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Per divertimento ho controllato quanti anni sono passati dalla mia ultima recensione su questo sito: quattro. Lo specifico perché trovo pazzesco - e comico - che a spingermi a scrivere ancora una volta una recensione di un’opera animata sia uno spokon sullo skateboard.
Ora, io non vado sullo skate. Ho fatto qualche tentativo, è finito più o meno come quelli di Langa nel primo episodio (col didietro sul cemento, ndA), ma a differenza sua io non ho proseguito scoprendomi un genio in tale disciplina. Questo invece lo specifico per dire che penso di essere proprio l’ultima persona che avrebbe potuto trovare qualcosa in questo anime... eppure ci ho trovato quasi tutto quel che piace a me in un’opera animata.
Ho guardato “SK8 The Infinity” con due anni buoni di ritardo rispetto al resto del mondo, attirata dall’impressione, più che dalla promessa, di un’opera leggera e senza impegno, spiritosa, fuori dalle righe ma non troppo. Dopo dodici episodi sono estremamente felice di dire che su due su quattro di queste cose mi sbagliavo alla grande: “SK8 The Infinity” è un’opera parecchio fuori dalle righe e tutti, cast e autori, sono assolutamente, dannatamente seri quando si parla di skateboard.

Ci troviamo a Okinawa, dove ogni weekend viene organizzata, clandestinamente, una corsa di skate chiamata “S” all’interno di una vecchia miniera. Si tratta di un affare mica da ridere: ci si può entrare solo tramite autorizzazione e le persone che gareggiano possono mettere in palio più o meno ciò che desiderano. Giocare sporco è consentito, anche - in spirito un po’ shonen - quando il limite della legalità e della sicurezza viene decisamente superato.
Reki, uno dei protagonisti, è un giovane skater, appassionato da anni. Non è proprio brillante, ma compensa con entusiasmo e buoni sentimenti. Nel corso del primo episodio fa la conoscenza di Langa, studente canadese-giapponese trasferitosi da poco, che non ha mai messo piede su uno skate ma è un asso dello snowboard. I due stringono velocemente amicizia, un rapporto che si evolverà, tra tensioni e risoluzioni, parallelamente alle vicende delle corse “S” e dei suoi “beef” (le sfide tra skater).

Proprio il rapporto tra Reki e Langa mi dà l’occasione di parlare della prima di qualcosa che solitamente non apprezzo, ma che questo anime mi ha fatto amare: le incomprensioni basate sull’invidia e la differenza di abilità. Forse perché questo tema viene introdotto in maniera estremamente naturale sin dai primissimi episodi, per poi evolversi nel corso della serie e risolversi con il risolversi del conflitto più ampio; forse perché al posto che essere usato come semplice espediente per creare tensione forzata tra i personaggi è così intrinsecamente collegato al resto della trama da non risultare fuori posto; forse perché, per una buona volta, quello complessato è uno dei protagonisti, invece che la sua spalla; fatto sta che i sentimenti negativi che prova Reki sono ben contestualizzati, soprattutto ricordandoci che si tratta di un adolescente. Gli viene dato il tempo giusto per metabolizzare la cosa, non troppo, ma nemmeno un colpo di mano fulmineo che si risolve nel giro di poco, come spesso ho visto fare.
E se la lezione di Reki sta nell’importanza di ricordarci che non essere degli assi va bene, che essere persone normali e aspirare a migliorare va bene, la lezione di Langa sta nel ricordarsi che forse focalizzarsi troppo su un singolo aspetto, isolandosi dal resto, può essere fin troppo deleterio.
Reki e Langa sono, come da manuale, due personaggi all’apparenza opposti accomunati da un hobby, ma che trovano nelle loro differenze un modo per compensarsi, e nelle loro affinità la spinta per continuare ad andare avanti.

Ho in generale apprezzato molto i rapporti tra i personaggi, lineari ma non per questo banali. Anzi, trovo che se, c’è una lezione che “SK8 The Infinity” dà al mondo anime, è proprio che non bisogna per forza essere complessi, cervellotici, oltremodo seri, per essere un buon prodotto. A volte, come in questo caso, basta una struttura semplice che sorregge personaggi a loro volta semplici ma convincenti, unici, ciascuno con dinamiche di interazione con gli altri interessanti e coinvolgenti. È sempre chiaro perché i personaggi fanno quello che fanno, cosa li turba, cosa li risolleva. In questo senso è assolutamente premiante la scelta di avere un cast ridotto ma compatto, dove Reki e Langa sono virtualmente i protagonisti, ma a conti fatti non hanno poi troppo screentime in più degli altri skater, e questo fa sì che si crei un gruppo solido e funzionale, che è poi anche uno dei temi dell’anime: da soli si finisce per percorrere sentieri bui, mentre con la forza di una comunità è più facile andare avanti.

Una nota di plauso va quindi non solo alla scrittura - della trama, dei personaggi - che per quanto semplice risulta, appunto, solida, ma anche al modo in cui questa va a braccetto con l’aspetto visivo: registico e di art direction. Cito tutte queste cose insieme per un motivo preciso: un sacco di aspetti di questo anime sono influenzati dall’immaginario e dai temi cristiani.
“Oddio”, starete pensando, “e che c’entra?”
C’entra nel momento in cui il villain è ADAM, in cerca del suo EVE (e il fatto che Eva qui sia un uomo è un altro aspetto centrale, come vedremo dopo). C’entra nel momento in cui Langa, che viene fatto intendere sia cristiano, viene spesso rappresentato come un angelo, come qualcosa di sacro, mentre sfreccia ed esegue trick sullo skate. C’entra nel momento in cui una delle scene cardine dell’anime è incentrata attorno al perdono, al fare un passo nei confronti dell’altro per sanare le divergenze, pur non avendo un tornaconto. C’entra nel momento in cui uno skate viene narrato visivamente come la mela del serpente, il peccato originale, ma anche come il gesto di “porgere l’altra guancia.”
Io sono agnostica, non mi riconosco in nessuna religione, men che meno in quelle monoteiste, le mie basi di catechismo sono ormai sbiadite, eppure i parallelismi alle tematiche e alle situazioni cristiane mi hanno lasciata spiazzata per la precisione e genialità con cui vengono inseriti all’interno dell’anime, soprattutto perché non sono un mero estetismo, ma sono a tutti gli effetti fondamentali per comprendere l’opera e il suo non detto, di cui l’anime è pieno. Gli sceneggiatori di “SK8 The Infinity” hanno fatto i compiti e li hanno fatti bene, perché alla fine, quando tutto è concluso, pare abbiano una comprensione più chiara loro del nucleo del cristianesimo rispetto a moltissimi cristiani qui in Occidente.

E a proposito di non detto, dietro alla creazione di “SK8 The Infinity” c’è nientemeno che Hiroko Utsumi, già conosciuta per “Free!” e “Banana Fish”. Non dovrebbe forse sorprendere, quindi, che “SK8 The Infinity” è pieno di sottotesto queer. Di norma tento di essere abbastanza cauta parlando di sottotesto queer, ma trattandosi di Utsumi (e leggendo alcune dichiarazioni dello staff e dei doppiatori giapponesi) sono abbastanza certa di non starla sparando troppo lunga. A partire dal contesto attorno a “S”, a come i personaggi interagiscono tra loro, fino alla presentazione di alcune scene e dialoghi chiave, diciamo che c’è sia la sottigliezza per chi sa dove guardare, sia la teatralità nel definire una corsa un appuntamento o un torneo un matrimonio.
Prima di tutto, “S” è un evento chiuso, a cui si entra tramite accurata selezione e in cui, cosa più importante, le persone spesso arrivano vestite/truccate con outfit/make-up appositi o addirittura mascherate. Tutti o quasi hanno un nickname con cui sono conosciuti all’interno di “S” e una delle regole vieta proprio ai partecipanti non solo di divulgare location e accesso, ma anche solo di chiamare qualsiasi altro partecipante con il suo nickname “S” all’interno della vita normale. Che suona un po’ come una metafora molto sottile per un drag show o per un ball. (Mi rendo conto che molte persone, soprattutto qui in Italia, siano estranee a queste realtà, ma in fondo nella vita non si smette mai di imparare, no?)
Abbiamo poi ADAM, rampollo di una famiglia ricca e politico in ascesa di giorno e padrone di “S” di notte, skater più abile dell’intero circolo dai modi teatrali ma anche aggressivi, in un mix curioso che ricorda villain come Hisoka e Dio Brando. Una persona che deve nascondere la sua affiliazione con “S” a ogni costo e che, mentre le zie ricche gli organizzano il matrimonio combinato di convenienza, lui organizza un torneo chiamato “White Eden Wedding Beef” per corteggiare il suo EVE.
Abbiamo poi il modo in cui la relazione fra ADAM e altri due personaggi ricordi nei fatti un triangolo amoroso, con uno di loro definito senza troppi giri di parole "third wheel" (terzo incomodo); il fatto che l’atto di andare sullo skate venga più volte ribadito essere un atto d’amore; il fatto che “S” stesso venga definito un “appuntamento romantico”.
Qui siamo ben oltre la strizzata d’occhio alle fujoshi, anche perché l’anime non intende fare nessun tipo di “baiting”: è tutto lì, sotto la luce del sole. Un personaggio che si presenta di fronte a un altro con un mazzo di rose rosse, o che entra in una sintonia talmente profonda da oscurare il resto, non sono gesti contestualizzati come sketch comici: sono lì per dirci che, se leggiamo le attenzioni di determinati personaggi nei confronti di altri come attrazione, beh, non ci stiamo sbagliando. Certo, per alcune cose occorre avere gli strumenti per osservare e comprendere. Ed è qui che sta, secondo me, tutta la sua genialità: palese solo se sai coglierne i segni (e le citazioni), quindi tremendamente sottile, ma al contempo talmente plateale, da essere difficile da negare.

Chiudo questa recensione dicendo che quest’anime per me è stato una rivelazione, non perché sia un capolavoro della narrazione contemporanea, ma perché è chiaramente un prodotto d’amore come al suo tempo lo era stato “Yuri!!! On Ice” (dal cui confronto “SK8 The Infinity” esce vincitore in termini di ritmo, chiarezza e pulizia visiva, ma, questo no, non in termini di intensità emotiva e personaggi). È chiaro che Utsumi e i suoi sono, se non appassionati di skate, assolutamente dediti a conoscerne il funzionamento e lo spirito, e a mostrarlo con convinzione e senza trattenere nulla, anche e soprattutto quando si tratta di esagerare per amore della tenuta scenica dell’opera.
“SK8 The Infinity” è esattamente quello che succede quando un gruppo di persone con tanta passione ha il budget giusto per produrre qualcosa di visivamente bello e la maestria nel saper tessere una storia e, soprattutto, delle metafore e tematiche che, per quanto semplici, sono solide e intrattengono.
Per questo si porta a casa un meritatissimo 8, che vorrei avesse un mezzo in più, ma mi duole ammettere che ho trovato il finale un po’ affrettato e la backstory “sui senpai” troppo scarna rispetto a quanto fatto intendere nel corso della storia. Un episodio in più avrebbe assolutamente giovato a questa serie, elevandola ancora di più.
Resta comunque il fatto che si tratta di un ottimo prodotto e che, se tutti gli anime per così dire leggeri avessero questo carisma, questo amore e questa attenzione ai dettagli, staremmo parlando di tutto un altro panorama dell’animazione.
Come direbbero gli inglesi, bravo!