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Come giudicare una dozzina di episodi all'insegna dei più disparati temi, immersa più e più volte nell'esagerazione e nell'imperscrutabilità? In altre parole, si parla di una serie con un piede nel "bel lavoro" e l'altro nel cestino dei rifiuti.

Scavando nelle intenzioni più sbiadite di "Kakumeiki Valvrave", il semplice piacere di una visione spassosa viene meno di fronte all'ampiezza contenutistica. Viaggi nel tempo, spazio siderale, scambio d'identità, stupro, vampiri, nazione indipendente, rivoluzione, robottoni, anzi, Valvrave. Un mix brillante, fin troppo ingarbugliato, che si slega e riavvolge nelle vicende di Haruto e dei suoi compagni, i quali bazzicano e studiano nella zona neutrale/indipendente di JIOR, una porzione di terreno favorevole alla vita che naviga nello spazio grazie all'ausilio della tecnologia controllata dall'uomo, in un futuro la cui locazione temporale è difficilmente distinguibile, poiché definita "Anno 71 del Nuovo Calendario".

"Kakumeiki Valvrave" vede il proprio esordio nella primavera 2013, una serie senza dubbio affiancata (e fiaccata) da Giganti dell'animazione - in tutti i sensi - che fanno ombra sulla diffusione equa dei titoli, appunto, primaverili. Parlando in questi termini, a dispetto delle proprie e modeste dimensioni, "Valvrave the Liberator" si presenta come un titolo prestante, che non vuole lasciare spazio a leggerezze, bensì vuole lasciare grandi fette di trama e di rivelazioni.

"Kakumeiki Valvrave" è uno di quei titoli la cui prestazione tecnica si posiziona senza dubbio alcuno sopra la media. Disaminando velocemente: i tratti gentili dei volti e la ricercatezza della natura grafica - probabilmente molto usata è la tecnica dell'acquerello - addolciscono la visione e trascinano lo spettatore verso sé; così le musiche, assieme alle sigle cariche di energia, esplosive e propizie al precipitare degli avvenimenti, riescono nel coinvolgimento. I fondali e le battaglie riescono a esacerbare gli animi degli avidi di azione, tuttavia nell'indagine minuziosa e critica risultano ripetitivi e anonimi, eccezione fatta per i colori mirabolanti e sempre sorprendenti.
Tra le variopinte battaglie e le scintille dei robottoni, si scorge il riverbero dei personaggi, che, episodio per episodio, si lascia andare a un diverso colore. Se c'è infatti un aspetto curioso in questa serie, è sicuramente quello della propria capacità di vestirsi e rivestirsi, accogliendo il perfetto binomio che si può donare a uno spettatore: tensione e versatilità.

Bisogna, in secondo luogo, liberare la serie dalle numerose e inutili accuse di plagio: un robot gigante è tale, ed è normale che sia simile ad altri appartenenti a famosi titoli dell'animazione nipponica passata. Così come le basi della sceneggiatura e della trama non possono che assomigliarsi, facendo parte di un genere che andrebbe considerato "subgenere", poiché davvero specifico. Il loro sviluppo, invece, è quello che va osservato. Inoltre, alcuni degli elementi apparentemente riciclati e rivisitati sono evidenti riferimenti, da accogliere con un occhio più nostalgico che "inquisitore".
Curiosi anche i riferimenti al numero "666", propinati attraverso gli accostamenti alla natura quasi demoniaca del Valvrave Unità01.

Costruire, più che seguire, l'avvicendarsi degli eventi e i loro collegamenti è lavoro palesemente complicato: la serie fa sfoggio di questo grande "muro di trama" composto da innumerevoli tasselli, vantandosi del modo in cui questi sono stati inseriti, e presentandoli con un plot twist gradevole e arguto. Probabilmente, la chiave vincente per un minestrone del genere è esattamente quella di saper gestire l'enorme mole di carne buttata sulla brace, poiché a conclusione del cerchio è grande la soddisfazione dello spettatore di fronte ai colpi di scena, alle deduzioni, ai sillogismi e ai ragionamenti mancati.

"Valvrave the Liberator" è proprio questo, un continuo ribaltarsi di situazioni che s'interseca con l'ideale di rivoluzione portato avanti da un nucleo tanto giovane quanto inconsapevole. Affascinante, stupido, esagerato: è esattamente il giudizio che ci si aspetta di dare alle azioni di quattordicenni in rivolta, in perpetuo pericolo, lontani dalle famiglie, ma vicini a cose molto più grandi di loro, anche in senso meno metaforico.
E Rukino-san lo sa bene.