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5.0/10
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Che siate entrati da poco nel mondo degli adulti o che abbiate intrapreso il cammino della maturità ormai da tempo, poco cambia, il dolce-amaro periodo adolescenziale avrà lasciato almeno un segno sul vostro cuore e sulla vostra anima. Nel momento della vita in cui si cammina in bilico sul sottile filo del giusto ed errato, del bene e del male, del detto e non detto, a chiunque sarà toccato cadere una o più volte dalla parte sbagliata, portandosi appresso rimorsi e rimpianti per molto tempo a venire.

Durante la primavera dei suoi sedici anni, Naho riceve una lettera dalla sé stessa del futuro, una preghiera a fare diversamente, per cambiare il destino infausto di uno dei suoi amici. Nel momento in cui la ragazza incrocia lo sguardo di Kakeru, nuovo compagno di classe, gli ingranaggi di quel destino che si muove tra passato, presente e futuro iniziano a muoversi e il desiderio della Naho del futuro, “salva Kakeru”, acquista forma e concretezza.
Kakeru, a quanto dice la lettera, tra dieci anni nel futuro non sarà più con Naho e la cerchia di amati amici, a causa di alcune scelte che non lo hanno condotto verso la salvezza del suo cuore e quindi della sua esistenza in questo mondo.
Il compito della protagonista è cambiare il futuro di Kakeru, per far sì che dieci anni nel futuro egli sia ancora con lei e con gli amici.
Ricevere una lettera dal futuro è già di per sé un fatto abbastanza incredibile, ma, superato lo stupore iniziale, sarà così semplice per Naho seguire le indicazioni di una sé stessa matura e cresciuta andando in direzione opposta a ciò che Naho è adesso, in questo esatto momento?

Tratto dal manga di Ichigo Takano, l’anime di “Orange” racconta proprio questo, il difficile percorso di una ragazza ancora immatura e fragile sulle cui spalle grava il destino di una persona cara. Il peso schiacciante di un compito così difficile è ciò che caratterizza Naho, quasi costretta a comportarsi come farebbe una persona adulta che parla ora con il “senno di poi”, dall’alto di un’esperienza già provata con tutte le conseguenze del caso.
Partendo da queste premesse, “Orange” avrebbe potuto essere una serie davvero interessante e profonda, piena di riflessioni semplici ma comprensibili a chiunque, ma da buone premesse non sempre nasce qualcosa di altrettanto buono, ed è questo il caso di “Orange”, che pur partendo da un assunto romantico e al contempo realistico, si perde nelle più banali caratterizzazioni da shojo manga.

Se passiamo oltre l’elemento dei viaggi nel tempo, accettando fantasticamente che una lettera possa giungere nel passato semplicemente gettandola in un determinato punto dell’oceano, ciò in cui pecca “Orange” è la caratterizzazione dei suoi personaggi o, peggio ancora, della coppia protagonista, nonché il voler ricondurre tutto all’amore tra lui e lei che può cambiare il destino, sacrificando così il concetto più ampio di amicizia di cui ama riempirsi inutilmente le tasche dal primo all’ultimo episodio.
Naho è una ragazza semplice, come molte della sua età, ma l’arrivo della lettera la spinge a confrontarsi con sé stessa e ciò che potrebbe essere ma che ancora non è, e si vede spesso costretta a compiere scelte non (ancora) coerenti con i suoi modi di fare. La frustrazione e il senso di impotenza di Naho sono ben percepibili dallo spettatore, ma decisamente meno soddisfacente è il modo in cui ella si rapporta con Kakeru. Il ragazzo, dal canto suo, è (per motivi di trama) emotivamente instabile, depresso ma al contempo desideroso di trovare la felicità con il nuovo gruppo di amici; l’instabilità appena accennata però lo porta ad essere pesante, ammorbante e detestabile nei suoi schizofrenici modi di fare che oggi coccolano Naho e domani la respingono. E’ giusto che un personaggio come lui, che si porta appresso traumi e cicatrici, abbia un carattere lunatico e poco positivo, ma durante la visione (e già prima, con la lettura del manga) non ho potuto fare a meno di pensare che, a confronto con molti colleghi depressi per motivi analoghi o comunque simili, Kakeru sia semplicemente un personaggio triste e pietoso, così debole e piatto da non suscitare emozioni se non il fastidio. Qualche lettore più navigato avrà avuto modo di conoscere un certo Yano Motoharu e capire quindi come un personaggio dal passato traumatico possa essere fonte di una caratterizzazione sfaccettata e, complice una narrazione realistica (pur nel suo essere romanzata), profonda e molto emozionante. Mentre molti noti “traumatizzati” del mondo dei manga (il sopraccitato Yano, ma anche Natsume di “Alice Academy”, Kyo di “Fruits Basket”, Arima di “Karekano”) permettono alla storia di dipanarsi e trovare nuove soluzioni, Kakeru è semplicemente una marionetta triste che deve essere salvata a costo del sacrificio altrui, i cui tentativi di riprendersi si risolvono in cliché detestabili (il classico, odioso “ti allontano perché non voglio ferirti”) e guai per i suoi stessi amici, Naho in primis, che per quasi tutta la durata della serie non fa altro che farsi sballottare dai suoi cambi di umore.

La coppia, assolutamente disfunzionale, non fa altro che ricalcare i classici cliché da shojo manga, dall’ “Oddio, mi ha sfiorato la mano, ora non lo guarderò per una settimana di fila così lo farò deprimere ancora di più” al “Ci siamo dichiarati, ma mica stiamo insieme, io sono troppo piccolo, brutto e nero per stare con lei”.
Se ricalcare dei cliché non è certo il male assoluto, è anche vero che la caratterizzazione banale, piatta e a volte odiosa di questa coppia non riesce a far emergere alcun merito in questo “Orange”, se non l’apprezzamento di un espediente particolare quale la lettera dal futuro e il conseguente doversi confrontare della protagonista con qualcosa più grande di lei.
“Orange” si pone inizialmente come una corale storia di amicizia e affetto, ma diventa sempre più evidente come in realtà tutto ruoti attorno all’amore tra due personaggi, a quanto pare unico vero modo per salvare Kakeru dalla disgrazia a dispetto della coralità che ci ha inizialmente illusi. Allo scopo di formare la coppia che dovrebbe cambiare il destino, viene sacrificato l’unico personaggio interessante, Suwa, che prende il ruolo di martire della patria diventando anche lui una marionetta che ricalca perfettamente il cliché “la mia felicità è che lei sia felice”. Bello (o anche no) e romantico ma al contempo... banale.
Non parliamo poi del gruppo di amici, in teoria protagonista ma in realtà rilegato a un ruolo marginale e non sempre coerente. A parte Suwa, gli altri ragazzi non hanno un particolare background, una storia personale, un’evoluzione, mandando quindi a quel paese quell’illusione di opera corale che lo spettatore può avere all’inizio.
“Orange” è una serie in cui tutto è enfatizzato, in cui i proclami sull’amicizia e le belle parole sono così abusate che rendono il tutto stucchevole e fin troppo finto. In alcuni momenti sembra che voglia quasi lobotomizzare lo spettatore con l’idea dell’amicizia che tutto può.
Kakeru poi viene trattato come un neonato, di quelli a cui devi servire la pappa perché altrimenti non riuscirebbero neanche a tenere in mano il cucchiaino; ma Kakeru non è un bambino, è un ragazzo, e una persona della sua età non la si aiuta porgendole la pappa pronta, ma dandole i mezzi per rialzarsi, cosa che i ragazzi non fanno, poiché preferiscono essere i salvatori piuttosto che il sostegno di una persona che deve salvarsi. Insomma, il concetto di salvataggio è espresso, a mio dire, nel modo più semplicistico e banale possibile.

Tecnicamente parlando, “Orange” gode di una buona regia che lo rende interessante a livello visivo, ma il tratto della Takano non è reso nel modo migliore e alcune cose che funzionano su carta diventano orripilanti in versione animata, vedasi alcuni primi piani che rendono i personaggi più creepy che altro. Aggiungiamo poi il fatto che da un certo punto in poi la qualità grafica cala terribilmente, sfornando delle deformità che uccidono anche la cosa migliore di tutta la serie (Suwa), rendendo la visione ancor meno piacevole.
Non ho apprezzato particolarmente le musiche, ma mi è piaciuto il doppiaggio.

In definitiva, “Orange” non è di per sé una brutta serie, ma al contempo non è niente di nuovo, tanti prima di lei hanno battuto questa strada e lo hanno fatto in maniera decisamente migliore, caratterizzando i suoi protagonisti in modo da non essere semplicemente “il depresso e la salvatrice”, dando ampio spazio a chi la coppia protagonista la sostiene e la fa crescere, mostrando in maniera profonda e coerente l’evoluzione dei personaggi, quella che li conduce infine alla salvezza senza bisogno di martiri o protagonisti che non riuscirebbero a muovere un passo senza la scossa di chi gli sta intorno.
Ancora una volta la Takano ha dimostrato di avere delle buone idee di partenza, ma di non saper caratterizzare al meglio i suoi protagonisti, riducendoli alla parte meno interessante di tutta la storia.
“Orange” aveva del potenziale, ma adagiarsi sugli stereotipi e i cliché è comodo e furbo, perché chi non ha ancora avuto la fortuna di vedere qualcosa di meglio (forse) penserà che sia un capolavoro. Chi però ha letto/visto altro, probabilmente saprà che la sofferenza di un protagonista e il relativo sostegno degli amici/amanti possono esprimersi in modi molto meno banali, dimostrando che più che raggiungere un fine è importante il percorso che si compie, e (forse) valuterà quindi “Orange” per quello che è: una serie come tante che non finirà negli annali.