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Ecco che, proprio quando l'animazione giapponese sembrava ormai aver esaurito il potenziale espressivo di trame aventi come protagonisti giovani ragazzi che si ritrovano, per un motivo o per l'altro, a ricevere straordinari poteri in grado di stravolgere la loro vita, un regista alla sua prima prova originale dimostra ancora una volta che non è importante tanto il cosa, ma il come si sviluppa un soggetto. Prova ne è questo bel film, uscito nel 2006 per la regia di Mamoru Hosoda, che racconta una storia semplice, ma che proprio dalla sua semplicità trae il suo principale punto di forza. "La ragazza che saltava nel tempo" è un film che sfrutta l'espediente dei viaggi temporali per parlare di un tema più leggero e al contempo terribilmente delicato, la maturazione di una ragazza attraverso i dolori e i sentimenti che sbocciano nell'adolescenza. E, se anche questo può sembrare un tema abusato, non di meno è necessaria una certa maestria per parlare di temi semplici in maniera seria e non banale.

La ragazza che saltava nel tempo è Makoto, studentessa delle superiori vivace ed energica ma assai maldestra e non troppo brillante nello studio. Le sue giornate trascorrono come quelle di una normale ragazza della sua età, dividendosi tra la scuola, la famiglia e gli amici Chiaki e Kosuke. Un giorno, nel laboratorio di scienze, inciampa su un misterioso congegno a forma di noce che le dona il potere di riavvolgere il tempo effettuando un salto abbastanza lungo. Resasi conto di questa nuova capacità, Makoto comincerà a sfruttarla per divertirsi e per aggirare le difficoltà e le responsabilità della vita di ogni giorno, ma realizzerà ben presto che ogni volta che userà il suo potere per tornaconto personale qualcun altro dovrà inevitabilmente subirne le conseguenze.

Il film scorre inizialmente quasi come una love comedy di ambientazione scolastica ma priva delle esagerazioni caricaturali tipiche di molta animazione giapponese dello stesso genere: emozioni, sentimenti e atteggiamenti dei personaggi non sono mai esagerati, bensì sempre ben bilanciati e realistici. Sono anzi il realismo e la serietà con cui sono dipinte azioni che sono poi quelle comuni di un adolescente (andare e tornare da scuola, trovarsi a passare il tempo con gli amici, nascondere/rivelare i propri sentimenti per qualcuno, etc.) il fiore all'occhiello di questo film; si parla di temi e situazioni ampiamente sfruttati dall'animazione più leggera, temi che possono sembrare anche semplici ma che spesso non si rivelano tali, facili invece da trattare in modo superficiale. Il realismo passa anche e soprattutto attraverso i personaggi che, attestandosi su quella che è la qualità generale del film, sono caratterizzati in modo rapido ma incisivo con tratti semplici che esaltano la "normalità" del loro carattere. Proprio per questo è estremamente facile provare empatia nei confronti dei protagonisti, perché del tutto simili nei loro diversi atteggiamenti all'adolescente che è in ognuno di noi e perché parlano un linguaggio chiaro e quotidiano intrinsecamente familiare. In questo senso svolge un contributo prezioso il doppiaggio italiano, assai azzeccato ed efficace nel sottolineare ogni sfumatura caratteriale. Sono personaggi vivi, reali, non sono eroi, ma hanno pregi e difetti, in una parola normali. Un esempio su tutti, Makoto, le cui imperfezioni suscitano il sorriso e allo stesso tempo stimolano l'identificazione dello spettatore.

Ma questo è anche un film sul significato del tempo, sul come ogni istante sia irripetibile e prezioso e ogni occasione mancata sia perduta per sempre. In questo senso l'elemento "viaggi nel tempo" ha il compito di aprire la strada a un'analisi dei drammi adolescenziali, secondo il principio del parlare dell'ordinario attraverso lo straordinario: con i suoi salti Makoto dà vita a una vicenda al cui coronamento c'è nientemeno che la sua maturazione come individuo, ma non prima di aver affrontato nodi cruciali come l'amore, la responsabilità e la paura dei propri sentimenti e dopo essere scesa a patti con il rischio che le proprie azioni, benché all'apparenza innocenti, possono causare il dolore delle persone a lei più vicine. È chiaro dunque che il lato fantascientifico dell'opera non è che un espediente, funzionale a una trama che si alimenta di situazioni semplici e leggere; non a caso il film arranca solo laddove la questione dei viaggi temporali viene affrontata direttamente. Nell'ultima parte del film, la spiegazione sul come e perché siano possibili i salti temporali e delle motivazioni che stanno dietro alle azioni del personaggio che ha reso possibili i salti di Makoto (il cui nome non posso ovviamente rivelare per non fare spoiler) lascia troppe questioni irrisolte e altre a malapena abbozzate, dimostrando una sceneggiatura, in questo frangente, piuttosto superficiale.

"La ragazza che saltava nel tempo" è quindi un film che vive di due anime: una fantastica, meno curata e approfondita dell'altra, e una ordinaria e delicata che rappresenta il vero cuore del film. Si sarebbe potuto chiedere di più dalla sceneggiatura per quanto riguarda il lato "fantascientifico" della trama, ma d'altra parte non è di fantascienza che il film vuole parlare e il suo messaggio resta integro e chiaro anche così. Da ultimo va lodato il comparto tecnico, che può vantare il chara design gradevole e pulito di Yoshiyuki Sadamoto e ottime musiche che esaltano molto bene sia i toni leggeri che quelli più drammatici.