logo AnimeClick.it

-

Con notevole forza di volontà ho riletto la prima serie di "Kingdom Hearts", tratta dal famosissimo videogioco a cura di Squaresoft, a guisa di redarre questa recensione. Cosa mi ha deluso di questo manga? Sarebbe troppo facile saltare nevroticamente tra le due scuole di pensiero in campo "trasposizione video ludica": il fanboy ineluttabilmente entusiasta di poter visionare un'altra versione della sua opera preferita e l'hater graniticamente ostruttore di qualsiasi opera mini pure impercettibilmente la perfezione del suo totem. Nossignori, Kingdom Hearts non consente discussioni, non perché sia un manga brutto ma per la sua tenacia nel perseguire la mediocrità.

Partiamo dai disegni: anche senza avere in mente il modello di Nomura, che cos'hanno di speciale queste tavole? Il solito tratto rotondeggiante, i soliti occhioni moe accostati a nasini impercettibili, le solite campiture di retini alla bell'e meglio. Neanche la traduzione dei personaggi Disney suscita attrattiva proprio per quel segno anonimo, blando, tirato via tra un clichè e l'altro.

La trama riassume abbastanza fedelmente quella originale. Sora, il ragazzino custode del Keyblade (una strana arma a metà tra un passepartout e uno spadone a due mani) vive paciosamente sulla sua isola tropicale, fin quando questa non viene distrutta: intraprende così un disperato viaggio tra un mondo Disney e l'altro per salvare i suoi due migliori amici e la sua terra natia. Insomma, "Sora, your princess is in another castle" direbbe un certo Mario; e se un soggetto così semplice può reggere in un videogioco dove ha primaria importanza il gameplay, in un'opera che obbliga alla fruizione passiva come un manga questo deve essere la premessa per qualcosa di un attimino più complesso, anche a costo di fuggire il referente originale. Ma la pavidità e la frettolosità dell'autore nel tradurre decine di ore di gioco in appena 4 volumi non sono mancanze gravi quanto l'assoluta superficialità nella gestione dei numerosi personaggi, che si limitano a scimmiottare sé stessi per qualche tavola dando alla lettura un contributo nullo. Se possono distinguersi in parte i comprimari più importanti come Pippo e Paperino, l'eroe Sora assume tre espressioni nel corso dell'intera serie: quella ebete, quella decisa e quella triste. L'ultima sarebbe pure credibile in risposta a determinati eventi della trama, ma dura sì e no una vignetta. I suoi amici Riku e Kairi, al pari dei numerosi cattivi, si ricordano a malapena per il design.

Ripeto, in una visione quanto più possibile oggettiva "Kingdom Hearts" suscita un minimo di interesse solo per il nome che porta e per i dossier a margine dei volumi, per il resto è tranquillamente trascurabile. Potrà piacere solo alla prima categoria di cui sopra, agli altri consiglio di investire i sudati risparmi in uno dei tanti manga infinitamente più interessanti