Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata alle recensioni su anime e manga, realizzate degli utenti di AnimeClick.it.

Oggi appuntamento libero, con Suicide Club, WarubureTokyo Ravens.

Ricordiamo che questa rubrica non vuole essere un modo per giudicare in maniera perentoria i titoli in esame, ma un semplice contesto in cui proporre delle analisi che forniscano, indipendentemente dal loro voto finale, spunti interessanti per la nascita di discussioni, si auspica, costruttive per l'utenza.


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7.5/10
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Tokyo, primi anni Duemila. Una squadra speciale della polizia indaga su una tendenza che sta prendendo piede negli ultimi tempi tra i giovani Giapponesi: quella di mettere in atto dei veri e propri suicidi di massa, in cui nutriti gruppi di adolescenti si tolgono la vita con una sconcertante quanto agghiacciante indifferenza, nelle modalità e nei luoghi più disparati. Credendo che dietro a tutto ciò ci sia un vero e proprio culto istigatore, il detective Kurada - indirizzato da una ragazza nota sulle community online con il nickname di Kōmori ("Pipistrello") - inizia a seguire la pista di un misterioso sito internet che riporta quotidianamente il numero delle vittime; nel frattempo un nuovo gruppo j-pop composto da cinque ragazzine inizia a fare le sue prime apparizioni televisive, riscontrando in tutto il Giappone un successo clamoroso.

Suicide Club, lungometraggio del 2001 ormai adibito allo status di cult movie, è stato il film che ha consacrato il suo regista Sion Sono e che l'ha lanciato sulla scena mondiale, complice anche un notevole successo ottenuto in patria, che ha permesso persino la nascita di un libro e di un manga ad esso ispirati - quest'ultimo firmato nientemeno che dal talentuoso Usamaru Furuya, amico di vecchia data del regista. Ma la particolarità del film resta la sua stravagante e inquietante poetica, che si fa promotrice di una impietosa quanto sottile critica sociale.

Poniamo una premessa: la società giapponese, se vista da un'ottica "esterna", è ad oggi una delle più prospere e ricche del mondo, e negli ultimi anni è stata al centro di grandi progressi in campo economico e del benessere sociale. Ma dietro a questa maschera di efficienza e prosperità si cela un profondo disagio, che vede le sue radici proprio in quei valori capitalistici che hanno messo al centro il profitto economico e il consumismo; in altri termini, il Giappone ha assimilato tali valori in modo del tutto assoluto e incondizionato, giungendo a plasmare un organismo sociale omologato e competitivo, in nome della logica del mercato. Ma tutto ciò va a scapito del cittadino singolo, che spesso e volentieri vede i propri diritti di essere umano calpestati per il bene della collettività: i deboli, i falliti e tutti coloro che non riescono a stare al passo con la società sono messi da parte, e non è un caso che il Giappone sia uno dei Paesi con il più alto tasso di suicidi al mondo.

Il film, che a detta di Sion Sono dovrebbe essere parte di una vera e propria "trilogia dell'alienazione" in cui figura anche il successivo Noriko's Dinner Table, assume fin da subito un approccio enigmatico e frammentario, che non si risparmia passaggi onirici o minimali e continui cambi di focalizzazione dagli effetti destabilizzanti. Attraverso un confondente gioco di specchi, il regista costruisce una pellicola che fa della totale imprevedibilità il suo maggiore punto di forza: Suicide Club è un film di difficile catalogazione, che in prima battuta assume l'aspetto di un giallo a tinte horror, ma che tassello dopo tassello va a comporre un vero e proprio puzzle dai caratteri sconcertanti e rarefatti, che svelerà solo negli ultimi minuti la sconvolgente verità che nasconde l'intero intreccio. I numerosi piani sequenza si infiltrano e scavano tra la folla, scrutano nei corridoi, negli uffici, sui mezzi pubblici e in luoghi dove spesso la luce non filtra, mentre la macchina a mano indugia sui dettagli, sulle espressioni del viso, scandagliando l'animo marcio e irrequieto delle persone. Sion Sono, pur mettendo a fuoco l'ambiente schizofrenico e oppressivo della società - come avviene nella bellissima scena d'apertura, che evidenzia un lirismo tanto esasperato quanto nichilista -, si diverte a portare l'ignaro spettatore lungo piste false e mistificanti, impregnando tuttavia l'opera di continue strizzate d'occhio e messaggi subliminali. Perché è proprio lì che infine vuole arrivare: i suicidi sono solo la conseguenza e la soluzione di un processo di manipolazione a livello inconscio che vede le sue radici molto più a fondo; come peraltro avviene nella stessa struttura sintattica del film, che sfiorando le caratteristiche del metaracconto mette a nudo la follia collettiva dell'essere umano, imprigionato nel giogo della società e nello strapotere dei mass media, che ne azzerano il libero arbitrio a prescindere da una ragione precisa.

«Se mi dai un'opportunità, potrai dividere con me il sentimento che provo
E potrai riempire il baratro nel mio cuore
Insieme, possiamo versare luce sul buio
Può essere spaventoso, ma può anche renderti felice
Ora vuoi realmente dirmi addio e lasciarmi per sempre
[...]
Andandocene dimenticheremo il dolore, troveremo di nuovo la vita»

(Write Once - Dessert)

Ma mentre questa carica repressa e accumulata esplode e si ritorce contro alla società - la delirante violenza di Genesis e della sua banda di deviati dal look androgino ne è un valido esempio -, Sono ci conduce verso un finale nel quale, a sorpresa, si riesce ancora a intravedere un barlume di speranza: è la prova che uscendo volontariamente dalla spirale di passività e rassegnazione, un cambiamento - per quanto minimo - è di fatto possibile.

A costo di rinunciare alla coesione dell'intreccio, fattore di cui si avverte purtroppo la mancanza soprattutto verso metà pellicola, Suicide Club si fa promotore di un messaggio che ben poche opere possono eguagliare per originalità; contenuto che tuttavia non sempre è coadiuvato da una forma all'altezza, risentendo forse di un'eccessiva pesantezza data dal sovraccarico di intenti.



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Di dodici puntate, uscito nella stagione invernale nel 2015, è un buon esemplare di quegli anime classificabili come harem scolastici. In che senso? Semplice: storie ambientate in istituti scolastici, più o meno normali, che vedono il protagonista di turno fare incetta di belle ragazze. Semplici, in alcuni casi, ma a mio avviso molto belli, se ben realizzati.
In questa stagione ne sono usciti parecchi, tra cui "Isuca", "Shinmai Maou no Testament", "Absolute Duo" e "Juuou Mujin no Fafnir". Ma, personalmente, penso che "Seiken Tsukai no World Break" sia uno dei migliori. Una storia intrigante, accompagnata da combattimenti appassionanti e misteriosi passati. Insomma, un materiale niente male.

Il mondo, un po' più futuristico del nostro, viene bersagliato continuamente da strani mostri (tema molto in voga ultimamente). Gli unici in grado di proteggere la Terra sono i Saviors, esseri umani che, misteriosamente, posseggono ancora i ricordi delle loro vite passate. Ciò concede loro poteri sorprendenti, che li trasformano da semplici civili a combattenti agguerriti. Tra tutti questi, emergerà ben presto una matricola tutta particolare: Moroha Haimura. A differenza degli altri, non ha altro che stralci del suo passato, ma, sempre a differenza degli altri, risulterà essere l'unico ad aver subito non una, ma ben due reincarnazioni. Ovviamente, questo comporterà un potere fuori dal comune, ma soprattutto due donne in più da sorbirsi, una per ogni vita passata. Satsuki Ranjou, energica e piena di vita, un tempo aveva amato il suo fratello di sangue, nonché l'attuale Moroha. E Shizuno Urushibara, calma, pacata e avvolta da un velo di mistero e sensualità.
Una pacifica vita scolastica, più o meno, che s'infrange contro nemici sempre più potenti e pericolosi.

Parto dal presupposto che "Seiken Tsukai no World Break" è, a mio avviso, un ottimo esemplare di genere fantasy/harem, ma non perfetto (ovviamente). Molteplici aspetti positivi possono essere riscontrati nella suddetta opera, ma, allo stesso tempo, ci sono ampi margini di miglioramento, che avrebbero potuto rendere il tutto ancora più entusiasmante.
Positiva, senza dubbio, la cura psicologica dei vari personaggi. L'idea della reincarnazione e il mantenimento dei ricordi passati è assolutamente fantastica. Ciò, però, apre dibattiti interessanti riguardo l'importanza della vita precedente rispetto a quella attuale. E ancora di più l'influenza che la prima esercita sulla seconda. Moroha, reincarnatosi per ben due volte e non ancora capace di rimembrare gli avvenimenti del suo Io passato, si ritrova coinvolto in una strana relazione con Ranjou e Shizuno, che invece hanno ben presente il loro precedente amore. I protagonisti mostrano sentimenti ben precisi e neanche tanto stereotipati. Essi si evolvono lungo la serie, nonostante le puntate a loro disposizione siano piuttosto esigue.
Molto interessante anche il modo in cui vengono gestite le "questioni di cuore". Molto spesso, infatti, si cade nell'errore di incentrare il tutto su questo punto, comunque importante, dimenticandosi così di elaborare al meglio la trama e i vari intrighi. Nella suddetta opera, invece, l'amore c'è, ma non in maniera così opprimente da appesantire lo svolgimento dell'anime. Ranjou si piazzerà quasi subito nel ruolo di "sorellina", altre possibili concorrenti appaiono abbastanza deboli. L'unica che merita veramente è Shizuno, che, in effetti, pare quella con un rapporto più maturo nei confronti di Moroha.

La grafica è abbastanza bislacca: belli i disegni dei personaggi in quanto tali, ma piuttosto strana la realizzazione dei volti, e soprattutto degli occhi. Non proprio così orribili, ma comunque atipici, almeno per quanto riguarda la mia esperienza in fatto di anime.
I combattimenti sono stati realizzati in maniera carina, con scontri appassionanti e una modalità di lancio delle magie veramente intrigante. La cantilena, pur sempre in giapponese, ipnotizza ed esalta parecchio. Peccato per alcune movenze forzate e poco realistiche, che macchiano leggermente questo bell'abito.
Le musiche sono semplicemente fantastiche, a partire dall'opening fino all'OST. Quest'ultima, in particolare, riesce a smuovere l'animo dello spettatore, alternando sinfonie melanconiche (molto belli i pezzi al pianoforte) con ritmi molto più veloci. Piccole sbavature si possono riscontrare nella gestione audio di alcuni effetti. In alcuni momenti, infatti, i corpi sembrano galleggiare sul terreno, non producendo alcun suono.

Concludo questa recensione partendo proprio dall'inizio. Infatti l'impatto iniziale, insieme a quello finale, è fondamentale per il gradimento di una determinata serie. In questo caso coincidono, visto che i primi minuti dell'anime narrano le vicende finali, mostrandoci così alcuni scorci di come andranno a finire le cose. Un po' alla "Odissea", tanto per fare un paragone eccelso (e chiedo scusa a Omero).
L'anime si conclude bene, ma, a mio avviso, poteva finire meglio. Anche perché, di fatto, una vera e propria conclusione non c'è stata. La storia continua chiaramente e alcune questioni rimangono in sospeso, aspettando, chissà, una seconda stagione.
"Seiken Tsukai no World Break" è un'opera semplice, ma neanche tanto banale. Alcuni temi sono piuttosto intriganti e le relazioni tra i veri personaggi commuovono in maniera esemplare. Certo, mi dispiace un pochino per Haruka Momochi, una compagna di scuola di Moroha che, chiaramente invaghita di quest'ultimo, non ha nemmeno il tempo di dichiararsi, ed essere doverosamente rifiutata. La migliore è Shizuno e il suo charme non ha eguali.

Voto finale: 8 meno



7.0/10
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Se dovessi giudicare "Tokyo Ravens" dai primi episodi, non potrei assolutamente essere indulgente nei miei giudizi. Arriverei alla stessa conclusione, se dovessi limitarmi alla conclusione, migliore del suo incipit, ma non poi di molto. Ma andiamo con ordine.

La serie animata è ambientata in un Giappone dove il potere spirituale, legato alle tradizioni e al folklore nipponico, è reale e sfocia in una magia riconosciuta dello stesso governo. Si tratta di un fenomeno ad appannaggio di pochi dotati, ma che rischia di causare serissimi incidenti. Quelli che dimostrano predisposizione per il mondo degli spiriti vengono mandati a studiare in una scuola apposita, per poi un giorno entrare al servizio della comunità. Tra questi vi è il nostro protagonista, Harutora, di suo poco coscienzioso e non particolarmente dotato, ma che tuttavia discende, sebbene da un ramo secondario, dalla famiglia che vantava il più importante sciamano mai esistito, Yakou Tsuchimikado. L’attuale perla della famiglia è Natsume, amica d’infanzia di Harutora e probabile reincarnazione di stesso Yakou. La prima parte dell’anime segue i nostri protagonisti nella scuola per diventare sciamani, con Harutora che riesce ad entrare solo perché diventa famiglio di Natsume. Sebbene poco predisposto, il protagonista sembra essere dotato di una sorprendente forza di volontà e intraprendenza.

L’incipit, come accennavo, non è così felice. La parte scolastica è frivola, banale, leggera e atta al ‘cazzeggio’. La butta sulle facili battute, inserisce qualche poco concreto filler sentimentale e la trascina un po’ per le lunghe. Nel mentre stende un minimo di basi per farci conoscere i personaggi, ma reputo avrebbero potuto operare in modo ben più efficace e interessante. Le cose iniziano a ingranare solo quando il fattore soprannaturale si fa più rilevante, i personaggi mostrano di avere vere potenzialità e iniziano ad essere sviscerati eventi interessanti del loro passato. Vengono mostrati gli antagonisti ed è proposta una piuttosto intricata vicenda complottistica, realizzata in modo molto intelligente.

La seconda metà dell’anime l’ho trovata veramente appassionante, sia come sceneggiatura che come ritmo, che diventa più incalzante. Oltre le vicende scolastiche e amorose, che mi sono sin dall’inizio parse poco fluide e già viste, si esplorano i personaggi secondari, diciamo gli “adulti”, che nascondono segreti di vario tipo, non così semplici da intuire e prevedere. Oltra la componente di azione, sempre più presente, si fa più rilevante il ruolo di Yakou che, sebbene non presente come personaggio, ha un’incidenza pesante sulla sceneggiatura, tale da influire pesantemente sul destino dei nostri protagonisti. Interessante anche come i ragazzi siano coinvolti e diventino l’ago della bilancio nei “giochi degli adulti”.

Il tutto scorre molto bene fino al finale: verso il terzultimo episodio si nota che il tempo inizia a scarseggiare e che rimangono troppe cose da chiudere. Tuttavia la visione rimane appassionante fino all’ultimo episodio, che pasticcia un po’ troppo, offrendo una soluzione sbrigativa, poco convincente e che lascia diversi aspetti aperti. Insomma, ho trovato la fine non soddisfacente e poco ispirata. Ci sarà un seguito? Ne varrebbe davvero la pena? Non lo so, ad essere sincero, per ora posso affermare che sono stato ripagato per non avere ‘droppato’ "Tokyo Ravens", nonostante una fine che lascia un po’ con l’amaro in bocca.