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Inutile negarlo: "Evangelion" è una serie che, nel bene o nel male, si è imposta come pietra miliare nella storia dell'animazione.
La trama fantascientifico-apocalittica, con continui riferimenti alla cabala e alla mitologia ebraico-cristiana, è ben congenata e si fa notare per una complessità che può esasperare lo spettatore meno paziente. Il thrilling diventa colonna portante, e ogni volta che a un interrogativo viene data risposta ne compaiono altri sempre più incomprensibili. Termini come "Pergamene del Mar Morto", "Progetto per il Perfezionamento dell'Uomo", "Seele", "AT Field", "Adam", "Lilith", "Lancia di Longinus" accompagnano di continuo lo spettatore senza che a molti venga associato neppure alla fine un significato chiaro e univoco.
Il finale è sotto molti punti di vista incompleto, e sicuramente è la parte della serie che più può deludere lo spettatore medio. Non si può però negare il suo grande impatto, anche a livello emotivo. Tant'è vero che gli ultimi minuti si sono guadagnati perfino un manga "spin off", cosa piuttosto inconsueta nell'editoria del fumetto giapponese.
I personaggi hanno una caratterizzazione articolata e problematica, tanto che nessuno pare privo di punti deboli. A partire dall'insicuro Shinji, protagonista che è anche emblema della mancanza di fiducia in se stessi e negli altri, fino ad arrivare a Rei, Asuka, Misato, e via via tutti gli altri, ognuno con gli spettri di una personalità che, in certi casi, rasenta la psicosi.
Passiamo quindi al lato tecnico dell'opera, sicuramente il più controverso: a causa della mancanza di tempo e fondi occorsa a metà della lavorazione il regista Hideaki Anno si è dovuto inventare una narrazione che per la sua inconsueta forza, basata più sulla psicanalisi dei protagonisti che sul racconto degli eventi, si è meritata l'appellativo di "innovativa". Scene ripetute, scene statiche ma a colorazione invertita, montaggio frenetico che ricorda un refuso, graffi, segni, scritte senza senso, un audio e un doppiaggio ossessivo: il tutto diventa un flusso di coscienza che ci fa penetrare nei pensieri dei personaggi come mai nessun anime era mai riuscito a far prima.
Il problema è: si tratta davvero di un risultato voluto? O non è più frutto di un caso fortuito? Lo stesso regista ha ammesso che, se avesse avuto a disposizione più denaro e più tempo avrebbe certamente realizzato la seconda metà della serie in maniera più tradizionale, sul modello della pur ottima prima metà. Si può davvero, quindi, parlare di "innovazione"?
Per quel che riguarda il comparto audio siamo davanti a un lavoro efficace, seppur con qualche sbavatura (specie per quanto riguarda gli effetti sonori). Tra i temi principali meritano menzione "The Beast" (I e II), "Thanatos", "Angel Attack" e "Both of you, dance like you want to win!" (su cui è costruita la spettacolare scena finale di combattimento dell'episodio 9). Notevoli alcuni inserti tratti dal repertorio classico (da brividi l'"Halleluja" di Haendel dell'episodio 22 e l'"Inno alla gioia" di Beethoven dell'episodio 24). Interessanti anche le sigle, con particolare attenzione alla finale "Fly me to the moon", sempreverde, realizzata in molte differenti versioni.
Concludo dicendo che l'opera merita di certo una visione, anche solo per cultura personale (è inconcepibile che chi si dica "appassionato di anime" non lo conosca). Tuttavia ritengo che giudizi entusiastici siano dettati più da una moda che da un reale valore. Splendida serie, non lo metto in dubbio: ma c'è chi, con meno clamore e più garbo, è riuscito comunque a creare capolavori. Un "otto" mi sembra adeguato.