Versailles no Bara Movie
Dopo 50 anni, le porte di Versailles si riaprono per farci rivivere quei fatidici momenti che hanno cambiato una nazione, i suoi abitanti e la Storia.
Ma in realtà questa era, ed è ancora, una storia di appassionanti tormenti che affliggono tutti i protagonisti, costretti ognuno ad agire secondo un ruolo specifico in quel macrocosmo perché obbligati da prospettive sociali, politiche o personali dettate dai più sentiti sentimenti di egoismo, disperazione, fedeltà e onore, tutti riconducenti all'unico e solo motore di ogni azione, l'Amore. Questo ci aveva fatto appassionare alla storia non solo dei Reali di Francia e della loro caduta, ma anche di individui appositamente inventati per esplorare in modo ancora più ampio e totale quelle atmosfere e le conseguenze che ne derivano su più piani, dai più elevati ai più intimi.
E nel rivivere nuovamente tutto ciò, una nuova luce risplende, in tutti i sensi, grazie all'operato dello Studio Mappa, che sfruttando i suoi ottimi mezzi per rinfrescare l'immortale classico di Riyoko Ikeda in una chiave più moderna, ma sempre fedele al titolo originale ne celebra i momenti salienti e le sensazioni alla base ... o almeno, questo doveva essere teoricamente l'intento.
So bene che bisognerebbe cercare di limitare il più possibile i paragoni con le fonti originali, ma con casi come quello di Lady Oscar risulta quasi inevitabile, dovendo partire con quello che è il parallelismo più ovvio: la serie anime in quanto tale beneficiava di una maggiore completezza in termini di durata e soprattutto evoluzione dei personaggi, dei rapporti tra di essi e col mondo che li avvolge e imprigiona. Con a malapena due ore, era chiaro che il lungometraggio avrebbe dovuto impostare la sua centralità su un tema specifico, e quindi si è virato sugli aspetti più apprezzati dal pubblico, ovvero il Romanticismo a cui s'aggiunge a poco a poco un flebile ritratto della questione socio-politica dell'epoca, in particolare il malcontento cittadino. Questo non ha però impedito al film di sacrificare elementi fondamentali per comprendere fino in fondo questi dilemmi, a cominciare dal più evidente: l'avere una protagonista donna costretta a crescere e agire come uomo, che qui viene introdotto con più evidenza a più di 30 minuti dopo l'incipit, ma risultando comunque sempre troppo semplificato nell'insieme generale.
Dall'inizio infatti l'attenzione è focalizzata sulla neo-Delfina di Francia, e sulla sua appassionata relazione con Fersen, realizzando un continuo disequilibrio tra la sua narrazione e quella di Oscar, facendo apparire la prima mezz'ora quasi come un veloce pilot di un nuovo adattamento televisivo, per poi passare a un continuo alternarsi di rapidi passaggi temporali che fanno sparire personaggi e situazioni assai rilevanti anche tra quelle del film stesso, come il sopracitato Fersen che dopo la tresca con la Regina e un a dir poco brevissimo e a malapena accennato interesse da parte di Oscar viene praticamente espulso dal film intero, oltre che dalla Francia...
Anche gli altri eventi più legati alla Storia effettiva che dovrebbero segnare maggiormente la crescita di Maria Antonietta risentono dell'estrema velocizzazione (come i vizi per cui sperpera le tasse del regno o il vacuo rapporto col marito) o completamente eliminati, in particolare la faida con la Contessa Du Barry o addirittura lo Scandalo della Collana. E parlando di assenze del tutto insensate, duole affermare che tra queste vi sono anche Rosalie e Bernard, relegati a piccolissimi cameo che effettivamente non incidono poi molto su ciò che il film vuole raccontare, ma finendo anche qui con l'annullare ulteriormente la completezza del percorso di Oscar, essendo loro l'incarnazione della voce della crisi del popolo che si limita a farsi sentire in modo chiaro ma pur sempre basico.
Per quanto riguarda invece gli elementi di vera novità, ovvero il nuovo stile tecnico offerto da Mappa, anch'esso si presenta con le sue limitazioni: preso a sé non ci sarebbe da recriminargli nulla, con un ottimo lavoro di design e illuminazione in particolare, che però da al tutto un look molto più barocco che potrebbe stranire sia i neofiti per il suo "eccesso" di colori e pulizia nei tratti, sia i conoscitori affezionati dell'opera, in quanto pur riprendendo molto più da vicino lo stile del manga che adoperava un look tipicamente shojo con tanto di siparietti caricaturali e comici nei primi numeri, qui mette fin troppo da parte la metà più dark che non veniva celata, ma anzi eccellentemente amplificata nella drammaticità necessaria alla vicenda.
Ma il vero punto che non esito a definire davvero insensato, e che probabilmente mi troverà d'accordo con bene o male tutti, è la componente musicale: e non parlo della colonna sonora, ma di veri e propri momenti cantati interpretati dai doppiatori stessi dei personaggi, risultando semplicemente fuori luogo e dando una forte impressione quasi televisiva, come se fossero le opening ed ending messe insieme nello stesso prodotto; ora, a detta di esperti e appassionati più ferrati di me questo in realtà è un consapevole omaggio all'acclamato adattamento musical realizzato in Giappone ed elogiato tra gli altri dalla Ikeda in persona, ma anche così si rivela agli occhi di un ignorante (nel senso che ignora l'esistenza e influenza di tale spettacolo) come qualcosa troppo legato al contesto giapponese, e comunque per nulla adatto a questo titolo che predilige perlopiù la narrazione più drammatica.
Per quel che riguarda il doppiaggio invece, nulla da recriminare neanche in questo caso, tutti svolgono diligentemente il loro compito, anche se non alla pari delle storiche voci che hanno saputo caratterizzare perfettamente ogni personaggio, a cominciare dalla stessa Oscar con Cinzia de Carolis che sapeva dare quel tono impostato ma naturale al tempo stesso per simboleggiare la dicotomia della protagonista, e che la pur brava Margherita De Risi qui non riesce a offrire usando troppo spesso il suo tono naturale.
Quindi, con dispiacere confermo che il nuovo adattamento de Le rose di Versailles si presenta come un maldestro Bignami che non riesce ad aggiungere niente aldilà di uno stile inadatto al tipo di storia, e che avrebbe magari beneficiato di un budget maggiore per allungarne la durata, o ancora meglio per realizzare una vera e propria trilogia cinematografica.
Ma tutto sommato anche così si potrebbe comunque generare la giusta curiosità per permettere a tutti, vecchi e nuovi lettori/spettatori, di andare a (ri)scoprire il fascino di quelle rose che continuano dopo tutti questi anni a fiorire e incantare con grazia e orgoglio.
Ma in realtà questa era, ed è ancora, una storia di appassionanti tormenti che affliggono tutti i protagonisti, costretti ognuno ad agire secondo un ruolo specifico in quel macrocosmo perché obbligati da prospettive sociali, politiche o personali dettate dai più sentiti sentimenti di egoismo, disperazione, fedeltà e onore, tutti riconducenti all'unico e solo motore di ogni azione, l'Amore. Questo ci aveva fatto appassionare alla storia non solo dei Reali di Francia e della loro caduta, ma anche di individui appositamente inventati per esplorare in modo ancora più ampio e totale quelle atmosfere e le conseguenze che ne derivano su più piani, dai più elevati ai più intimi.
E nel rivivere nuovamente tutto ciò, una nuova luce risplende, in tutti i sensi, grazie all'operato dello Studio Mappa, che sfruttando i suoi ottimi mezzi per rinfrescare l'immortale classico di Riyoko Ikeda in una chiave più moderna, ma sempre fedele al titolo originale ne celebra i momenti salienti e le sensazioni alla base ... o almeno, questo doveva essere teoricamente l'intento.
So bene che bisognerebbe cercare di limitare il più possibile i paragoni con le fonti originali, ma con casi come quello di Lady Oscar risulta quasi inevitabile, dovendo partire con quello che è il parallelismo più ovvio: la serie anime in quanto tale beneficiava di una maggiore completezza in termini di durata e soprattutto evoluzione dei personaggi, dei rapporti tra di essi e col mondo che li avvolge e imprigiona. Con a malapena due ore, era chiaro che il lungometraggio avrebbe dovuto impostare la sua centralità su un tema specifico, e quindi si è virato sugli aspetti più apprezzati dal pubblico, ovvero il Romanticismo a cui s'aggiunge a poco a poco un flebile ritratto della questione socio-politica dell'epoca, in particolare il malcontento cittadino. Questo non ha però impedito al film di sacrificare elementi fondamentali per comprendere fino in fondo questi dilemmi, a cominciare dal più evidente: l'avere una protagonista donna costretta a crescere e agire come uomo, che qui viene introdotto con più evidenza a più di 30 minuti dopo l'incipit, ma risultando comunque sempre troppo semplificato nell'insieme generale.
Dall'inizio infatti l'attenzione è focalizzata sulla neo-Delfina di Francia, e sulla sua appassionata relazione con Fersen, realizzando un continuo disequilibrio tra la sua narrazione e quella di Oscar, facendo apparire la prima mezz'ora quasi come un veloce pilot di un nuovo adattamento televisivo, per poi passare a un continuo alternarsi di rapidi passaggi temporali che fanno sparire personaggi e situazioni assai rilevanti anche tra quelle del film stesso, come il sopracitato Fersen che dopo la tresca con la Regina e un a dir poco brevissimo e a malapena accennato interesse da parte di Oscar viene praticamente espulso dal film intero, oltre che dalla Francia...
Anche gli altri eventi più legati alla Storia effettiva che dovrebbero segnare maggiormente la crescita di Maria Antonietta risentono dell'estrema velocizzazione (come i vizi per cui sperpera le tasse del regno o il vacuo rapporto col marito) o completamente eliminati, in particolare la faida con la Contessa Du Barry o addirittura lo Scandalo della Collana. E parlando di assenze del tutto insensate, duole affermare che tra queste vi sono anche Rosalie e Bernard, relegati a piccolissimi cameo che effettivamente non incidono poi molto su ciò che il film vuole raccontare, ma finendo anche qui con l'annullare ulteriormente la completezza del percorso di Oscar, essendo loro l'incarnazione della voce della crisi del popolo che si limita a farsi sentire in modo chiaro ma pur sempre basico.
Per quanto riguarda invece gli elementi di vera novità, ovvero il nuovo stile tecnico offerto da Mappa, anch'esso si presenta con le sue limitazioni: preso a sé non ci sarebbe da recriminargli nulla, con un ottimo lavoro di design e illuminazione in particolare, che però da al tutto un look molto più barocco che potrebbe stranire sia i neofiti per il suo "eccesso" di colori e pulizia nei tratti, sia i conoscitori affezionati dell'opera, in quanto pur riprendendo molto più da vicino lo stile del manga che adoperava un look tipicamente shojo con tanto di siparietti caricaturali e comici nei primi numeri, qui mette fin troppo da parte la metà più dark che non veniva celata, ma anzi eccellentemente amplificata nella drammaticità necessaria alla vicenda.
Ma il vero punto che non esito a definire davvero insensato, e che probabilmente mi troverà d'accordo con bene o male tutti, è la componente musicale: e non parlo della colonna sonora, ma di veri e propri momenti cantati interpretati dai doppiatori stessi dei personaggi, risultando semplicemente fuori luogo e dando una forte impressione quasi televisiva, come se fossero le opening ed ending messe insieme nello stesso prodotto; ora, a detta di esperti e appassionati più ferrati di me questo in realtà è un consapevole omaggio all'acclamato adattamento musical realizzato in Giappone ed elogiato tra gli altri dalla Ikeda in persona, ma anche così si rivela agli occhi di un ignorante (nel senso che ignora l'esistenza e influenza di tale spettacolo) come qualcosa troppo legato al contesto giapponese, e comunque per nulla adatto a questo titolo che predilige perlopiù la narrazione più drammatica.
Per quel che riguarda il doppiaggio invece, nulla da recriminare neanche in questo caso, tutti svolgono diligentemente il loro compito, anche se non alla pari delle storiche voci che hanno saputo caratterizzare perfettamente ogni personaggio, a cominciare dalla stessa Oscar con Cinzia de Carolis che sapeva dare quel tono impostato ma naturale al tempo stesso per simboleggiare la dicotomia della protagonista, e che la pur brava Margherita De Risi qui non riesce a offrire usando troppo spesso il suo tono naturale.
Quindi, con dispiacere confermo che il nuovo adattamento de Le rose di Versailles si presenta come un maldestro Bignami che non riesce ad aggiungere niente aldilà di uno stile inadatto al tipo di storia, e che avrebbe magari beneficiato di un budget maggiore per allungarne la durata, o ancora meglio per realizzare una vera e propria trilogia cinematografica.
Ma tutto sommato anche così si potrebbe comunque generare la giusta curiosità per permettere a tutti, vecchi e nuovi lettori/spettatori, di andare a (ri)scoprire il fascino di quelle rose che continuano dopo tutti questi anni a fiorire e incantare con grazia e orgoglio.
"La fretta genera l'errore in ogni cosa" (Erodoto)
La mia prima impressione a caldo dopo la visione dell'ultimo tentativo di trasposizione del celeberrimo manga "Le Rose di Versailles" di Riyoko Ikeda è la perplessità. Quasi impossibile astrarsi da qualsiasi confronto con la serie di 40 episodi di Nagahara e Dezaki degli anni 70 del secolo scorso, ma anche dal monumentale manga della Ikeda.
Di primo acchito mi è sembrato perlomeno insolito pensare di riuscire a sintetizzare in modo artisticamente valido e riuscito 14 volumi dell'opera senza scadere nella superficialità frettolosa di rappresentare solo i momenti salienti a scapito di molti personaggi e parti significative della trama.
Sforzandomi di omettere il confronto con la serie anime (altrimenti rischierei di formulare un giudizio ampiamente non lusinghiero), il film dello studio Mappa sotto la regia di Ai Yoshimura ("Oregairu", "Ano Hana", ecc.), sceneggiato da Tomoko Komparu con character designer Mariko Oka a mio avviso ha osato, e anche parecchio, cercando comunque di restare integralmente fedele alla storia del manga, che abbraccia un arco temporale di almeno trent'anni densi di avvenimenti di un periodo divenuto una pietra miliare della storia dell'umanità.
Riconosco alle autrici e alla regista il coraggio di provare a dare a "Gekijō Versailles no Bara" un taglio diverso (chissà se fosse il migliore possibile per un'opera della durata di due ore scarse?), concentrando la trama quasi esclusivamente sull'aspetto romance e, soprattutto, sui due personaggi cardine della storia: Oscar e Maria Antonietta. A discapito di tutto il resto nel senso più ampio del termine, utilizzando l'escamotage del pseudo-musical con canzoncine orecchiabili come artifizio di raccordo tra momenti estremamente diversi e per esaltare i punti della trama più rilevanti.
"Versailles no bara" in quest'ultimo remake assume i connotati di un melodramma shoujio in cui il leit motiv che spadroneggia senza limiti in tutta l'opera è l'amore romantico che come nel manga (e nella sua trasposizione di Nagahara e Dezaki) resta senza un lieto fine, spazzato dai tumultuosi eventi storici che scombineranno non solo le vite dei protagonisti ma la storia dell'Europa.
Conoscendo la storia di "Gekijō Versailles no Bara" dalla serie anime (rivista tra l'altro abbastanza recentemente), questo film omette di trattare i temi più impegnati e peculiari dell'opera originaria e della sua prima trasposizione.
In primis, su Oscar il film rinuncia alla rappresentazione della sua contraddizione identitaria di genere: nel film appare come una sorta di eroina integerrima molto idealizzata e in quei pochi momenti di fragilità che vive, vengono rappresentati come se fosse una tenera pulzella dalla emozione e relativa lacrima facile. Nel film si perde e si annacqua la fluidità del suo percorso di crescita e di cambiamento sia verso se stessa sia verso il mondo che la circonda (a sua volta in profondo cambiamento) adottando una narrazione "a scatti" o "a gradini" che tra una canzone e l'altra salta letteralmente "di palo in frasca". Su Oscar sembra essere del tutto assente quella tensione emotiva che rendeva il personaggio un unicum nel panorama degli anime, una sorta di manifesto latu sensu della lotta all'affermazione del proprio essere contro i pregiudizi, le convenzioni e le imposizioni esogene, in un contesto complesso e contraddittorio come quello della decadente società aristocratica frequentatrice della corte dei regnanti di Francia sull'orlo dell'abisso della rivoluzione da parte del cosiddetto "terzo stato".
L'ambiguità e l'androginia imposta che caratterizza il personaggio "classico" di Oscar, una sorta di "questione irrisolta e antitetica" tra la sua interiorità (identità) ed esteriorità (il ruolo imposto), che si manifestava anche nel suo voler essere fedele al dovere di soldato e all'autorità in contrapposizione con la critica morale alle vessazioni cui era sottoposto il popolo, in questo film sono del tutto assenti e di conseguenza appiattisce e trasforma il personaggio in una delle tante macchietta shōjo in balia dei sentimenti, al pari dell'altra protagonista: Maria Antonietta.
Pur essendo quest'ultima rappresentata come una ragazzina (e poi giovane adulta) frivola e capricciosa, perde a sua volta il senso del dramma della sua triste esistenza caratterizzata dall'imposizione per ragion di stato del matrimonio con il principe dell'erede al trono di Francia e il dover assumersi delle responsabilità insostenibili per una ragazzina minorenne trovatasi a diventare il punto di riferimento di una nazione egemone. Parimenti si potrebbero scrivere ulteriori considerazioni in merito al rapporto di profonda amicizia che si instaura tra loro durante la loro crescita che nel film sembra più o meno velatamente assumere i toni di una sorta di un melodramma superficiale di dipendenza immatura.
"Gekijō Versailles no Bara" è un'opera "segno dei tempi"
Sono consapevole che su questo punto rischierò qualche critica, ma privando la trama dei riferimenti alla tridimensionalità dei personaggi e soprattutto anche al contesto storico e di ogni tensione ideologica che contraddistingueva l'opera originale, diventa un'opera estetica e teatrale, a tratti anche soap opera. Quasi una metafora dei giorni nostri in cui l'esasperazione del virtuale sul reale porta a far prevalere l'individualità sul contesto e a rappresentare una realtà superficiale di comodo, artefatta per camuffare o omettere più o meno artatamente il significato un po' rivoluzionario e anche di denuncia dell'opera originaria.
Di conseguenza l'aspetto tecnico viene privilegiato e il risultato è sotto gli occhi dello spettatore: colori pastello, sbarluccicosi, occhi coi brillantini scintillanti, sfondi dettagliati, cura piuttosto maniacale degli ambienti, atmosfere sempre edulcorate, sospiri piagnucolosi, ecc.
Concludendo, visto l'imperante revisionismo in atto a tutti i livelli a livello planetario, potrei provocatoriamente sostenere che "Gekijō Versailles no Bara" possa rappresentare un primo tentativo di riscrivere non tanto la storia dell'opera ma privarla del senso e del significato originario rimuovendo ogni istanza di rottura e di critica che ha rappresentato il pregio di tante opere manga e di animazione del passato...
La mia prima impressione a caldo dopo la visione dell'ultimo tentativo di trasposizione del celeberrimo manga "Le Rose di Versailles" di Riyoko Ikeda è la perplessità. Quasi impossibile astrarsi da qualsiasi confronto con la serie di 40 episodi di Nagahara e Dezaki degli anni 70 del secolo scorso, ma anche dal monumentale manga della Ikeda.
Di primo acchito mi è sembrato perlomeno insolito pensare di riuscire a sintetizzare in modo artisticamente valido e riuscito 14 volumi dell'opera senza scadere nella superficialità frettolosa di rappresentare solo i momenti salienti a scapito di molti personaggi e parti significative della trama.
Sforzandomi di omettere il confronto con la serie anime (altrimenti rischierei di formulare un giudizio ampiamente non lusinghiero), il film dello studio Mappa sotto la regia di Ai Yoshimura ("Oregairu", "Ano Hana", ecc.), sceneggiato da Tomoko Komparu con character designer Mariko Oka a mio avviso ha osato, e anche parecchio, cercando comunque di restare integralmente fedele alla storia del manga, che abbraccia un arco temporale di almeno trent'anni densi di avvenimenti di un periodo divenuto una pietra miliare della storia dell'umanità.
Riconosco alle autrici e alla regista il coraggio di provare a dare a "Gekijō Versailles no Bara" un taglio diverso (chissà se fosse il migliore possibile per un'opera della durata di due ore scarse?), concentrando la trama quasi esclusivamente sull'aspetto romance e, soprattutto, sui due personaggi cardine della storia: Oscar e Maria Antonietta. A discapito di tutto il resto nel senso più ampio del termine, utilizzando l'escamotage del pseudo-musical con canzoncine orecchiabili come artifizio di raccordo tra momenti estremamente diversi e per esaltare i punti della trama più rilevanti.
"Versailles no bara" in quest'ultimo remake assume i connotati di un melodramma shoujio in cui il leit motiv che spadroneggia senza limiti in tutta l'opera è l'amore romantico che come nel manga (e nella sua trasposizione di Nagahara e Dezaki) resta senza un lieto fine, spazzato dai tumultuosi eventi storici che scombineranno non solo le vite dei protagonisti ma la storia dell'Europa.
Conoscendo la storia di "Gekijō Versailles no Bara" dalla serie anime (rivista tra l'altro abbastanza recentemente), questo film omette di trattare i temi più impegnati e peculiari dell'opera originaria e della sua prima trasposizione.
In primis, su Oscar il film rinuncia alla rappresentazione della sua contraddizione identitaria di genere: nel film appare come una sorta di eroina integerrima molto idealizzata e in quei pochi momenti di fragilità che vive, vengono rappresentati come se fosse una tenera pulzella dalla emozione e relativa lacrima facile. Nel film si perde e si annacqua la fluidità del suo percorso di crescita e di cambiamento sia verso se stessa sia verso il mondo che la circonda (a sua volta in profondo cambiamento) adottando una narrazione "a scatti" o "a gradini" che tra una canzone e l'altra salta letteralmente "di palo in frasca". Su Oscar sembra essere del tutto assente quella tensione emotiva che rendeva il personaggio un unicum nel panorama degli anime, una sorta di manifesto latu sensu della lotta all'affermazione del proprio essere contro i pregiudizi, le convenzioni e le imposizioni esogene, in un contesto complesso e contraddittorio come quello della decadente società aristocratica frequentatrice della corte dei regnanti di Francia sull'orlo dell'abisso della rivoluzione da parte del cosiddetto "terzo stato".
L'ambiguità e l'androginia imposta che caratterizza il personaggio "classico" di Oscar, una sorta di "questione irrisolta e antitetica" tra la sua interiorità (identità) ed esteriorità (il ruolo imposto), che si manifestava anche nel suo voler essere fedele al dovere di soldato e all'autorità in contrapposizione con la critica morale alle vessazioni cui era sottoposto il popolo, in questo film sono del tutto assenti e di conseguenza appiattisce e trasforma il personaggio in una delle tante macchietta shōjo in balia dei sentimenti, al pari dell'altra protagonista: Maria Antonietta.
Pur essendo quest'ultima rappresentata come una ragazzina (e poi giovane adulta) frivola e capricciosa, perde a sua volta il senso del dramma della sua triste esistenza caratterizzata dall'imposizione per ragion di stato del matrimonio con il principe dell'erede al trono di Francia e il dover assumersi delle responsabilità insostenibili per una ragazzina minorenne trovatasi a diventare il punto di riferimento di una nazione egemone. Parimenti si potrebbero scrivere ulteriori considerazioni in merito al rapporto di profonda amicizia che si instaura tra loro durante la loro crescita che nel film sembra più o meno velatamente assumere i toni di una sorta di un melodramma superficiale di dipendenza immatura.
"Gekijō Versailles no Bara" è un'opera "segno dei tempi"
Sono consapevole che su questo punto rischierò qualche critica, ma privando la trama dei riferimenti alla tridimensionalità dei personaggi e soprattutto anche al contesto storico e di ogni tensione ideologica che contraddistingueva l'opera originale, diventa un'opera estetica e teatrale, a tratti anche soap opera. Quasi una metafora dei giorni nostri in cui l'esasperazione del virtuale sul reale porta a far prevalere l'individualità sul contesto e a rappresentare una realtà superficiale di comodo, artefatta per camuffare o omettere più o meno artatamente il significato un po' rivoluzionario e anche di denuncia dell'opera originaria.
Di conseguenza l'aspetto tecnico viene privilegiato e il risultato è sotto gli occhi dello spettatore: colori pastello, sbarluccicosi, occhi coi brillantini scintillanti, sfondi dettagliati, cura piuttosto maniacale degli ambienti, atmosfere sempre edulcorate, sospiri piagnucolosi, ecc.
Concludendo, visto l'imperante revisionismo in atto a tutti i livelli a livello planetario, potrei provocatoriamente sostenere che "Gekijō Versailles no Bara" possa rappresentare un primo tentativo di riscrivere non tanto la storia dell'opera ma privarla del senso e del significato originario rimuovendo ogni istanza di rottura e di critica che ha rappresentato il pregio di tante opere manga e di animazione del passato...