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5.0/10
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Il 1987 è l'anno in cui diverse personalità affermate dell'animazione fondano il gruppo creativo Headgear. Trattasi di Mamoru Oshii, acclamato regista di Lamù, del lungometraggio "Beautiful Dreamer" e dell'indecifrabile "Angel's Egg"; di Kazunori Ito, sceneggiatore principale sempre delle avventure dell'aliena dal bikini tigrato e di quelle di Creamy Mami, di cui è anche creatore; di Akemi Takada, la bravissima disegnatrice che ha contribuito al successo dell'uno e dell'altro; e infine di Yutaka Izubuchi, uno dei più importanti mecha designer di Sunrise, dietro gli Aura Battler di "Dunbine", dei Panzer di "Galient" e di molti dei robottoni più spettacolari di "Gundam Z", "ZZ" e "Il contrattacco di Char". Insieme al mangaka Masami Yuuki, i quattro formano un team all-star che intende unire le forze per creare opere estremamente personali e avveniristiche, in cui ogni singolo elemento del gruppo si trova pienamente detentore dei diritti su qualsiasi titolo sviluppato sotto quell'egida. Le loro sono grandi ambizioni, destinate a trovare consacrazione, l'anno successivo, con la rinomata saga di "Patlabor", anche se il loro gruppo durerà ben poco, sciogliendosi nel 1993 dopo l'uscita di "Patlabor 2: The Movie", ad appena sette anni dalla loro fondazione. Conosciuti praticamente solo per le avventure di Noa Izumi e del suo Ingram, di loro sono quasi totalmente ignorati i due episodi che realizzano per l'incompiuta saga "Twilight Q", realizzata proprio l'anno di nascita di Headgear.

"Twilight Q" nasce come idea della casa produttrice Network Frontier, ora Bandai Visual, che, ispirata dal grande successo oltreoceano del celebre serial TV americano "The Twilight Zone" (in Italia, "Ai confini della realtà"), antologia di racconti a tema sci-fi/horror/misterioso, vuole provare a fornirne una risposta dagli occhi a mandorla. Largo, dunque, a episodi creativi che pescano dalla fantascienza come dal fantastico, e spazio a Headgear, assoldato proprio in virtù delle credenziali del suo staff, Oshii in primis per i soggetti stravaganti di molte avventure di Lamù. L'esperimento si risolverà in un eclatante insuccesso: due soli episodi home video, rilasciati nell'arco dell'anno, e poi fine per scarse vendite. A posteriori, guardando i due episodi, è intuibile capire il perché della disfatta: forse scambiando il progetto per una vetrina intellettuale dove far conoscere il proprio nome alla critica attraverso dialoghi, regie e storie lentissime, tutto quello che Headgear riesce a tirare fuori sono due puntate pesanti e noiose, dove gli elementi soprannaturali, potenziale fonte di curiosità, sono affossati da un indigesto monumento a uno spocchioso onanismo registico.

"Reflection", diretto dall'esterno Tomomi Mochizuki e realizzato dal suo studio Ajia-do Animation Works (entrambi noti al pubblico per "Maison Ikkoku: Capitolo Finale"), con la sceneggiatura di Ito e gli splendidi disegni di Akemi Takada, pur banale è probabilmente il meno peggio. Nuotando in mare, la bella Mayumi rinviene, appesa a un corallo, una macchina fotografica: curiosa, fa sviluppare il rullino, stupendosi di come la foto ritragga sé stessa assieme a un ragazzo mai visto. L'indagine per scoprire la verità dietro alla macchina, che sembra provenire dal futuro, è l'occasione per rifilare allo spettatore un collage di banalità, con la ragazza che prima indaga e poi diventa protagonista della classica, abusata storia di viaggi e paradossi temporali. Se da un lato il dolce, riconoscibile tratto della Takada è sempre un gran vedere e le accese colorazioni forniscono il solare, indimenticabile look degli anni '80, ben coniugato con la colonna sonora "estiva" e allegra di Kenji Kawai, stupisce al contempo come Kazunori Ito, futuro grande sceneggiatore di "Patlabor 2" e "Ghost in the Shell", scriva una storiellina innocua e prevedibile dove manca la benché minima caratterizzazione a qualsiasi personaggio. Quasi a impersonificare i sentimenti dello spettatore, Mayumi e comprimari vivono quasi apatici il dipanarsi dell'enigma, con un basso range di espressioni facciali e nessuna regia ispirata che possa rendere coinvolgente quella che dovrebbe essere una storia d'amore che trascende il tempo e lo spazio. "Reflection" esce fuori, così, come una semplice banalità, dove contano più disegni e fondali che l'effettiva trama.

A chi sperava, il 28 agosto 1987, in un secondo episodio di "Twilight Q" meno noioso di "Reflection", Mamoru Oshii rispondeva con una sonora pernacchia, scrivendo e dirigendo un secondo atto sicuramente adeguato alla sua personale fama di anticonformista dell'animazione, ma anch'esso estremamente antipatico nel suo snobismo intellettuale, un polpettone esistenziale dal contorno sci-fi che affossava definitivamente l'intrigante progetto di un "Twilight Zone" nipponico. Sarà stato soddisfatto il regista.

"File 538" è la storia di un investigatore privato, futuro modello per il detective Matsui di "Patlabor", che redige a macchina un documento (il File 538 del titolo) che spiega, al successore che lo leggerà, la bizzarra storia delle sue ultime settimane di vita, periodo contraddistinto da sparizioni di aerei di linea, della città che sembra aver imbroccato un periodo di monotonia assoluta, e del suo spiare un uomo e una bambina privi di identità che vivono dentro un appartamento che apparentemente non esiste, non essendo intestato a nessuno. I trenta minuti di girato si riducono a questo interminabile monologo filosofico in cui l'uomo vaneggia, con terminologie forbite e intellettuali che stordiscono per la loro ricercata pesantezza, della sua vita, del suo ruolo nel mondo, di aerei di linea che diventano carpe (!), di come il bersaglio spiato non sembra il padre di quella bambina, di come quest'ultima forse c'entra o ha qualcosa a che fare con le sparizioni dei velivoli, e delle conseguenze che quei due hanno su di lui che li osserva. "File 538" è un OVA fatto letteralmente con due yen, ambientato in un'unica stanza buia, dove dialoghi lentissimi (per effetto delle parole scandite in modo pachidermico) e inquadrature fisse ed eterne su soggetti immobili rappresentano il principale contenuto visivo dell'OVA. Oltre alle musiche quasi inesistenti, anche i fondali si adeguano alla concezione minimalista del titolo, o dati da fotografie vere e proprie oppure scurissimi e che fanno risaltare sotto tinte bluastre giusto alcune parti dell'arredamento, per suggerire l'identità del luogo.

Oshii si è impegnato a concepire un'opera degna della sua fama e riconoscibilissima, peccato lo abbia fatto su progetti nati, come nel caso di "Twilight Q", per scopi più commerciali, o, meglio, dedicati a un pubblico (pagante, è bello ricordarlo) a cui importano i contenuti e non sterili raffinatezze registiche. Al di là della regia 'stilosa', come ben intuibile, "File 538" è semplicemente un mattone indigeribile, un monumento alla Noia: difficile come il regista non ci avesse pensato, con questi 1800 secondi (rende meglio cosi) di filosofia spicciola che mascherano una storiella banale quanto "Reflection", che scade nel finale in cliché tristissimi come paradossi temporali (di nuovo!), spiegazione "terrena" che risponde a tutto nei minimi dettagli e poi secondo colpo di scena finale che rovescia tutto per l'ennesima volta nel modo più prevedibile possibile. Valeva davvero la pena concepire un'opera così lenta e pesante per una storiellina così flebile? I fan di Oshii apprezzano l'ennesima prova di indipendenza creativa del loro idolo, ma gli spettatori normali non possono che ripudiare un artista che spesso, quando vuole essere personale, basa la sua "originalità" nel dare semplice forma "impegnata" a storie inesistenti o mediocri.

Talvolta si leggono in giro critiche positive a "Twilight Q" riguardanti la sua grande autorialità e lo staff dietro: io penso invece che il suo fallimento sia giusto e meritato, essendo così intellettualoide da risultare in una presa in giro per chi ama, dell'horror, del fantastico, dello stesso "Twilight Zone", la leggerezza e la genuinità.