Good Luck
"Good Luck" è un piccolo ebprezioso racconto di anime smarrite in cerca della propria strada.
Shin Adachi firma un film lieve e intenso che, con passo incerto, ci accompagna sul sentiero della ricerca personale, tra sogni sfumati e desideri inappagati. Taro è un documentarista indipendente, timido e insicuro, che vaga nel proprio quotidiano come in un territorio straniero, sospeso tra lo sforzo creativo e il timore di non trovare un senso nel proprio lavoro.
Dopo la proiezione di un suo film, aspramente criticato per mancanza di motivazione e coerenza, il giovane cineasta è ancor più disorientato, ma è la vita stessa, con i suoi incontri inattesi, a offrirgli una nuova opportunità: si tratta di Miki, una giovane attrice un po' stramba e molto estroversa, anche lei in bilico, anche lei in cammino. Due opposti che si riconoscono, due solitudini che si sfiorano e si intrecciano in un'intimità fatta di dialoghi senza filtri, risate improvvise e momenti di vulnerabilità. Girato con uno stile essenziale e realistico, privo di una colonna sonora che possa suggerire emozioni artificiose, "Good Luck" immerge lo spettatore nella verità delle piccole cose. La fotografia, delicata e precisa, dipinge un Giappone inedito e genuino, fatto di angoli nascosti e atmosfere sospese. Il film non cerca di spiegare, non offre soluzioni ma invita semplicemente a camminare accanto ai suoi personaggi, a perdersi e a ritrovarsi con loro. In alcuni momenti si ride, in altri ci si ferma a riflettere, a volte ci si chiede, come loro, "in che direzione stiamo andando?" Ma è proprio in questa sospensione che "Good Luck" trova la sua forza: nella celebrazione della fragilità, nella bellezza dei percorsi incerti, nell'arte sottile dell'accettare la propria incompiutezza. Con sincerità, Adachi firma un film che è insieme appunto di viaggio, confessione e tenera carezza.
Un invito gentile a perdersi, per potersi – forse – ritrovare.
Shin Adachi firma un film lieve e intenso che, con passo incerto, ci accompagna sul sentiero della ricerca personale, tra sogni sfumati e desideri inappagati. Taro è un documentarista indipendente, timido e insicuro, che vaga nel proprio quotidiano come in un territorio straniero, sospeso tra lo sforzo creativo e il timore di non trovare un senso nel proprio lavoro.
Dopo la proiezione di un suo film, aspramente criticato per mancanza di motivazione e coerenza, il giovane cineasta è ancor più disorientato, ma è la vita stessa, con i suoi incontri inattesi, a offrirgli una nuova opportunità: si tratta di Miki, una giovane attrice un po' stramba e molto estroversa, anche lei in bilico, anche lei in cammino. Due opposti che si riconoscono, due solitudini che si sfiorano e si intrecciano in un'intimità fatta di dialoghi senza filtri, risate improvvise e momenti di vulnerabilità. Girato con uno stile essenziale e realistico, privo di una colonna sonora che possa suggerire emozioni artificiose, "Good Luck" immerge lo spettatore nella verità delle piccole cose. La fotografia, delicata e precisa, dipinge un Giappone inedito e genuino, fatto di angoli nascosti e atmosfere sospese. Il film non cerca di spiegare, non offre soluzioni ma invita semplicemente a camminare accanto ai suoi personaggi, a perdersi e a ritrovarsi con loro. In alcuni momenti si ride, in altri ci si ferma a riflettere, a volte ci si chiede, come loro, "in che direzione stiamo andando?" Ma è proprio in questa sospensione che "Good Luck" trova la sua forza: nella celebrazione della fragilità, nella bellezza dei percorsi incerti, nell'arte sottile dell'accettare la propria incompiutezza. Con sincerità, Adachi firma un film che è insieme appunto di viaggio, confessione e tenera carezza.
Un invito gentile a perdersi, per potersi – forse – ritrovare.
Taro, un giovane regista, è spinto dalla sua ragazza a presenziare a un festival di cortometraggi, in cui ha vinto una “menzione”. Qui incontra Miki: un’esuberante sconosciuta che scopriremo in seguito essere anche un'attrice. I due, dopo alcuni incontri casuali finiranno per viaggiare insieme per tutto il fine settimana, visitando una località nelle vicinanze; tra paesaggi rurali, saune e riflessioni sulla vita e sull'esistenza.
Shin Adachi, il regista, imbastisce un racconto, forse semi-autobiografico, che non ha bisogno di grandi svolte, ma che trova forza proprio nella semplicità e nella naturalezza della situazioni e dei gesti con cui è raccontato.
Bella la fotografia, composta da inquadrature molto eterogenee. Si alternano camere a mano, fisse, e campi lunghissimi che danno respiro e senso di distanza. Il tutto contribuisce a restituire un'atmosfera di sospensione che è un po' quella che vivono i due personaggi principali.
Ma l'opera sa anche, quando vuole, spiazzare con intelligenza: molto bello il momento in cui la narrazione si “rompe” e Yuki, la fidanzata, entra nella casa sull'albero dove Taro e Miki stanno flirtando nel cuore della notte. Una rottura della quarta parete sì, ma anche un’irruzione della realtà nel fragile equilibrio di questa dimensione in un certo senso“sospesa”.
Sullo stesso piano anche la promessa finale, un appuntamento affidato quasi al caso, ma pieno di possibilità, e che riflette perfettamente il senso dell'incontro inaspettato che ha dato corpo e sostanza al film.
Shin Adachi, il regista, imbastisce un racconto, forse semi-autobiografico, che non ha bisogno di grandi svolte, ma che trova forza proprio nella semplicità e nella naturalezza della situazioni e dei gesti con cui è raccontato.
Bella la fotografia, composta da inquadrature molto eterogenee. Si alternano camere a mano, fisse, e campi lunghissimi che danno respiro e senso di distanza. Il tutto contribuisce a restituire un'atmosfera di sospensione che è un po' quella che vivono i due personaggi principali.
Ma l'opera sa anche, quando vuole, spiazzare con intelligenza: molto bello il momento in cui la narrazione si “rompe” e Yuki, la fidanzata, entra nella casa sull'albero dove Taro e Miki stanno flirtando nel cuore della notte. Una rottura della quarta parete sì, ma anche un’irruzione della realtà nel fragile equilibrio di questa dimensione in un certo senso“sospesa”.
Sullo stesso piano anche la promessa finale, un appuntamento affidato quasi al caso, ma pieno di possibilità, e che riflette perfettamente il senso dell'incontro inaspettato che ha dato corpo e sostanza al film.