Domenica il quotidiano la Repubblica ha pubblicato nelle pagine del suo inserto "La Domenica!" un'importante intervista ad Hayao Miyazaki (Il Castello Errante di Howl, Ponyo, Kaze Tachinu (Si alza il vento) realizzata da Mario Serenellini, giornalista non nuovo a questi exploit (ricordiamo la sua precedente intervista a Miyazaki e soprattutto quella con Katsuhiro Otomo).

Il dialogo con il cofondatore dello Studio Ghibli è spaziato dal suo ultimo film, per il quale è stato premiato agli Annie Awards e di cui ha svelato alcuni elementi inediti per gli appassionati italiani, alla sua vita, al suo rapporto, oramai conflittuale, con il governo nipponico per le sue scelte chiaramente espresse antinucleare e pacifiste, al suo futuro che, come si è ben compreso in questi mesi, si rivolgerà sempre di più verso il mondo dei manga (Miyazaki è infatti al lavoro su un manga incentrato sui samurai) e verso i cortometraggi.
 



"Le vent se lève!... Il faut tenter de vivre!". Bisogna tentare di vivere, quando si alza il vento. (Cimetière marin di Paul Valéry ). Ripete Hayao Miyazaki, in un colorito nippo-francese, durante la conversazione telefonica dall'altra parte del mondo nel suo chalet a sud ovest di Tokyo dove ha festeggiato i suoi settantatré anni con la moglie ed i due figli. Bisogna tentare di vivere, quando si alza il vento, ed il suo riferimento non è tanto al suo ultimo film quanto proprio all'animazione nipponica, a se stesso. Al futuro.

miyazaki

"Andare avanti, esistere, rimanere se stessi nonostante la situazione avversa"
Continuare a realizzare film. Nonostante le critiche e le censure politiche che gli sono piovute addosso proprio a causa di questo ultimo film (Lucky Red dovrebbe distribuirlo a maggio nelle nostre sale).

Marco Serenellini - Da tempo vive in un Paese in cui non si riconosce: in Giappone S'alza il vento sta godendo d'un grande successo, ma il governo la tratta da "traditore".

Hayao Miyazaki - "Il film, sui sogni infantili e la vita di Jiro Horikoshi, il capo ingegnere progettista degli Zero, i micidiali caccia della Seconda guerra mondiale, ha scatenato le ire della destra nazionalista nipponica per il ritratto al vetriolo dell'esercito imperiale. Ma raccontare favole non significa rinunciare a prendere posizione. Io ho sempre praticato il pacifismo, e non a caso la guerra è presente in quasi tutti i miei film. Anzi, a pensarci bene forse non sono poi neppure così tanto pacifista! Fin da bambino sono affascinato dai meccanismi - e dalle "macchinazioni" - militari: ancora oggi mi appassiona studiare, smontandole pezzo a pezzo, le macchinette di guerra. Mi piace capire come funzionano. E, soprattutto, non mi stanco mai di disegnarle".


- Un'infanzia, la sua, trascorsa sotto il segno della guerra.

- "Sono nato nel 1941. Ero troppo piccolo per capire. Ricordo la nostra fuga da casa, a Utsunomiya, un centinaio di chilometri a nord di Tokyo, la notte in cui è stata bombardata: ho visto i miei ammucchiare di corsa pentole e vestiti in una carriola mentre mio padre mi caricava sulla schiena. Ma per me, allora, è stata la festa del cielo: non ero impaurito, ma stupito, incantato, davanti a quella notte improvvisamente spalancata dalle luci. Un'impressione visiva fortissima, che conservo ancora".



Porco Rosso

-È il suo fantasma?

-"La guerra torna, riappare. Pochi giorni fa ho ricevuto la lettera di un mio coetaneo: bambino, rimasto solo, s'era rifugiato quella notte nella nostra casa, risparmiata dai bombardamenti. Mio padre, che vi era tornato l'indomani per recuperare oggetti abbandonati nella fretta, l'aveva scoperto in un cantuccio: tremava. L'aveva tranquillizzato, dicendogli di restare quanto voleva e regalandogli una stecca di cioccolato. Un'enormità, per l'epoca. Né io né i miei fratellini ne avevamo mai assaggiato. Quel bambino aveva preso mio padre per "un dio disceso sulla Terra": così mi scrive nella lettera".


-Un riconoscimento a suo padre?

"Mio padre lavorava per l'esercito. Per questo, immagino, aveva in tasca il cioccolato, un privilegio. Ingegnere aeronautico, era titolare della Miyazaki Airplane, quella che costruiva l'estremità delle ali degli Zero. Una fabbrichetta, ma quanto mai redditizia. Fin da ragazzino ero infastidito all'idea che ci fossimo arricchiti con la guerra: adolescente, non facevo che discutere con i miei. Avevo vergogna di mio padre. Ma la preparazione di S'alza il vento mi ha fatto molto ripensare a lui, alle contraddizioni di cui ci nutriamo: chi crede d'essere un puro e di sorvolare la vita da innocente è uno sciocco o un ipocrita. Questo film è anche una riconciliazione. E quella lettera, come un messaggio in bottiglia venuto dal passato, è stata un'ultima rivelazione: quella d'un padre, allora giovane, buono e aperto".


-Hiroshima è stata una conseguenza d'un grande sogno realizzato, la scissione nucleare. Come evitare che un sogno si tramuti in incubo?

"Nel mio cinema si sogna molto, ma la realtà ha sempre l'ultima parola. La catastrofe di Fukushima, causata dal maremoto di tre anni fa, ci ha colto in piena lavorazione del film: siamo rimasti prigionieri in questa periferia di Tokyo, senza elettricità, trasporti, mezzi di comunicazione. Molti si sono accampati negli Studi Ghibli, sotto choc. Ci chiedevamo se continuare il film avesse ancora un senso. Dopo Fukushima, Ghibli ha disdetto il contratto con la società nazionale che gestisce la centrale nucleare. Io ho scritto un "j'accuse" contro il governo, e me lo sono inimicato per sempre: erano esterrefatti nell'osservare la ribellione di un "tesoro nazionale vivente", quale io sono, ormai ritenuto docile e neutrale bandiera. Da allora sulla mia vecchia Citroën due cavalli, modello Charleston, campeggia un adesivo antinucleare".


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Fonte Consultata:
Repubblica