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3.0/10
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Ormai si sa, lo studio Key attira le masse come il miele attira le api. Dal 1999 ad oggi ci hanno allietato le esistenze con la storia strappalacrime di un ragazzo in una città montana, la storia strappalacrime di un ragazzo in una città marittima, la storia strappalacrime di un ragazzo in una città normale e la storia strappalacrime di un ragazzo nell'aldilà. Come si può facilmente evincere leggendo queste righe, è palese che il punto di forza della software house residente a Kita non sia propriamente l'originalità; ma allora perché la Key gode di tanta fama tra gli appassionati? Qual è l'elemento che riesce a unire frotte di fan estasiati in tutto il mondo? È presto detto: il miele. Ovvero il "come", il contorno, la confezione. Le persone amano emozionarsi, amano piangere e amano dire «sì, quest'anime mi ha emozionato e mi ha fatto piangere!». Poco importa se le storie sono fatte con lo stampino, se le gag sono da pistola alla bocca, se i personaggi provocano raptus omicidi multipli e se i risvolti della trama farebbero impallidire un Harmony preso a caso: l'importante è "piangere come ragazzine" (cit.), a prescindere da tutti i difetti che possano esserci. Questo alla Key l'hanno capito molto bene, e se la succitata azienda può vantare un tanto nutrito numero di estimatori il segreto sta appunto nella loro solerzia a produrre miele. Il miele, come insegna Lucrezio, addolcisce anche la più amara delle medicine: l'unico problema è che in molti dei suddetti casi c'è tanta, troppa amarezza da coprire, e ben poca medicina da somministrare.
Ebbene, il metaforico vasetto di miele in questo caso è Charlotte (2015), l'ultima fatica (anche se più per lo spettatore) del mai troppo venerato Jun Maeda, già ideatore di alcuni dei più acclamati (e sopravvalutati) successi degli ultimi anni: una schiera di tanti bei vasetti tutti identici, ben confezionati, riposti accuratamente in fila, e ricolmi di dolcissimo miele dorato.

Ordunque, da dove iniziare?
Iniziamo con il titolo, direi. Cos'è Charlotte? Ebbene, "Charlotte" è una cometa, che passando nell'atmosfera terrestre rilascia una non meglio specificata sostanza, capace di donare a chiunque la dovesse inalare dei poteri speciali. Stop. Da qui in poi non si sentirà più nominare per i restanti episodi. Mai titolo è stato più azzeccato dunque, perché come il nome è completamente campato per aria, la stessa serie va a rifletterne in pieno la caratteristica principale: Charlotte è il nulla più assoluto, il totale asservimento dell'animazione giapponese al giogo del più becero consumismo, privo del benché minimo coinvolgimento e desiderio.
Protagonista della storia è Yuu Otosaka, un esempio malriuscito del classico protagonista Key, che possiede un potere che gli permette di prendere il controllo del corpo altrui per qualche secondo. Un giorno, il ragazzo viene avvicinato da Nao Tomori, presidentessa del consiglio studentesco di un istituto per soli possessori di poteri, che sotto ricatto lo costringe a cambiare scuola e casa; Yuu viene così a sapere che i poteri sono molteplici e che "spariscono" al compimento della maggiore età, e decide di aiutare la ragazza a riunire nel nuovo istituto tutti gli esper della città, per salvarli dagli esperimenti di alcune non meglio specificate organizzazioni malvagie.

Già dall'incipit si noterà dunque come il soggetto dell'anime sia alquanto traballante (tralasciando il fatto che sia un calcio sulle palle alla scienza), con un setting orchestrato ad hoc per presentare il solito sottotesto pseudo-scolastico che ormai è il marchio di fabbrica della Key - con tanto di inutili episodi autoconclusivi; l'intero intreccio si dimostra dunque completamente subordinato alle esigenze di mercato, non rinunciando a minare irrimediabilmente la credibilità stessa della serie, pur di lasciare spazio agli stereotipi e ai trend che pagano maggiormente in questo periodo. Non mi dilungherò ad analizzare i personaggi, perché sono pressoché gli stessi che si potranno trovare in un Angel Beats! o in un Kanon presi a caso; unica eccezione degna di nota (ma non certo in termini positivi) è appunto il protagonista Yuu, che inizialmente viene presentato come un ragazzetto falso ed egoista, salvo poi mutare radicalmente carattere nel secondo episodio e trasformarsi senza apparente motivo nel solito protagonista copia-incolla cui la Key ci ha abituati, ovvero il classico santarello-che-si-finge-un-cinico: ma questo non è che l'inizio di una serie di cambi di personalità talmente innaturali e forzati da far impallidire il dottor Jekyll.
Come se non bastasse, il soggetto è palesemente una spudorata brutta copia del già telefonato (seppur quantomeno scorrevole) Angel Beats!, con tanto di scuola "a statuto speciale", la tsunderella di turno eletta a presidentessa del consiglio studentesco, l'amico beota ma di buon cuore, le missioni di volontariato che neanche Extreme Makeover: Home Edition, le partite di baseball che non c'entrano un fico secco, e via discorrendo; la prima metà della serie quindi non è altro che un grande, immenso collage di cose viste e riviste, appiccicate svogliatamente tra di loro senza il benché minimo impegno, quasi fosse una catena di montaggio.
Ma tenetevi forte, perché il peggio deve ancora venire.

Come da prassi, a seguito dell'evento scatenante più ridicolo che io abbia mai visto (la bambina e il suo taglierino me li sogno ancora di notte), a metà serie accade l'immancabile drammone. Da qui in poi inizia a profilarsi l'intreccio, che riesce solo a palesare la totale incapacità di Maeda e del suo staff. È difficile descrivere adeguatamente questi episodi senza incappare nello spoiler, ma procedendo per metafore l'immagine mentale che più si avvicina alla seconda metà di Charlotte a mio parere è quella di una discarica. Una grande discarica di casi e avvenimenti, ammassati senza la minima cognizione di causa, quasi come se lo sceneggiatore avesse buttato giù una lista di eventi completamente scollegati tra loro e li avesse ordinati pigiando il tasto "random"; cambi immotivati di personalità, viaggi nel tempo, personaggi che appaiono e scompaiono in un episodio, leggi della fisica inventate sul momento e società terroristiche di provenienza e scopi non pervenuti sono solo alcuni degli elementi che si intrecceranno, dando vita a una trama delirante e più bucherellata di uno scolapasta. Ma gli autori hanno anche tenuto fede al loro nome, e per mascherare i numerosi difetti di sceneggiatura - essendo del tutto incapaci di mettere insieme uno svolgimento che sappia reggersi sulle proprie gambe - hanno deciso di aggrapparsi ai soliti trucchetti, riuscendo tuttavia nella rara (rarissima) impresa di fallire anche su questo piano; il fanservice è completamente gratuito e fuori luogo, forte di gag riciclate e sfiancanti (come la salsa di pizza dell'insopportabile sorellina), scene strappalacrime degne di una soap-opera cilena, il sangue, le torture e la violenza "perché sì", e tutto il resto.
Il finale stesso non è che il coronamento di tutto ciò: un epilogo frettoloso, forzato e pregno di uno stucchevole buonismo da quattro soldi, in nome del Potere del Coraggio, della Forza della Volontà, della "Legge dell'Amore Universale che governa tutte le cose" (cit.) e quelle robe lì, il tutto ovviamente condito dal più grande spiegamento di forzature e deus ex machina che la storia dell'animazione ricordi, per far quadrare l'intreccio sbrodolato in precedenza.

Di fronte a cotanta incompetenza registica e scrittoria, il discreto comparto grafico - ad opera dello studio P.A. Works, che in questo campo è solitamente una garanzia - si rende quindi del tutto inutile e superfluo, incapace com'è di valorizzare almeno in parte il disastro narrativo; si limita invece a "fare il compitino", in modo alquanto statico e posato. Lo stesso character design di Na-Ga ne è una dimostrazione: la caratterizzazione grafica dei personaggi è piatta e priva di ispirazione, e punta tutto sulla morbidezza delle curve, sugli occhioni sbrilluccicosi e i capelli variopinti, senza i quali le ragazze non sarebbero neanche riconoscibili tra di loro.
Il comparto sonoro è invece la parte meglio riuscita, sia negli effetti che nella OST, ma ovviamente un tale sforzo è del tutto futile: le musiche possono talvolta allietare le orecchie, ma avrei di certo preferito che tutto questo impegno fosse stato infuso in una solida sceneggiatura, che alla Key manco sanno cosa sia.

Charlotte in definitiva è uno degli anime peggiori del 2015, vera e propria presa per i fondelli alle capacità analitiche dello spettatore, a sua volta reo di farsi puntualmente abbindolare dai più subdoli e gratuiti espedienti "di addolcimento", che coprono malamente le numerosissime mancanze di un'opera oltremodo fine a se stessa - o meglio, fine al puro guadagno economico. Infatti, in termini di vendite la serie ha ottenuto numeri piuttosto considerevoli, ed è costantemente difesa a spada tratta dallo zoccolo più duro del fandom, che ne sminuisce i difetti invocando il nome della casa produttrice e del suo sommo pontefice Maeda, sintomo che nell'animazione giapponese ormai conta più l'etichetta che il prodotto in sé. L'anime è fasullo e forzato? Ma chi se ne importa, ci sono i feels. Anche i feels sono artificiosi? E vabbè, è della Key, e se non ti emoziona vuol dire che sei un insensibile che non capisce la profondità dell'animo puro e redentore del suo autore.
Dopotutto sulla capziosità della trama e sull'artificiosità dei sentimenti la Key ci ha costruito una carriera, e se da oltre quindici anni prosegue imperterrita su questo tragitto, vuol dire che in fin dei conti la cosa paga. E di conseguenza non c'è alcuna possibilità che cambino traiettoria, almeno fino a quando la loro poetica spicciola e artefatta continuerà a circuire il pubblico con una tale facilità.
E così, ancora una volta, il solito vasetto di miele è servito; state solo attenti a non farvi venire il mal di pancia.