Vi proponiamo il reportage completo su Kengo Hanazawa, ospite GP Manga al Lucca Comics & Games 2013. Infatti tra una sessione d'autografi e l'altra, il mangaka ha tenuto vari incontri con pubblico e stampa specializzata, che vi narreremo cronologicamente tutti qui di seguito (e come sapranno alcuni, c’è pure un cameo di Zerocalcare).
Piccola premessa: Kengo Hanazawa si è ritrovato a dover rispondere pazientemente più volte ad alcune domande ricorrenti (ho perso il conto di quante volte si sia parlato nei vari incontri delle possibili influenze di The Walking Dead); perciò, pur volendo conservare un’esposizione cronologica degli avvenimenti, preferiamo omettere le succitate ridondanze onde rendere più agile la lettura del reportage, condensando per tematiche ove possibile.
Buona lettura.
 
Hanazawa Kengo head

Kengo Hanazawa nasce nel 1974 ad Hachinohe, Giappone. Dopo la gavetta come assistente, debutta nel 2004 su Big Comic Spirits con Ressentiment, opera prima che già evidenzia quel suo narrare delle storie inserendovi forti riferimenti autobiografici. Nel 2005 realizza Boys on the run, opera che ebbe un discreto successo, tanto da vantare una riduzione in live action del 2010 e un drama televisivo del 2012. Tale opera influenzerà molto il suo amico e collega Inio Asano, che confessa come gli sia stata da sprone per dedicarsi alla serializzazione di opere più lunghe e impegnative per lui, come Buonanotte, PunPun. Ma la vera svolta per Hanazawa arriva nel 2009 con I am a Hero, manga attualmente in corso, nato come valvola di sfogo in un periodo particolarmente frustrante per Hanazawa, vissuto durante la serializzazione di Boys on the Run.
 
Il primo incontro ravvicinato con degli appassionarti a Lucca, Kengo Hanazawa pare l'abbia avuto proprio con noi di Animeclick.it per la nostra intervista esclusiva. Pensate che trauma possa essere stato per il povero autore ritrovarsi davanti, alle 10:00 di mattina, la crapa pelata del nostro Ironic in veste di intervistatore. Nel caso ve la foste persa, andate pure qui per visionarla.
Fortunatamente Hanazawa non ne ha risentito Hanazawa Kengo & ABI666troppo e, dando prova della ben noto stachanovismo del popolo nipponico, di lì a poco era già allo stand GP Manga a macinare dediche nella prima sessione autografi.
Come avrà sicuramente notato chi è riuscito a partecipare ad una delle affollate signing session, Hanazawa si è rivelato essere un tipo molto alla mano, disponibile e cordiale; per di più abbiamo scoperto poi che le somiglianze con Hideo, strambo protagonista di I am a Hero, non sono solo fisionomiche; ma ci arriveremo presto.
Qui a lato il maestro Hanazawa ed il nostro ABI_666 che si è diligentemente fatto la fila per l’autografo, da bravo appassionato, senza approfittare dei propri superpoteri redazionali.
 
Venerdì 1 novembre alle 16.00 si è tenuto quello che probabilmente era uno degli incontri più attesi di tutta la manifestazione. Presso la sala Sala Fanucchi della Camera di Commercio infatti si è svolto il vertice a tre Zombie International, presenziato da Zerocalcare, reduce dalla pubblicazione di Dodici; Andrea Ciccarelli di SaldaPress, casa editrice che pubblica in Italia The Walking Dead; ed ovviamente Kengo Hanazawa interrogato sul suo I am a Hero.
L’incontro ha avuto un gran afflusso di pubblico, con tanto di lunga coda d’attesa all’esterno, ma noi eravamo già lì in prima fila avendo seguito un precedente incontro... no, non volevamo fare i furbi, è stato solo un caso; davvero!
Come si potrà immaginare, i momenti divertenti non sono mancati. Questo grazie soprattutto a Zerocalcare aka Michele Reich che si è ritrovato a movimentare la conferenza in un paio di occasioni (ma leggete più giù).
La conferenza si è svolta all’insegna della ricerca di possibili analogie e differenze tra questi tre modi di intendere l’argomento “apocalisse zombie”, tanto in voga negli ultimi anni. Ciò perché i tre relatori rappresentavano, appunto, tre aree socio-culturali apparentemente molto distanti tra loro, almeno geograficamente. Dopo un’iniziale lunga disquisizione di Andrea Ciccarelli (che ha teneramente brandito un piede di porco per tutto il tempo) sulle implicazioni psico-sociologiche che trainano da sempre il genere zombie, spaziando dal cinema al fumetto, si è passati a porre domande in triplice copia (ad ad ognuno degli intervistati).
 
Parlando dei tòpoi del genere e quindi gli stereotipi legati ai protagonisti/eroi, Hanazawa risponde, per quel che riguarda I am a Hero, che: “Un aspetto a cui do estrema importanza è il realismo. E dovendo descrivere un protagonista e dovendomici identificare [come Hanazawa ha spiegato quella stessa mattina nella nostra intervista], io non posso disegnare un eroe come protagonista perché io non sono un eroe; anzi sono l’antieroe, quel che in Giappone viene classificato come sfigato, come perdente. Quindi il protagonista di I ama a Hero non può che essere come me”.
L’autore aggiungerà in incontri successivi che: “Un giorno, quando forse io sarò maturato e cresciuto, allora sarò in grado di descrivere anche dei personaggi un po’ meno perdenti”.
 
Parlando di finali, si passa ad I am a Hero: anche qui, la risposta è la stessa data nella nostra intervista. Hanazawa ha spiegato come “Ho ben chiaro un finale, ma I am a Hero è serializzato su una rivista settimanale, quindi ci possono essere degli eventi legati alla quotidianità, all’attualità, che in quel momento prendono il sopravvento, e dunque la storia può deviare dal percorso prestabilito. Quindi non posso sapere con certezza come finirà.”
Tornando sull’argomento in un altro incontro, l’autore aggiungerà: “Cosa si possa considerare un happy end, nessuno lo può dire; diciamo che sicuramente non avrà un lieto fine”.
 
Giunge quindi l’argomento che diventerà una specie di tormentone ricorrente per il nostro Hanazawa: The Walking Dead.
Il mangaka rivela come anche in Giappone sia conosciuto, anche se lui è il classico esempio di chi ha scoperto il fenomeno dopo aver visto il serial. Al momento, dirà in altre occasioni, è riuscito a visionare solo la prima serie perché oberato di lavoro, ma non sta nella pelle al pensiero di vedere come prosegue.
Ma comunque non pensa di averne in qualche modo subìto influenze. Ad aver influenzato il suo manga sono gli zombie movie, come poi spiegato nel dettaglio poco dopo.

A questo punto Ciccarelli, ricollegandosi ad un precedente intervento di Zerocalcare, chiede ironicamente ad Hanazawa se in Giappone esiste un equivalente di “Rebibbia”; e questi sorride annuendo. Su questa cosa si creerà una specie di siparietto ironico da qui in poi. Infatti dopo l’ennesima “domanda scomoda” sulle serate “illecite” di Zerocalcare, questi dirà: “Ma chiedilo a lui [Hanazawa] le cose illecite che fanno a Tokyo!“. E questi risponderà, suscitando ulteriore ilarità negli astanti, che invece “non è assolutamente il tipo di persona che pratica attività illegali”.
E Zerocalcare poco più avanti, vista la piega equivoca presa dal discorso, si è sentito in dovere di specificare: “Io non vendo fumo, comunque eh!
 
Dal pubblico giunge una domanda per Hanazawa e i suoi zombie così particolari, lontani dallo stereotipo del non-morto lento e barcollante.
L’autore di conseguenza torna sull’argomento delle influenze, spiegando come l’esistenza di zombie che corrono in I am a Hero dipenda dal fatto che egli fu inizialmente influenzato da film come L' alba dei morti viventi (il remake del 2004), Rec e 28 giorni dopo. Dove ci sono questo tipo di "zombie veloci".
Per quel che concerne invece l’aspetto dei suoi non-morti, il mangaka spiega: “In I am a Hero il contagio avviene col morso, e il soggetto non diviene istantaneamente un cadavere putrefatto, ma ad esempio può inciampare e farsi male. Ma dal contagio all’effettiva trasformazione nel frattempo possono passare settimane o mesi, e solo alla fine si trasforma nell’immagine classica dello zombie che abbiamo”. E l’autore tiene appunto a rendere realisticamente questa evoluzione fisica dello zombie.
Altra aggiunta interessante fatta dall’autore più in là: “Quello che cerco sempre di fare è di inserire lo zombie all’interno di quella che era la sua quotidianità prima del contagio. Quindi, ad esempio, se stava facendo la spesa ha ancora in mano il sacchetto; oppure il signore che stava passeggiando ha ancora l’ombrello. Cioè, pensare come calare lo zombie nella sua precedente quotidianità è una cosa che mi diverte molto.”
 
Piccolo aneddoto: Al termine dell’incontro Hanazawa ha posato per delle foto coi sui lettori (nella gallery ne potete vedere una col sottoscritto indecentemente confuso e felice); ed a un certo punto è spuntato fuori un fan con un cartello “Free Hugs”, col quale chiedeva ad Hanzawa di poterlo abbracciare. Nonostante la titubanza dell’interprete, l’autore si è invece mostrato addirittura entusiasta, prodigandosi tutto felice nel caloroso abbraccio col suo fan!
 
Noi ci siamo ovviamente qui concentrati sulle domande/risposte riguardanti Hanazawa. Ma se volete gustare integralmente tutti gli interventi (cosa caldamente consigliata), qui di seguito potete visionare il video integrale.
 


Sabato 2 novembre alle ore 10.00, presso il Teatro del Giglio, si è tenuto l’incontro riservato alla stampa. Come avvenuto con altri ospiti, abbiam potuto godere del tradizionale breve video introduttivo di Marco Pellitteri, in quel momento in Giappone per motivi di ricerca. Quindi si è passati alle domande.
La prima verte sul successo mondiale del genere zombie, e viene chiesto all’autore perché secondo lui risulti così interessante questa metafora dell’umanità che deve rinascere a tutti i costi.
La risposta: “Ritengo che a livello mondiale ci sia sicuramente questo senso di soffocamento nei confronti della contemporaneità, ed è per questo che probabilmente opere di questo genere hanno successo. In particolar modo in Giappone ci son stati grandi avvenimenti, come il grande terremoto, che hanno accentuato questo elemento. Nel mio caso però I am a Hero nasce come valvola di sfogo di una mia situazione di stress e di tensione personale”.
Poco più avanti però Hanazawa riconosce come vi siano anche delle analogie tra tale tematica trattata nel suo manga e la società nipponica: “In effetti la società giapponese è un tipo di società in cui chi emerge, chi è diverso dagli altri, chi è stravagante, in qualche modo tende ad essere schiacciato, per esser invece livellato a quella che è una società molto uniforme. E da questo punto di vista anche gli zombie sono tutti uguali”.
 
Poniamo noi una domanda: Nel secondo capitolo di I am a Hero, Hideo afferma come i manga, pur rappresentando la forma più altra di cultura giapponese, non sono apprezzati adeguatamente nello stesso Giappone. Condivide questa opinione espressa dal suo personaggio e da cosa dipenderebbe questa contraddizione?
Hanazawa: “Pur rispondendo storicamente a delle influenze esterne, come i cartoni della Disney, il manga si è poi sviluppato e ingigantito in maniera tale da essere un fenomeno del tutto originale e peculiare di una determinata cultura.” Ed è per questo, spiega, che Hideo/Hanazawa ritiene il manga in qualche modo rappresentativo del Giappone. “Eppure i giapponesi guardano sempre dall’alto in basso la cultura dei manga. E questo dipende probabilmente dal fatto che i giapponesi sono un po’ esterofili; quindi tendono a sottovalutare il manga, che è un prodotto culturale autoctono.”
Restando in tema, si è trattata la questione capovolgendola; e cioè parlando dell’esterofilia del pubblico italiano, che invece apprezza da anni il fumetto giapponese tendendo semmai a sottovalutare quello italiano.
Ovviamente questo riconoscimento del manga non può che fargli piacere, dice Hanazawa, ma allo stesso tempo si ritrova a costatare come questa tendenza a sottovalutare il prodotto della propria cultura, molto forte in Giappone dove tutto ciò che viene dall’estero è ritenuto “cool”, sia evidentemente comune.
 
Spaziando in ambito cinematografico, ha fatto capolino Pacific Rim e le palesi influenze provenienti dalla cultura nipponica. Hanazawa risponde candidamente che da un lato non può che essere compiaciuto del fatto che la cultura giapponese venga presa come fonte d’ispirazione; dall’altra si chiede se Hollywood non abbia forse esaurito le tematiche, visto questo bisogno di attingere idee al di fuori. Continua con ironia il mangaka: “Posso augurarmi che magari un giorno anche una mia opera possa diventare  un blockbuster  hollywoodiano” (partono qui gli applausi degli astanti).
 
A questo punto abbiamo posto una nuova domanda: Uno scenario apocalittico purtroppo il Giappone l’ha vissuto davvero col terremoto del marzo 2011. Se avesse iniziato la realizzazione di I am a Hero dopo tale disastro, pensa che avrebbe narrato la stessa storia o sarebbe cambiato qualcosa? L’elemento scatenante per Hideo magari non sarebbero stati gli zombie, ma la catastrofe naturale… o radioattiva?
“No, direi assolutamente che è proprio il contrario: per una questione di sensibilità sicuramente un’opera post 2011 basata sulla radioattività o su disastri come terremoti, sicuramente l’avrei evitata; perché penso siano delle tematiche che vanno un po’ oltre”.
 
Altra nostra domanda: nell’immaginario di solito gli zombi possono tornare in vita tramite resurrezione o diventano tali tramite contagio. Come mai lei ha scelto questa seconda opzione?
Hanazawa ci risponde inizialmente divertito facendoci notare che “innanzitutto il Giappone non ha cimiteri da cui possano uscire dei cadaveri, perchè vengono quasi tutti cremati. Quindi diciamo che quella del contagio è stata un po’ una scelta obbligata. E poi una delle tematiche che tengo a portare avanti all’interno della storia è la ricerca della causa del fenomeno. E da questo punto di vista la modalità del contagio ho ritenuto fosse più interessante. Concretamente non è ancora emersa, però è una delle cose su cui lavorerò”
 
Ressentiment è l’oggetto di un’altra domanda. Si tratta di un’opera d’esordio di Hanazawa, giunta solo ora in Italia, e che apparentemente presenta dei punti di contatto con opere storiche che trattano il tema della realtà virtuale, come Video Girl Ai o Serial Experiments Lain. Si chiede quindi ad Hanazawa se e quanto, secondo lui, l’arrivo del virtuale abbia cambiato il modo di relazionarsi della gente.
L'autore innanzitutto conferma di aver letto Video Girl Ai all’epoca su Jump, quindi non esclude d’esserne stato influenzato. Conclude poi convenendo come “l’esistenza di realtà virtuali come videogiochi e internet, che ormai sono entrati nel quotidiano, sicuramente influenza la presenza di fenomeni sociali in giappone, come persone che non escono mai di casa, come gli hikikomori”.
 
Si torna a parlare di I am a aHero, per la precisione del primo capitolo che, quasi senza alcun dialogo, presenta il protagonista, Hideo, un ragazzo affetto da disturbi  ossessivo-compulsivi e visioni. Com’è nato?
Hanazawa: “Si era già deciso con l’editor che la tematica a lungo termine sarebbe stata quella dello zombie e, in merito al primo capitolo, abbiamo discusso a lungo con l’editor su come introdurre il personaggio principale. È venuto fuori nel corso degli incontri che io stesso sono un po’ fobico e maniaco; e allora si è pensato appunto di parlare delle fobie di Hideo nel primo capitolo. Io stesso mi comporto come lui.”
Si è parlato spesso, e ripetutamente, della palese somiglia tra autore e suo personaggio. Ma un ulteriore e curioso tassello di questo puzzle è stato dato durante il lo showcase che si sarebbe tenuto qualche ora più tardi. L’autore ha infatti rivelato le origini di quella strana “danza rituale” che Hideo compie nelle primissime pagine di I am a Hero entrando nel suo appartamento: “Anche la tematica dello zombie nasce un pochino dal fatto che io sono una persona molto molto paurosa. In effetti quando vivevo da solo e mi capitava di riencasare nel mio appartamento buio, io avevo paura. E per farmi coraggio facevo quella specie di danza scaramantica. In questo modo mi facevo coraggio e  riuscivo ad entrare in casa.”
 
Quindi un'ultima nostra domanda: Nonostante attorno a lui scoppi il finimondo, Hideo continua a comportarsi in maniera diligente, da cittadino modello: pagando il tassista anche se è defunto, o ancora utilizzando normalmente un distributore automatico anche se potrebbe scassinarlo. Perché questo estraniamento dalla realtà, questo non volersi rendere conto di quel che accade attorno? Vuole essere un qualche parallelismo con la società odierna?
Hanazawa [che ride mentre si citano i comportamenti strambi di Hideo]: “In qualche modo quell’aspetto del protagonista è un tratto comune al giapponese medio. Per esempio anche in occasione del terremoto del Tōhoku non ci sono stati atti di vandalismo; i giapponesi erano in fila ordinatamente anche per scendere dalla metropolitana bloccata. Quindi è un aspetto peculiare dei giapponesi. Effettivamente forse è un a fuga dalla realtà, forse è un loro modo per contenere il panico e la paura”.
 
Qui il video integrale del Press Cafè
 


Sabato 2 novembre alle 14.30 si è infine tenuto lo showcase presso la suggestiva location della Chiesa dei Servi. Dopo aver esordito con una breve e simpatica presentazione in italiano, il maestro è passato a descrivere una sua tipica giornata lavorativa e le fasi tecniche del suo operato. Innanzitutto ha specificato come il tipico mangaka giapponese sia tendenzialmente molto pigro: lui si alza solitamente a mezzogiorno, inizia a lavorare e va avanti fino all’una o le due di notte, dopo di che torna a dormire. “Quindi la mia giornata lavorativa consiste in 12 ore consecutive in cui io sto tutto il tempo alla mia scrivania a disegnare”.
Passando alla lavorazione vera e propria, la prima è una fase “analogica”, quella durante la quale inizialmente disegna i personaggi e poi li inchiostra col pennino specifico g-pen. Il maestro è solito tenere un fazzolettino sotto la mano per non sporcare la tavola. I sui attrezzi del mestiere più usati sono il portamine, la g-pen, alcuni pennarelli ed il correttore bianco.
Poi si è passati alla parte digitale del suo lavoro: “Per quel che riguarda gli sfondi o gli oggetti di utilizzo quotidiano, faccio larghissimo uso di fotografie”, dice il maestro che, supportato dalle immagini schermo, illustra il processo tramite il quale parte da una foto per poi poterla ricalcare sul tavolo luminoso. Il disegno così inchiostrato viene poi scansionato e arricchito con l’aggiunta dei retini in digitale.
Poi l’immagine viene adattata al formato della pagina e della vignetta specifica in cui verrà inclusa, rimuovendo le porzioni esterne diventate superflue.
Poi eventuali altri file immagine possono essere sovrapposti all’illustrazione (nell’esempio, il maestro sovrapponeva l’immagine di un telecronista all’interno del monitor di un videofonino).
Questo processo può essere quindi ripetuto per ogni vignetta, sovrapponendo quindi al disegno inchiostrato prima i retini e ulteriori ombre, poi ancora inserendo gli sfondi e/o eventuali altri elementi in primo piano.
Ogni vignetta viene montata in una tavola pre-impostata con le varie cornici. Quindi tocca ai baloons e la tavola può dirsi ultimata. “Questo processo diciamo che si ripete all’infinito”.

Qui una breve gallery esemplificativa estrapolata dal video (ci scusiamo per la bassa qualità).
Hanazawa Kengo - Fasi realizzazione tavola 1 Hanazawa Kengo - Fasi realizzazione tavola 2 Hanazawa Kengo - Fasi realizzazione tavola 3
Hanazawa Kengo - Fasi realizzazione tavola 4 Hanazawa Kengo - Fasi realizzazione tavola 5 Hanazawa Kengo - Fasi realizzazione tavola 6
La seconda parte dell’incontro ha visto invece Kengo Hanazawa rispondere a varie domande dal pubblico mentre nel frattempo era impegnato a disegnare in estemporanea.
Piccolo salto nel passato per il sensei che, rispondendo ad una domanda dal pubblico, racconta come da bambino leggesse Doraemon, mentre tra i fumetti più recenti ha apprezzato molto Miyamoto kara Kimi e di Hideki Arai.
Poi spiega le ragioni che l’hanno spinto a diventare mangaka: ”Sicuramente una delle motivazioni è che mi piacciono i manga. Poi, proprio per indole, non potrei mai fare ad esempio il venditore. Ho questo carattere e penso di poter fare solo il mangaka”.
 
Hanazawa scende quindi nello specifico inquadrando le tempistiche del suo lavoro: “La mia è una storia che viene pubblicata su un settimanale, e per completare un capitolo in genere ne discuto col mio editor e in due o tre giorni cerchiamo di  definire il name, la bozza. Poi, assieme ai miei assistenti, dedichiamo i restanti 3 o 4 giorni al disegno”.
La fase del suo lavoro che più gradisce, spiega neanche troppo ironicamente, è “l’attimo in cui la tavole vengono finite, perché prima di una consegna non si va a dormire finché tutte le tavole non sono finite; è normale lavorare per trenta ore di fila senza assolutamente dormire. Quindi l’attimo in cui tutto è finito è il momento più bello”.
E ancora, parlando di ciò che gradisce o meno disegnare: “Partendo dal presupposto che sono un disegnatore molto scarso, quello che effettivamente non mi piace tanto disegnare, non essendone molto capace, sono gli animali. Non sono proprio abituato. Invece mi piace disegnare le ragazze.”
 

Facciamo anche noi una domanda: Nel secondo capitolo di I am a Hero, Hideo afferma come esistano manga "eccellenti", che verranno letti anche fra centinaia di anni. Ma nel contempo si afferma anche che i manga "fotografano un singolo momento di un'epoca" e per questo la loro essenza è di essere "usa e getta". Lei dove crede protenda oggi il fumetto giapponese? Verso l'eccellenza artistica o la fruizione “usa e getta”?  
Hanazawa, lasciando intendere che quelle espresse nel manga sono sue opinioni personali, spiega come in realtà i due aspetti siano complementari: sebbene sia nella natura del manga l’essere un bene di consumo, all’interno di questo insieme ci sono opere che verranno tramandate. Quindi “le due cose coesistono”, afferma.
 
Una risposta interessante viene poi data da Hanazawa in merito alla fruizione delle sue opere all’estero, soprattutto perché ci dona il suo punto di vista (idealizzato, osiamo dire) sull’Italia: “Innanzitutto il fatto di essere letto all’estero è qualcosa che mi stupisce molto; e soprattutto mi stupisce che gli stranieri possano comprendere quel tipo di personaggo perdente e un po’ sfigato che io descrivo. In particolare in Italia, il paese per eccellenza della solarità, mi stupisce molto che un personaggio così buio e negativo venga apprezzato.“
Il sensei poi comunque specifica, in risposta ad una domanda, che non è solito pensare a nessun tipo di lettore in particolare quando realizza una sua opera. Il suo operato risponde solamente ad un suo bisogno.
 
Nel frattempo Kengo Hanazawa ha ultimato il suo disegno, e lo dedica a Lucca Comics & Games 2013; quindi si congeda coi suoi lettori promettendo “La mia opera sarà sempre più interessante, quindi leggetemi fino alla fine!”
L'autore si è infine prestato volentieri un ultima volta per delle foto coi suoi lettori.
 
Qui il video integrale dello Showcase.
 


Sempre lo stesso giorno, alle 18:00, Kengo Hanazawa si è presentato a sorpresa presso lo stand Panini Comics, dov'era in programma un aperitivo informale per il collega ed amico Inio Asano.
Nella gallery un paio di scatti rubati. Per visionare invece il video, vi rimandiamo al reportage di Inio Asano qui.


Piccola postilla: al sottoscritto, da buon misantropo e sfaticato, di norma non interessa granché incontrare (e soprattutto intervistare) gli autori alle fiere. Lo so, forse è un po’ strano come principio, ma solitamente sono attratto solo dalle loro opere, e non da essi stessi a livello personale. Quindi inizialmente devo ammettere di aver abbracciato l’incarico di seguire le apparizioni di Hanazawa in fiera un po’ come una rottura. PERÒ Hanazawa col suo misto di serietà e tenerezza si è fatto apprezzare da subito, tanto che dopo il primo incontro non vedevo l’ora di seguirlo ovunque, per filmarlo in ogni conferenza e fargli “ciao ciao” con la manina dalla prima fila (venendo puntualmente riconosciuto e ricambiato... so’ soddisfazioni, eh!). Quindi si spera che questo lungo reportage, non esente da un certo fanboysmo, sia riuscito a farvi vivere anche solo in minima parte la bella esperienza provata da noi che a Lucca abbiamo potuto tallonare di persona il maestro.
E voi, l’avete incontrato Hanazawa? Raccontateci pure la vostra esperienza.