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Tra un pannolino da cambiare e il moccio da asciugare, Ryuichi e Kotaro ci insegnano il valore della famiglia.

Quando abbiamo visto le prime immagini che pubblicizzavano la messa in onda dell’anime Gakuen Babysitters, il primo pensiero di molti di noi è stato: “Quanta pucciosità!”.
Trasposizione del manga di Hari Tokeino, serializzato sulle pagine di Lala di Hakusensha, e attualmente giunto al diciassettesimo volume, Gakuen Babysitters ci ha accompagnati durante i freddi giorni della stagione invernale, scaldandoci il cuore e regalandoci tonnellate di tenerezza.

La serie, così come il suo originale cartaceo, prende piede partendo da una base molto semplice ma che cattura facilmente l’attenzione: prendersi cura di bambini molto piccoli. Perché se nella vita reale fare il babysitter può essere fonte di innumerevoli guai e infinita stanchezza, non ci si stufa mai di vedere in animazione quei piccoli esserini pucciosi e rotondi che dentro e fuori la loro colorata aula ne combinano di tutti i colori.
Gakuen Babysitters approfitta di questa dolce leggerezza per parlare anche di famiglia e rapporti tra adulti e bambini, senza mai scavare chissà quanto in fondo, né proponendosi come manuale di pedagogia, ma lo fa in maniera divertente, tenera e commovente.

Ryuichi Kashima frequenta la terza media e ha perso i genitori in un incidente. Rimasto orfano assieme al fratellino Kotaro, viene accolto in casa dalla signora Moriyama, che a sua volta ha perso nel medesimo incidente figlio e nuora.

«Ascolta. Le persone che abbiamo perso non torneranno mai più, ma questo non significa che siamo completamente soli al mondo. Quindi, non pensare di dover sembrare forte e affrontare tutto da solo.»

Con queste parole, Ryuichi inizia ad accettare il fatto che la sua vita non sarà più la stessa, che i suoi genitori non torneranno mai più, ma capisce al contempo che lui e Kotaro hanno davanti la possibilità di creare una nuova famiglia. L’anziana signora Moriyama è tra l’altro preside di una scuola con annesso un piccolo nido (destinato ai figli degli insegnanti) e propone (o meglio, obbliga) al ragazzo di entrare nel “club dei babysitters” per lavoravi fuori dall’orario delle lezioni. La nuova vita dei fratelli Kashima si apre quindi all’insegna della benevolenza e del supporto altrui, riempiendosi ogni giorno di nuovi amici.

Gakuen Babysitters è sostanzialmente una serie episodica in cui ogni puntata si divide in due parti che vedono Ryuichi alle prese con il suo tenerissimo fratellino e tutti i suoi compagnetti d’asilo. Da ragazzo dolce e gentile qual è, il nostro protagonista si fa presto degli amici, dal serioso Kamitani alla “tsundere” Inomata, dalla compagna segretamente innamorata di lui allo strambo segretario/maggiordomo della preside. Quest’ultima inoltre, pur nascondendosi dietro un’apparenza burbera e fin troppo stoica, rivela continuamente l’amore per i due fratellini, prendendosi cura di loro come farebbe una nonna. Gli amici di Ryuichi lo accompagnano nelle sue avventure quotidiane, che non raccontano niente di eccezionale ma che in modo tenerissimo e dolce ci mostrano il mondo dei bambini, i loro sogni e le loro paure.
Menzione speciale ai papà di questa serie, uno più strambo e divertente dell’altro.

Se siete mamme, papà, fratelli maggiori, zii, meglio ancora maestri d’asilo per professione, ogni episodio riuscirà a strapparvi una risata (anche amara) perché vi ritroverete in tante delle situazioni mostrate, ad esempio il fratellino che rovina qualcosa a cui tenete molto, una febbre improvvisa o una gitarella fuori porta che diventa motivo di capricci.
Gakuen Babysitters non vuole ovviamente mostrare la realtà dei fatti, perché ve lo assicura chi lo fa per mestiere, avere a che fare con i bambini non è tutto un fiorire di cuoricini e puccioseria; ci sono (tanti) momenti difficili e se l’opera avesse voluto essere realistica, avremmo avuto 12 puntate piene di Ryuichi che rimprovera, riordina, pulisce e cerca di fuggire dal club per l’esaurimento nervoso. La storia cerca quindi di mettere in mostra i lati più belli e divertenti dello stare con i bambini, che sono sicuramente tantissimi, ma che si accompagnano a momenti più faticosi.

Lo stesso Ryuichi lo ammette in più di un’occasione, che per quanto Kotaro sia un bambino buono e tranquillo, a volte gli fa perdere la pazienza, ed è giusto così perché queste creaturine rotondette devono ancora imparare tutto e nessuno di noi adulti possiede la bacchetta magica per insegnar loro nel modo più efficace possibile. Le parole che Ryuichi dice alla compagna di classe che si ritiene impedita con i bambini, spiegano in maniera perfetta il sentimento che nasce verso di loro quando ce ne prendiamo cura:

«Non mi piacciano il moccolo e altre cose simili. A nessuno piacciono. Solo, mi ci sono abituato. I bambini non sanno trattenersi quando giocano, quindi a volte mi faccio male o mi stanco. Le loro mani sono sempre ricoperte di muco e saliva, e a volte fanno la pipì mentre sono addosso a te ed è terribile. Si infilano dentro la mia uniforme e fanno un sacco di altre cose che non sopporto. Stare insieme ai bambini piccoli è davvero dura, quindi capisco se ti sembra difficile interagirci. Non è che semplicemente mi piacciono i bambini… è che quei bambini hanno smesso di essere “bambini piccoli” e sono diventati Kotaro, Taka, Kirin, Takuma, Kazuma e Midori. Ecco perché riesco a stare con loro, ed ecco perché gli voglio bene. Quindi non preoccuparti, arriverà anche per te il giorno in cui non avrai problemi a pulire via il moccolo.»

L’anime rende bene il rapporto tra i fratelli Kashima, mostrando in maniera evidente la dipendenza di Kotaro nei confronti di Ryuichi ma anche quella di quest’ultimo per il fratellino, poiché l’importanza che hanno l’uno per l’altro non potrà mai essere sostituita da nient’altro. Nonostante Ryuichi sia abbastanza maturo da capire che i suoi genitori non ci sono più, nel suo cuore di figlio continua a tenere un angolino per loro, uno spazio per credere che possa prima o poi rivederli. Un’illusione certo, ma allo stesso tempo un sentimento innegabile per tutte quelle persone che hanno perso qualcuno di molto caro, che rende Ryuichi umano e reale.

Da un punto di vista grafico, Gakuen Babysitters riprende lo stile semplice del manga, che pur non impegnandosi al massimo per caratterizzare l’estetica degli adulti, si concentra su quella dei bambini, rendendoli tutti diversi e pucciosissimi ognuno a suo modo. Kotaro & co. dovrebbero avere all’incirca 3 anni ma il loro aspetto non è tanto diverso dalla più piccola, Midori, ancora in fase di lallazione. Probabilmente l’autrice ha preferito diminuire le proporzioni per renderli più carini possibili, ancora avvolti dalla tipica paffutezza infantile dei bambini al primo anno di vita.

L’unico appunto che mi sento di fare riguarda una sequenza della opening, tra l’altro significativa, in cui le mani di Ryuichi che si allungano verso il fratellino sono disegnate in maniera orribile.
Seppur non brilli neanche sotto l’aspetto sonoro, le sigle di apertura e chiusura sono molto carine: la opening, Endless happy world, cantata da Daisuke Ono è colorata e vivace mentre la ending, Oshiete yo, cantata da Kotaro Nishiyama e Yuichiro Umehara, ci mostra un simpaticissimo balletto a opera dei piccoli protagonisti.

Al doppiaggio troviamo i già citati Nishiyama e Umehara nei ruoli di Ryuichi e Kamitani (coppia già rodata in Binan Kouko con Atsushi e En-chan), Daisuke Ono nel ruolo di Saikawa, Tomoaki Maeno in quello di Usaida e Yuko Sanpei dà la voce a Taka, il bambino dalla parlantina più vispa.

Con i suoi 12 episodi la serie non riesce ovviamente a dare un vero finale, anche perché il manga è ancora in corso, e non c’è stato modo di approfondire i personaggi e i loro rapporti, né di farli comparire tutti. È pur vero però che una storia simile riesce immediatamente a mandare il suo messaggio e l’essenza dei suoi personaggi, per cui, non potendo avere di più, ci si accontenta senza troppe lamentele anche di quel poco che abbiamo visto.

Gakuen Babysitters è una serie dolcissima e spensierata che non manca di commuovere e farci riflettere sull’importanza degli affetti e delle persone che ci circondano, sul mondo visto dai bambini e sulle esperienze che a volte bisogna affrontare nonostante tutto.
Kotaro e Ryuichi hanno perso una famiglia ma ne stanno costruendo un’altra, e giorno dopo giorno il piccolo Kotaro salva il fratellone dal peso di cui si fa carico e che potrebbe finire per schiacciarlo, perché per quanto ci facciano impazzire, basta un sorriso di un bambino per raddrizzare una giornata storta, basta un loro pensiero dolce per tornare a sperare.
E forse il senso di questa storia è proprio questo: pensiamo di essere noi adulti a prenderci cura dei bambini, ma in realtà sono loro che si prendono cura di noi e ci salvano, ogni giorno, senza nemmeno saperlo, solo per amore.