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Strabiliante. E non ci posso fare niente se quando vedo le opere di Satoshi Kon mi viene da piangere per la felicità. Sono fatto così, quando vedo delle genialate mi struggo dalla gioia. L’essenza di Kon è la meraviglia e lo stupore, abbinate a una riflessione allucinata e fuori da ogni schema. Paprika è lo straripamento parossistico di questa pazza pazza mente contorta e allucinata: purissimo delirio visivo e concettuale, o se vogliamo la summa massima della sua riflessione psicopatica.

Tecnicamente c’è solo da guardare e lodare la realizzazione ricchissima e minuziosa del comparto video, perché per animazioni e grafica Paprika è l’opera migliore del maestro, la più curata in ogni particolare, lussureggiante, pulitissima, precisa e brillante. I colori… Oddio, i colori sono un carnevale cromatico, sono sensazionali, sono una festa di toni accesissimi e limpidissimi, illuminati da luci eccellenti, che danno vita a sogni sbalorditivi e visivamente meravigliosi.
E bisogna dire anche che Kon ha davvero un orecchio particolare per le musiche dall’elettro-sound vocale distorto di Susumu Hirasawa, che sono assolutamente eccezionali e sono il corrispettivo musicale perfetto del suo stile registico personalissimo e folle. E poi la theme ti s'infila in testa e ti incanta.

Si potrebbe adesso parlare dei personaggi, e approfondirne la caratterizzazione e i loro ruoli all’interno dello sviluppo generale; ma occorre? Se devi mettere in scena una roba del genere, ti serve gente adatta, e questi sono i personaggi più improbabili, nevrotici e assurdi disponibili sulla piazza – quindi sono perfetti! A partire da Paprika, alias… (non ve lo posso dire), per finire al detective Konakawa che è impagabile.
Ora, la regia e il montaggio sono stupefacenti; dirlo riguardo a Kon non è una novità, ma il maestro supera se stesso, e il risultato sbalordisce. La narrazione della trama è un susseguirsi e un sovrapporsi torrenziale di matriosche percettive che spiazzano la comprensione. La stessa trama, articolata in mezzo all’impianto scenico mirabolante, è tortuosa ed è lo spunto che dà il la a un flusso-amalgama psichedelico di realtà, sogno, proiezione dell’inconscio e visioni spiazzanti.
Strizzando l’occhio a Perfect Blue e a Paranoia Agent, e in una straripante abbuffata di citazioni e situazioni metartistiche, metapsichiche e metafilmiche, Kon sembra essersi divertito da matti nel fare questo film. E ciò è proprio quello che traspare in ogni momento di Paprika: il piacere incontenibile di realizzarla. E anch’io ho riso come un bambino, perché l’euforia è contagiosa, e perché alcune sequenze sono assurde – e l’assurdo è il presupposto per la comicità e per la meraviglia.

Indubbiamente, nella triade dei più grandi dell’animazione (Oshii-Kon-Miyazaki, rigorosamente in ordine di preferenza, mia), Kon è il genio del caos onirico-psicanalitico sensazionale, impegnato nella sua personalissima ricerca metalinguistica e nell’analisi del sistema mediatico e sociale attuale; basta guardare l’ultima parata. Va da sé che è assolutamente incomprensibile per la massa, e che quasi tutti restano spaesati di fronte a questo linguaggio così fuori da ogni logica. Perché bisogna essere davvero malati, almeno quanto Kon, per prendere sul serio le sue visioni e comprendere profondamente le premesse e le riflessioni assolutamente sconcertanti nascoste in quel calderone coloratissimo di fantasmagorie surreali e simboliche che è Paprika, e il modo di fare cinema di Kon in generale. Quest'opera è una di quelle cose che ti mette in pace con l’animazione, e che quando hai finito di vederla ti senti in estasi.