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Hyakkimaru

Volumi letti: 1/3 --- Voto 10
E’ sicuramente molto facile rimanere conquistati dall’incredibile bellezza di Levius.
Sarà forse per il tratto poetico-malinconico di Haruhisa Nakata che si nutre delle dissonanze nell’incontro tra figure, cose, paesaggi ora a fuoco ora solo accennati.
O forse per il lento incedere del racconto, capace di indagare, al pari di un romanzo in prosa, fatti circostanze e personaggi in maniera quasi casuale, raccogliendone i pochi frammenti nei dialoghi e nei gesti dei protagonisti.
Ma quello che non si coglie attraverso un godimento puramente visivo, potrà invece definitivamente conquistare attraverso un’indagine più approfondita delle dinamiche che si muovono dietro le vicende del giovane Levius Cromwell.
A cominciare dal suo habitat narrativo, il XIX secolo di una ipotetica nuova era in cui il romanticismo dell’età vittoriana sembra essere stato sopraffatto da una violenta esplosione tecnologica, capace di sancire la vittoria del capitale sulla rivoluzione d’ottobre solo tentata dal padre del nostro protagonista, il quale, in maniera quasi catarchica, cerca di allontanarne il ricordo attraverso l’esercizio della boxe meccanizzata, sport in cui si affrontano lottatori dotati di protesi meccaniche ed in cui il giovane Cromwell sembra essere assai promettente.
Fondamentale la figura della nonna paterna, presso cui Levius, ormai orfano di padre e con una madre bloccata in coma in un letto di ospedale, vive. Questa sembra simboleggiare lo spirito dei tempi andati, un avatar attraverso cui parlano i venti, le macchine, i gatti, una sorta di daemonium socratico di un’epoca che non ha avuto il suo normale corso evolutivo, violentata da una rivoluzione industriale capace di pervertire la società tutta in un abbraccio diabolico, in cui poter comprare la forza col denaro, cancellando l’umanità di un dolce ragazzino destinato a divenire un diavolo, specchio dei suoi tempi, riflesso del nostro mondo.
Per ora solo un primo numero, ma che numero.


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Eretria90

Volumi letti: 3/3 --- Voto 5,5
Afferri uno dei tre volumetti del primo atto della storia di Levius, il sofferente ma forte protagonista di questa storia. Sfogli le pagine e ti accorgi con stupore che la lettura è all'occidentale. Del resto si scoprono ben presto i profumi di una storia che di orientale ha ben poco, se non l'autore, Haruhisa Nakata.
Il tratto desta un secondo attimo di stupore nella sua originalità e nel tratto vorticoso, che crea riccioli nei non ben definiti profili dei personaggi, soddisfando a livello visivo quel che basta a prima occhiata. Purtroppo tale indefinitezza e imperfezione è accentuata, creando un senso di confusione, nelle scene di lotta dove non se ne comprendono le parti coinvolte, spaesando il lettore.
La storia di Levius, ragazzo reduce di guerra e tristemente orfano, inizia quando a prendersene cura sarà suo zio Zack. Un uomo che esce fuori dalla sua tana di cinismo e menfreghismo per affezionarsi a questo pragmatico ragazzo attratto dal mondo della box meccanica al fine di avvicinarsi allo spirito di sua madre, ormai in stato vegetativo. Attraverso il dolore fisico Levius si riconnette ai suoi desideri, guarendo ciò che è il dolore della sua anima. Un nuovo motivo per combattere con grinta e tenacia subentra quando incontra un nemico, il cui volto è più tormentato del proprio. La trama si infittisce di intrighi di potere e artifici politici, tutti raccontati e mai spinti narrativamente se non attraverso dialoghi. Infatti, per il calderone ben costruito, tre volumi risultano miseri e scarnamente illustrativi. Questa sembra una storia nella quale l'autore abbia creduto troppo poco, spingendola appena nei limiti del riassumibile, non avendo il coraggio di costruirla in maniera adeguata da rendere avvincente ogni singola scena, che purtroppo giunge in molte pagine a farsi leggere con poco ardore.
Levius, primo atto, ha un suo seguito, pubblicato in Italia nel 2017. Poiché la storia di base pullula di micro storie acerbe che compongono la società distopica in cui il pugilato meccanico ha molte risorse narrative da sfruttare. Peccato non crederci abbastanza.