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キョン

Episodi visti: 1/1 --- Voto 7
In un'isola remota del Sud America, due amanti, in fuga da Taiwan e dal fallimento dei rispettivi matrimoni, si trovano proiettati in uno scenario surreale: la portiera della macchina presa a nolo s'inceppa, lasciandoli chiusi fuori, nel mezzo di un anomalo deserto, dove degli scoiattoli sembrano voler porre fine alla propria vita consegnandosi alle ruote dei veicoli. La donna si allontana per un tempo apparentemente breve (ma, come si scoprirà in seguito, decisivo), alla ricerca di aiuto, quand'ecco che gli ingranaggi della storia si scompaginano, assieme alla memoria di Ōshima. Questi, in stato di amnesia e privato di passaporto e carte di credito, si trova improvvisamente accanto una donna poliglotta, che si presenta a lui come Coco, offrendosi di aiutarlo a ritrovare la sua partner scomparsa, May, con la quale egli si sarebbe dovuto dirigere verso la montagna innevata. Almeno, questa è la versione dei fatti presentata ad Ōshima da Coco, le cui parole, dette per venire da lei stessa poco dopo contraddette, restano contrassegnate da un'ambiguità di fondo. Col passare del tempo, i dubbi sull'identità di Coco e su quella di May, nonché sulla natura del legame tra le due dubbi fomentati dall'ambivalente atteggiamento della stessa ragazza sconvolgono l'equilibrio di Ōshima.

Lo stile narrativo è decisamente ellittico, pieno di vuoti e scarso di appigli utili alla ricostruzione della linearità del racconto: la storia viene al contrario ripresa a più tornate, con un andamento ricorsivo. Attraverso variazioni di sottili dettagli, secondo una modalità a tratti allucinatoria, nello spettatore s'insinua precocemente il dubbio sullo statuto di realtà dell'intera vicenda: la complessità psicologica della trama e del modo di raccontarla, attraverso serie di ricordi che differiscono, quasi poliziescamente, per minuzie, ricorda esempi letterari come "La lettera rubata" di E. A. Poe. Altri momenti della narrazione, come la vicenda paradossale degli scoiattoli suicidi o il fantasmatico finale, di cui nulla vi anticipiamo, non lasciano però dubbi sull'appartenenza della storia a un filone prettamente onirico. La componente fantastica non mette tuttavia in secondo piano l'impalcatura tutto sommato solida dei dialoghi, funzionali alla struttura intricata della fabula. È proprio il prevalere dell'intreccio, la sapienza registica con cui vengono presentati gli avvenimenti che fa dubitare del loro carattere di ricordi, facendoli apparire alla stregua di borgesiane finzioni. L'amnesia può così diventare occasione per una ricostruzione della realtà il cui valore di verità sia ambiguo; il fatto cioè che il passato sia diventato evanescente nella prospettiva di Ōshima permette a May il gioco, estremamente crudele (forse soprattutto nei confronti della stessa May), di mescolare le carte della verità. È proprio quando la perdita di memoria effettua un colpo di spugna sulla realtà che il racconto, la finzione, possono prenderne il posto. Qui il medium cinematografico, con il suo carattere di sovrapposizione di immagini, del tutto simile al procedimento onirico, dà il suo meglio: ogni riavvolgimento della bobina del tempo, ogni cambio di scena, riscrivono il corso degli eventi, ricostruendo i ricordi, accelerando il normale processo di alterazione delle memorie. La stessa amnesia di Ōshima può avere due letture, entrambe legittime: quella di un artificio cinematografico, attraverso cui il regista semplicemente mostra, nel giro di due ore di pellicola, ciò che in una vita accade alla memoria, ossia l'alterazione del corso e della natura degli eventi nel richiamarli alla coscienza; oppure, quella che ravvisa in essa una strategia esistenziale del protagonista, o meglio dei protagonisti, entrambi intenzionati a "giocare sporco", riportando la propria relazione al "grado 0", illudendosi così di poterla purificare, rinnovare, o obliterare, a seconda dell'emozione dominante. Il senso di colpa in Ōshima, il non sentirsi amata in maniera esclusiva da parte di May. Entrambi sconteranno il fallimento di un'operazione simile; neppure la maledizione della montagna innevata al centro dell'isola può riuscire a cancellare e riscrivere qualcosa di più profondo della memoria: l'amore, incastonato profondamente nell'animo umano, con il suo portato di colpe, vergogne, gelosie, debolezze, inganni, ma anche con il suo nucleo inattaccabile di desiderio e di tenerezza, immune a qualsiasi rimescolamento del tempo e a qualsiasi distanza spaziale, fosse anche quella di "ottocento milioni di anni luce". La sensazione che resta alla fine della visione è quella di un ritratto amaro dei personaggi di primo piano e dei comprimari, le cui vite appaiono destinate a un'irrimediabile solitudine, adombrata anche nel nome di Ōshima ("grande isola" in giapponese), cui nessun inganno, per quanto sapientemente orchestrato, può porre rimedio.
Yōsuke Kubozuka, ex modello visto di recente in Himizu e Genji monogatari: Sennen no nazo, regala un'interpretazione tutto sommato convincente. Estremamente espressiva, e capace di rendere la perturbante personalità di May, l'attrice protagonista Rachel Ngan. Difficoltà, oltre che di recitazione, anche di possibilità di cogliere al meglio l'efficacia comunicativa dei dialoghi sono sorte tuttavia dal pastiche linguistico, a nostro modesto avviso forzato, della sceneggiatura: inglese, giapponese, taiwanese e spagnolo si alternano in maniera abbastanza disordinata, e a volte restituiscono un'impressione di artificiosità preterintenzionale nel parlato dei personaggi. Viene a volte difficile evincere se, dietro la scelta dell'una piuttosto che dell'altra lingua, vi sia l'intenzione da parte della protagonista di avvicinarsi a Ōshima (utilizzando il giapponese, lingua madre del partner) o di mascherarsi (preferendo il mandarino, o, ancor più, l'inglese, che pure sembra essere la lingua veicolare del rapporto). La pronuncia e la velocità dell'eloquio della Ngan si rivelano forse inadeguati alla situazione descritta nel film, anche tenendo conto del fatto che la varietà linguistica dei dialoghi sarebbe dovuta risultare, nelle intenzioni del regista, funzionale alla resa dell'incomunicabilità.
La scenografia, affascinante per quel che riguarda il lato naturalistico, è sorprendentemente "girata in casa", perché l'esotica "Bomba del Corazon", ai confini del continente sudamericano, è in realtà resa eccellentemente dal paesaggio taiwanese. Il comparto audio sottolinea, senza eccessivo pathos, il tono drammatico della vicenda.
In ultima analisi, il regista Wu Mi-sen, reduce dalle esperienze di Fluffy Rhapsody e Drop Me a Cat, ripropone un film onirico ed ipnotico, in cui la frammentazione del linguaggio cinematografico corrisponde a quella dell'identità dei personaggi, e la parola diviene strumento d'inganno e disorientamento, oltre che di straniamento culturale, consumato in un paesaggio ai limiti dell'immaginario, un'isola che "potrebbe non esistere".
Proprio per il suo carattere estremamente sperimentale, il film, risalente al 2006, è approdato alla distribuzione commerciale solo un anno dopo esser stato ultimato, e non semplice è stata anche la sua diffusione presso i circuiti cinematografici stranieri, all'interno di kermesse europee e americane (citiamo qui il San Francisco International Film Festival).