzare anche per commenti, domande o tenere traccia dei premi (non commentate l'iniziativa in questa news).


I titoli al momento disponibili sono:


[ANIME] Kaleido Star (Scadenza: 13/9/2015)


[ANIME] 
Natsu no Arashi (Scadenza: 16/9/2015)


Adotta un titolo 1[ANIME] Softenni (Scadenza: 20/9/2015)Adotta un titolo 2


[MANGA] Porompompin (Scadenza: 13/9/2015)


[MANGA] Crimson Wolf (Scadenza: 16/9/2015)


[LIVE] Thermae Romae II (Scadenza: 13/9/2015)


[LIVE] 
Megaloman (Scadenza: 16/9/2015)


[GAME] Mario Kart 8 (Scadenza: 13/9/2015)


[SERIAL] Tutto in famiglia (Scadenza: 13/9/2015)

Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con i manga La principessa ZaffiroSky Hawk e Le bizzarre avventure di JoJo: Stardust Crusaders.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


Per saperne di più continuate a leggere.



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Chissà in quanti avranno sentito parlare del ‘dio dei manga’ Osamu Tezuka e quanti invece, spinti dalla curiosità, hanno deciso di avventurarsi nella lettura di una delle sue opere; io faccio parte di questa seconda categoria e, siccome navigo in un periodo di forte voglia di provare, mi sono procurato un’opera che fino a poco tempo fa non sarebbe neanche mai entrata nei miei pensieri: La Principessa Zaffiro.
Risalente agli ormai lontani anni 50 (nonostante qualche revisione avvenuta negli anni successivi), quest’opera viene considerata il primo shoujo della storia, nonostante gli standard proposti non fossero di certo quelli che oggi ritroviamo nei lavori dello stesso genere. Vista l’esperienza personale mi sento di fare una doverosa premessa: non fermatevi all’apparenza, perché lo stile sia del disegno che della narrazione sono molto differenti rispetto quelli a cui siamo abituati, e ad una prima occhiata questo manga potrebbe far storcere il naso a molti.

Nel regno di Silverland la regina partorisce, a causa di un dispetto di un angelo discolo nell’Immensità del Cielo, un neonato con due cuori, uno di sesso maschile e l’altro femminile; a causa di questa ambiguità, l’infante avrà l’aspetto di una ragazza ma l’animo di un ragazzo, problema assai grave in un regno che non ammette successori femmine al trono. Per risolvere l’inconveniente i regnanti, assieme a pochi consiglieri di fiducia, si prodigheranno per allevare il neonato come un maschio, permettendogli di manifestare la sua vera natura solamente nei momenti privati, all’oscuro degli estranei. Questo non è altro che il presupposto per una serie di avventure, storie d’amore (ricambiate e non), lunghi viaggi, esseri fantastici, trappole e inganni per la conquista del trono.

Il racconto in principio parte semplice e quasi banale, con un linguaggio basilare e dei concetti scontati, scene veloci e senza articolazione della trama. Col passare delle pagine quello che in principio era sembrato uno sviluppo lineare inizia a complicarsi, appaiono molti personaggi (spesso collegati fra loro) e le situazioni diventano sempre più coinvolgenti. Nonostante ciò verso la fine dell’ultimo volume iniziano a susseguirsi un incredibile numero di avvenimenti, per poi ritrovarsi con un finale piuttosto frettoloso e poco delineato, il che è veramente un peccato vista la qualità dello svolgimento.

Il disegno rimanda all’idea di una fiaba, ed è adatto al tipo di storia che ci ritroviamo fra le mani; è molto semplice, le comparse non brillano d’originalità e gli sfondi non sono dettagliati. Nonostante ciò il tratto è pulito, comprensibile e le vignette sono ben delineate, creando così una sorta di ordine e precisione; le scene di lotta e azione sono solamente abbozzate, ma non creano particolari difficoltà nella lettura, nonostante non coinvolgano il lettore (la mira di questo manga è decisamente un’altra). Una lode al disegno da fare è quella all’originalità; di certo questo non è il tratto caratteristico degli shoujo ma, nonostante ciò, i volti trasmettono emotività grazie al notevole uso di sguardi e posture della bocca.

Pubblicato in Italia nel 2001 da Hazard Edizioni, La Principessa Zaffiro gode di un’edizione mirata, purtroppo, solo a un pubblico di nicchia, dato il prezzo di 9,81 euro (in decimali a causa del cambio dalla lira). Considerato il costo, l’edizione è fin troppo essenziale e, nonostante i volumi abbiano dalle 214 alle 256 pagine, sono presenti innumerevoli pecche. In primo luogo il senso di lettura ribaltato rispetto all’originale, poi la carta troppo trasparente, qualche errore di adattamento (soprattutto per quanto riguarda lo scambio tra punti di domanda e punti esclamativi), un orrore di scrittura di una parola inglese e pochi extra. Al contrario, c’è una sovraccoperta buona, la rilegatura è resistente ed elastica (anche se non troppo) e permettere una lettura agevole. Insomma, un’edizione che avrebbe potuto costare di meno per quello che offre ma, a parte questo, discreta.
Un discorso a parte è da fare per la traduzione perché, come specificato nel manga stesso, i traduttori hanno dovuto fare un particolare e lungo lavoro di adattamento, in quanto in giapponese, a livello grammaticale, non è possibile capire se un soggetto quando parla è un maschio o è una femmina, e nella traduzione in italiano di quest’opera, il problema sorge in quanto Tezuka pone particolare enfasi su quest’aspetto.

Una storia che può essere apprezzata da tutti, con uno stile fiabesco che narra di mondi fantastici e storie d’amore; per quanto lo stile ricordi una favola, la trama non potrà essere apprezzata da un bambino in quanto piuttosto complicata nello svolgimento, problema che si può aggirare se sarà un adulto a leggergliela. Sottolineo questo fatto perché opere di questa genuinità e freschezza dovrebbero essere ricordate, per quanto questa non si attesti proprio su un livello alto (son sicuro che sono altre le opere di Tezuka che lo hanno reso celebre). Insomma, è soltanto un bel racconto di fantasia raccontato piuttosto bene.

VOTO FINALE: 7/10
by bruttabestia 18/07/2009




8.0/10
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"Sky Hawk" è un manga di un solo volume, scritto e disegnato dal grande maestro Jiro Taniguchi. L'autore, dopo aver spaziato con le proprie opere dal genere slice of life al poliziesco, decide di dedicarsi a uno dei filoni più proliferi della produzione fumettistica internazionale, cioè il western. L'ambientazione americana di fine Diciannovesimo secolo offre all'autore lo spunto necessario per sviluppare, anche in questo manga, una delle tematiche che funge da filo conduttore dei suoi racconti, ossia l'odio per la civiltà moderna e per i suoi ritmi frenetici. L'avanzata pionieristica dei coloni orientali americani, dopo la Guerra di Secessione, trova le sue massime espressioni nella disperata ricerca dell'oro e nella costruzione della mastodontica ferrovia che avrebbe collegato le colonie atlantiche con lo spietato Far West.
In questo contesto tanto affascinante, quanto atipico per un fumettista giapponese, Taniguchi colloca i propri protagonisti, Manzou e Hikosaburou - detto Hiko -, due samurai esiliati dal paese del Sol Levante e ora in cerca di un nuovo posto dove trascorrere i propri giorni e morire in pace. L'avventura americana dei due giapponesi cambia radicalmente quando Hiko si imbatte in una donna indiana moribonda, coperta di sangue, fuggita dai propri padroni bianchi per poter dare alla luce la propria bambina; Hiko prende in custodia la donna e la difende dai successivi attacchi dei coloni bianchi che la inseguivano, catturando l'attenzione di una tribù indiana che abitava i dintorni della zona, gli Oglala Sioux. Crazy Horse, capo della tribù, rimane infatti impressionato nel vedere i due samurai sconfiggere a mani nude i propri avversari tramite il jujitsu, arte marziale sconosciuta nel Nuovo Mondo, e chiede loro di insegnare ai propri guerrieri la misteriosa, quanto affascinante, tecnica di combattimento. Al villaggio Oglala i protagonisti apprendono la situazione più che precaria delle tribù indiane del luogo, non tutelate dai contratti stipulati con l'uomo bianco e spesso costrette allo scontro armato per difendere i propri territori sacri, le proprie zone di caccia o i loro stessi villaggi. L'ardore di guerrieri dei Sioux e la situazione iniqua in cui essi si trovano, spingono i protagonisti ad adottare la causa indiana e fronteggiare il nemico bianco, incarnazione degli anti-valori che lo spirito del samurai impone di combattere.
Quanto ad aspetto narrativo, devo ammettere che Taniguchi non mi ha convinto troppo: eccessiva la facilità con cui un popolo fiero e mentalmente chiuso come gli indiani, accetti che due stranieri entrino a far parte della propria tribù; troppo frammentato invece, soprattutto nella seconda parte del fumetto, il filo narrativo, che si concentra più sulle battaglie cardine della storia, che su un vero e proprio sviluppo della trama. I personaggi non risultano troppo approfonditi d'altro canto, incarnando da una parte i valori positivi e onesti del buon guerriero, quali fierezza, orgoglio e lungimiranza, dall'altra i lati della società contemporanea che si rispecchiano nell'uomo bianco di fine Ottocento, cioè arrivismo, ragion di stato, sfruttamento, e così via.
C'è anche da dire che questa piccola carenza viene ampiamente compensata da uno stile di disegno e da una regia che rasentano davvero l'eccellenza, complice anche l'ottimo formato che Planet Manga ha adottato per quest'opera. Il tratto del mangaka è sempre sicuro e preciso, le espressioni dei personaggi sono palpabili, la violenza e il vigore delle scene di battaglia, espresse tramite muscoli tesi, visi contorti e torsioni incredibili, paiono veri, mentre gli sfondi delle tavole rappresentano con precisione maniacale le sterminate praterie americane; la regia non è da meno, sempre chiara e lineare, soprattutto nelle scene di guerra, permette una fruizione rapida e indipendente dai dialoghi, e quindi un'immediata comprensione della scena.
Per concludere, nonostante abbia prima elogiato l'edizione che Planet Manga ha proposto per quest'opera, sia per grandezza delle tavole, sia per qualità della carta e dell'inchiostro, c'è da dire che 16.90€ non è esattamente una cifra modesta. Ciò non toglie che "Sky Hawk" sia un manga dall'indiscussa qualità tecnica, che agli amanti del genere western non potrà che piacere. Un 8 abbondante mi sembra più che meritato.




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Per cosa andrebbe valutato un manga oggi, nel 2013? Per quello che effettivamente riesce a regalarmi ora, per quello che ha offerto in passato, per il suo valore enciclopedico, per tutte queste cose assieme o per altro ancora?
E' effettivamente ingiusto non valutare l'età di un'opera, ma è altrettanto ingiusto ingigantirne i meriti solo perché ha il bonus di essere venuta prima.
Nessuno ad esempio negherà mai il contributo che Hirohiko Araki ha dato al mondo dei manga grazie al suo Jojo, sicura fonte di ispirazione per moltissimi autori moderni, fatto sta che leggendo ora Stardust Crusader vengono fuori tutti i limiti di un'opera monotematica, povera di contenuti e tremendamente grezza, ben lontana dai commenti entusiastici che si leggono un po' ovunque, che sanno molto di premio alla carriera più che di effettive valutazioni oggettive o soggettive che siano.
Il problema principale di questa terza serie di Jojo è che sacrifica qualsiasi aspetto di quella che può essere la narrazione di un manga, puntando unicamente sui combattimenti.
Lo fa in maniera pesante, troppo pesante, senza se e senza ma: l'intero manga sembrerà in realtà un picchiaduro su carta, con combattimenti a ritmo serrato uno dopo l'altro, in attesa che di arrivare al "boss finale", come da tradizione dei vecchi cabinati arcade.
E non c'è veramente nient'altro, perché i personaggi sembrano appunto quelli di un picchiaduro e come tali sono caratterizzati (molto bene) soltanto esteriormente, ma risultano poco più che manichini in balia dei combattimenti, e nel corso dei volumi non avranno uno straccio di crescita psicologia ma nemmeno di riflessione o di approfondimento.
La trama poi è di una pochezza disarmante e si basa sull'andare dal punto A al punto B per sconfiggere il Boss finale magicamente risorto rispetto a quello che avevamo imparato nella prima serie, con in mezzo tutta la serie di scagnozzi usa e getta che arrivano e muoiono nel giro di massimo due volumi.
Veramente esagerato, a mio modesto modo di vedere.

Tutto questo, abbiamo detto, è per lasciare carta bianca allo sviluppo dei combattimenti, e ovviamente almeno questi sono all'altezza della situazione: per l'epoca probabilmente furono come un fulmine a ciel sereno nel mondo dello shonen manga, siccome rivoltavano come un calzino tutto quello che in quell'ambito si era visto fino a quel momento.
Si ha infatti un misto di tecnicismi, poteri sovrannaturali che non per forza di basano sulla forza bruta ma che spesso si fondano sulla strategia, colpi di scena nella gestione dello scontro e situazioni sempre al limite che sicuramente possono risultare di un certo appeal.
Personalmente però non sono un amante del solo combattimento, mi piace ma solo se è in funzione ad una motivazione più nobile, solo quando dietro allo scontro fisico c'è anche uno scontro ideologico, e allora sono disposto a sopportare anche volumi interi di mazzate, ma così no, francamente dopo un po' perdo la pazienza.
Qui poi il tutto è suggellato da quello che io definisco "nemico usa e getta": alla faccia del concetto di caratterizzazione dei personaggi, qui come già detto i buoni si trovano ad affrontare uno dopo l'altro senza soluzione di continuità tutta una serie di "macchiette" che arrivano, fanno 3 battute, un paio di provocazioni e poi muoiono in maniera spesso indecorosa.
Ora, se proprio devo leggere un manga di soli combattimenti, lo preferisco quando almeno ho 2 fazioni a combattersi, con scontri ripetuti tra gli stessi personaggi e con in mezzo una fase di power up con realativa crescita.
Ed ecco appunto un'altra cosa che non mi è piaciuta: qui il protagonista acquisisce un potere nel primo capitolo e magistralmente lo impara ad usare immediatamente, come fosse un veterano, non c'è crescita nemmeno da questo punto di vista, e questo per quanto mi riguarda e è un passaggio d'obbligo in ogni battle shonen che si rispetti.

A livello grafico comunque Araki sa distinguersi, e se nelle prime 2 serie il suo disegno è molto figlio degli standard dell'epoca, con semplici omaccioni pieni di muscoli, qui iniziano a notarsi con forza tutti i tratti distintivi dello stile che lo ha reso famoso, in bilico tra lo sporco, il grezzo e il kitsch e con grande attenzione al chara design e al vestiario stiloso dei vari personaggi.
Anche il tratto si fa sempre più sicuro, così come le proporzioni, e almeno da questo punto di vista Stardust Crusaders rappresenta la maturazione definitiva dell'autore.
In conclusione, valutare quest'opera mi risulta difficile: è vero che Araki è stato il primo ad introdurre certi aspetti, ma è anche vero che quegli stessi aspetti ormai fanno parte del 90% degli shonen moderni, e che quindi agli occhi di un lettore di oggi il tutto risulterà solamente ordinaria amministrazione, ben lontana dallo stupore che provocò all'epoca della sua serializzazione.
Va considerato inoltre che in vent'anni di shonen manga, gli stessi contenuti rubati ad Araki sono stati arricchiti col tempo e contestualizzati in manga più moderni e meno grezzi, che magari oltre al combattimento riescono ad inserire altri aspetti e a rendere il manga meno monotematico di quello che è ad oggi Stardust Crusaders.
Non vorrei però che il mio giudizio venisse interpretato come una critica ai manga anni 80, perché non è questo il punto: trovo ad esempio che Ken il Guerriero sia il perfetto esempio di un manga che, pur con tanti anni sulle spalle e pur portandosi comunque dietro uno stile ormai sorpassato, riesce tutt'oggi ad essere più completo di Stardust Crusader, semplicemente perché ci offre un prodotto basato si sui combattimenti, ma anche su situazioni drammatiche, su contenuti maturi, su personaggi ben caratterizzati e in parte anche sui sentimenti.
La stessa prima serie di Jojo, pur col suo minimalismo e la sua semplicità, è un manga che cerca di svilupparsi in maniera più completa e che cerca prima di tutto di raccontare una storia.
Quando sentivo dire che la terza serie di Jojo era in assoluto la migliore, nonché una pietra miliare nella storia dei manga, mi sembrava quindi lecito aspettarmi una completezza ed una maturità di contenuti che invece non ho assolutamente trovato, il tutto a favore di combattimenti che, seppur realizzati con originalità, lasciano comunque spazio a delle critiche.
In definitiva, probabilmente la mia esperienza con questo manga è stata rovinata dalle aspettative troppo alte che avevo, colpa di una critica che tratta questo manga con troppa riverenza e con il solito abusato motto del "si stava meglio quando si stava peggio".
Do comunque la sufficienza, perché tutto sommato sarebbe ingiusto non farlo anche solo per quello che Jojo rappresenta, ma non riesco francamente ad andare oltre.