Quinto appuntamento con la rubrica mensile atta a presentare i migliori anime degli ultimi anni secondo l'utenza di AnimeClick.it. Ogni notizia prenderà in esame un'annata dell'ultima decade a partire dal 2009 (per il 2010 invece è ancora troppo presto, è necessario far passare del tempo in modo da far accumulare un numero sufficiente di recensioni). A corredo della classifica dei primi 30 titoli verrà presentata una rassegna di recensioni di alcuni dei titoli della classifica, partendo dalle prime tre posizioni del podio e poi a scalare, cercando di evitare i grandi blockbuster che non hanno certo bisogno di pubblicità. In chiusura d'articolo verranno infine presentate brevemente le recensioni apparse in vetrina ad opera dello staff del sito.

Buona lettura!
1 Honey & Clover* 8,826
2 Basilisk** 8,725
3 Aria the Animation 8,654
4 Eureka Seven 8,625
5 Blood+ 8,548
6 Il grande sogno di Maya (2005) 8,500
7 Gaiking Legend of Daiku-Maryu 8,444
8 Mushiking: Il guardiano della foresta 8,375
8 Mushishi 8,375
10 Mahou Shoujo Lyrical Nanoha A`s 8,333
11 My ZHiME 8,278
12 Paradise Kiss 8,259
13 Suzuka 8,250
14 Loveless 8,217
15 Air - TV 8,209
16 Ichigo Mashimaro 8,182
17 Sugar Sugar Rune 8,167
18 Iriya no sora - UFO no natsu 8,000
18 Rozen Maiden - Traumend 8,000
18 Konjiki no Gash Bell!! 8,000
18 Guyver the Bioboosted Armor 8,000
18 Solty Rei 8,000
23 Erementar Gerad 7,941
23 Noein - Mou hitori no kimi e 7,941
25 Pokemon - Lucario e il mistero di Mew 7,909
25 Shuffle! 7,909
27 Idaten Jump 7,889
27 Ginga densetsu WEED 7,889
27 Capeta 7,889
30 Eyeshield 21 7,875


* 32° posto assoluto
** 46° posto assoluto

>>Tutti gli anime del 2005<<


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Honey & Clover racconta il dramma del "divenire adulti" di un gruppo di giovani universitari, che devono abbandonare il loro essere bambini e adolescenti senza dimenticare di esserlo stati e senza perdere quei tratti che fanno ineluttabilmente parte del loro carattere, a prescindere dall'età. Il bello è che la serie ci riesce il brutto, e il ventiquattresimo episodio non è la fine e purtroppo questo crea una certa ansia (niente panico ci sono altri 13 episodi di H&C 2) nella continuità. Certo c'è il seguito ma, anche consci di ciò, sarebbe a mio avviso stato utile dare un punto fermo più forte alla fine di questa prima serie, ed è questa la ragione che m'impedisce di dare più di 8.

La trama non è niente d'incredibile e proprio per questo è "incredibile": prende uno spaccato di vita di cinque ragazzi, con le figure che li circondano, e li segue nelle loro evoluzioni. La partenza è lenta, macchinosa e forse tediante, perch si deve angolare il punto di vista dello spettatore, far capire i legami già esistenti nei personaggi e in che momento si trovano nella loro crescita interiore,. Tutti sono alle prese con la guerra del diventare grandi, ma tutti in modo diverso, con i loro caratteri aventi punti di forza e debolezza.
Ho trovato interessante e piacevole l'idea di comporre un gruppo di giovani adulti eterogeneo. C'è Hagu, la piccola artista geniale che fatica a essere compresa proprio a causa del suo modo speciale di vedere il mondo. C'è Yamato, una ragazza dall'animo gentile, piena di dubbi e incertezze, ma con capacità e forza d'animo non indifferenti - una persona normale a confronto con la vita, diciamo così. C'è Mayama, il tipico razionale che non soffoca le emozioni, ma teme il confronto con esse e cerca scappatoie, senza però tirarsi indietro dall'effettivo confronto con la vita. C'è poi Takemoto, il tipico confuso che "non sa cosa fare" e deve cercare, e il tempo di diventare adulto lo incalza e lo confonde. E infine c'è Morit,: un'altra forma di giovane geniale che però proprio per il suo carattere eccentrico, estroverso e unico tende a a isolarsi dagli altri, per cui spesso deve combattere per riavvicinarsi agli altri e ha dovuto creare una maschera irresponsabile ed esilarante.

A questi cinque si uniscono le persone che osservano la crescita di questi ragazzi nel passaggio alla fase adulta, e anche se la narrazione segue il punto di vista dei ragazzi (soprattutto quella di Takemoto) si vede come spesso con gli incipit dei "già adulti" cambino le prospettive. Tutto ciò fa riflettere su come si cammini per questa strada psicologica, che anche nella realtà esiste; una strada dove a seconda di chi o cosa incontri cambierà ciò che si diventerà in futuro.
Honey & Clover è un anime profondo, la storia nella sua semplicità è complessa perché, invece di essere presentate situazioni fuori dal mondo, vengono presentate situazioni realistiche, quasi credibili, eccezion fatta per i due geni, che giustamente vanno su binari personali, come di fatto accade anche nella realtà. Non c'è il buonismo gratuito, la vita non viene addolcita perché è una finzione; invece è raccontata con fare asciutto e malinconico, ed è difficile accettare la razionalità degli adulti quando, per esempio, si è innamorati e la propria età impone di essere logici, non sconsiderati, sebbene si vorrebbe tanto essere sconsiderati.

E' una serie ben fatta. E' questa la mia valutazione detta in breve: quella malinconia che si prova nel chiaro scuro del "diventare grandi" è perfettamente resa, come i toni agrodolci della gioia di essere amici e diventare adulti insieme e della tristezza che le cose cambiano, le persona cambiano e anche i sentimenti cambiano.
Le musiche non sono niente di eccelso, ma sono idonee e appropriate; il tratto del disegno è pulito, niente di pretenzioso. Do come nota positiva il fatto che l'aspetto dei protagonisti non sia stupendo, anzi, sono resi "normali", persone con aspetti non sovrumani, nella media.
Senza dubbio Honey & Clover è un anime che consiglio, anche se ovviamente impone la visione della seconda serie; come ho detto prima non c'è una fine per ora nella prima serie, ma una preparazione "del terreno" emotivo e psicologico dei personaggi.


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Basilisk Kouga Ninpou Chou (I segreti mortali dei ninja) si presenta bene, benissimo, forse in modo anche troppo esplosivo. Ne risente nel proseguo, e ne parlerò nel proseguo. In ogni caso, stavo dicendo che l’inizio è straordinariamente adrenalinico, da spezzare il fiato. L’azione è sciorinata in tutta la sua potenza e procede prepote, assecondata dalla realizzazione tecnica che, per quanto spesso io abbia da ridire in questo senso sul lavoro della Gonzo, è una delle migliori cose uscite da questo studio d’animazione, e stupisce sia per il dettaglio e l’abilità immensa nel ricreare perfettamente l’atmosfera e l’ambientazione del periodo Tokugawa, sia per la cura riservata ai disegni e all’animazione. Oltre al fatto che è obbligatorio sottolineare la fotografia, le luci e i colori per il grado di eccellenza che raggiungono – che è notevole, come del resto notevoli sono le musiche, sigle incluse, cui non si può rivolgere nessun appunto se non tanta ammirazione per la loro bellezza e per le emozioni che veicolano. Attraverso la regia dall’impostazione molto lineare e classica, ma perfettamente bilanciata nell’economia della messa in scena e del periodo storico che ripropone, si scoprono quindi tutte le motivazioni che portarono e che continuano ad alimentare la rivalità centenaria insanabile fra le due famiglie di shinobi (ninjutsu visto sempre in modo molto esoterico e fantastico) Kouga e Iga, e che vanno oltre i confini delle casate, coinvolgendo interessi storici ben più grandi di esse. E che sfoceranno nella tragedia finale che, se a un certo punto diventa anche prevedibile una volta capito l’andazzo della serie, tuttavia non perde l’amarezza per l’epilogo spietato e inesorabile che contiene, e che si lascia dietro un alone di leggenda.

Peccato per la parte centrale, peccato che quasi tutti i colpi di scena avvengano a cascata al principio, eliminando quasi sul nascere la possibilità di approfondimento su alcuni personaggi molto interessanti per psicologia e storia, e che compaiono come meteore splendide, dalla caratterizzazione fulminante, ma troppo fugaci. A metà serie resta una manciata di personaggi su cui soffermarsi abbondantemente, su cui accentrare non solo l’attenzione ma tutto il pathos, che dopo essersi fatto latitante per 6 o 7 episodi ricomincia a gonfiarsi. Però la caratura di questi personaggi è immensa, e le loro vicende e il loro futuro, che riguardino Gennosuke o Kagero o Saemon o Akeginu o Tengen, avvincono inevitabilmente; i loro sentimenti, le loro motivazioni e il loro agire sono dettati da grande profondità, e il chara design molto maturo e ricco contribuisce a dare loro spessore e soprattutto li rende figure credibili e sfaccettate. E la trama rende del pari credibile e appassionante il contesto nel quale queste si muovono – contesto che ricrea magistralmente il fascino vero del Giappone dello shogunato.

Alla fine, sicuramente Basilisk colpisce e non annoia, affronta delle riflessioni e degli spunti piuttosto canonici nel suo genere – che è sia cappa e spada che drammatico – ma ben proposti e non pienamente manifesti, e anzi occorre un minimo di concentrazione per comprendere pienamente il messaggio che trapela, e che in verità è molto tragico e duro. Perché Basilisk è un’opera molto dura e cruda, spesso violenta e cinica, e di certo i buoni sentimenti qui non vincono. Per loro in quell’epoca implacabile e mai sazia di sangue non c’è spazio, anzi proprio attraverso tutta la serie l’impossibilità di una soluzione, la vittoria perenne dell’odio e l’immutabilità del destino atroce sono ribaditi a ogni avvenimento e si avvicinano molto alla concezione del mito delle tragedie greche, di eroi/uomini travolti dagli eventi e che attraversano un fato immutabile. Figure dalla statura leggendaria nel loro patire e nel dolore sconvolgente di cui hanno intrisi la carne e lo spirito.


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L'unico termine che mi viene in mente per definire questa serie è... leggera.
Con questo termine non voglio dire che si tratta di una serie superficiale, da vedere quando ci si vuole rilassare, senza troppe pretese, anzi; Aria è esattamente l'opposto: poetica, dolce, riflessiva; ogni puntata, nella sua semplicità, insegna qualcosa di nuovo, non solo alle undine, ma anche a noi spettatori. Più volte mi sono sorpresa ad annuire e a cercare di serbare nel mio cuore le parole dei personaggi, per farne tesoro.
Aria è una serie leggera perché ci permette di volare: mentre si guardano quei colori così vividi e forti e quei paesaggi, così suggestivi e poetici, mentre si osserva le gondole accarezzare l'acqua di Neo Venezia, sembra quasi che l'anima fluttui anch'essa, complici anche le splendide musiche che fanno da colonna sonora alla serie: dolci, tranquille.
La lentezza con cui scorre la vita su Aqua, il sorriso che accompagna sempre i protagonisti di questa storia, sembrano portare lo spettatore in un mondo magico, quasi onirico.
Particolarmente simpatiche, poi, risultano le espressioni buffe che ogni tanto assumono i personaggi, i tormentoni di altri, le divertenti avventure del presidente Aria e degli altri animali, che riescono a strappare una risata senza tuttavia svegliarti bruscamente dal sogno.


10.0/10
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Ero curioso di vedere cosa riusciva tirare fuori la Production I.G dal soggetto proposto in "Blood the Last Vampire", un film dove è quasi solo l’azione a farla da padrona, ma che offre alcuni spunti e possibili approfondimenti che avrebbero meritato più spazio. Con Blood+ sono stato accontentato e devo ammettere che sono rimasto estremamente soddisfatto da quanto ho visto.

Si tratta di una rivisitazione che mostra una Saya molto più umana ed empatica del personaggio presentatoci nel film. E’ una studentessa quasi normale con una famiglia quasi come tutte le altre. Essendo molto carina ha anche dei ragazzi che le ronzano intorno; insomma, ben altro personaggio rispetto a quello scontroso e brusco di The Last Vampire. E’ anzi timida e insicura, ha paura di soffrire e spera di poter vivere una vita normale, anche se sa che difficilmente sarà così. E infatti dovrà affrontare i terribili chirotteri e avrà un ruolo chiave in macchinazioni che prendono di mira l’intero mondo.
I chirotteri sono esseri che hanno come punto debole proprio il sangue di Saya, per loro un veleno mortale. Ovviamente nemmeno la protagonista è umana, ma è ben diversa da questi esseri. Qual è esattamente il legame che ha con loro?

Senza fare spoiler, dico solo che gli sceneggiatori hanno fatto un ottimo lavoro imbastendo una sceneggiatura complessa e articolata, creando tra l’altro un’ambientazione unica in cui i vampiri sono diversi da tutti quello che avevo visto finora, con la creazione di una struttura interessante, dal grande impatto narrativo (splendida la contrapposizione Saya/Diva e le conseguenze che questa ha) e ben più profonda di tutti i titoli che ultimamente prendono in prestito il termine vampiro più che altro per moda.
I “vampiri” di Blood+ sono ben diversi dei fighetti alla Twilight, e in fondo dei vampiri hanno ben poco, sono più che altro mostri che hanno un’origine e un comportamento che si discostano da quelli a cui siamo abituati con questo termine. E tra l’altro tutto torna, alla fine viene spiegato in modo adeguatamente chiaro chi sia Saya e perché il suo sangue sia così letale per i chirotteri. Le vicende poi coprono un orizzonte molto ampia: si parte dal Giappone e si spazia per tutto il mondo, dalla Russia agli USA, passando dall’Europa. Esse coinvolgono personaggi molto diversi tra loro, e alcuni sono semplici umani che riescono a trovare comunque la forza e la determinazione per affrontare ostacoli e problemi al di fuori della loro portata.
Vengono spesi molti episodi per creare un’adeguata caratterizzazione psicologica dei protagonisti e dei comprimari, tanto che tra il decimo e il ventesimo episodio circa il ritmo narrativo sembra calare un po’ troppo e la serie sembrerebbe perdere un po’ lo smalto che aveva caratterizzato il suo inizio. Ma è solo questione di tempo, Blood+ dopo il ventesimo episodio diventa sempre più interessante e coinvolgente, con diverse trovate interessanti, con molti nuovi personaggi, misteri e momenti drammatici. Nel frattempo passano diversi anni, in un caso gli sceneggiatori ci presentano un vero e proprio nuovo inizio: visti gli anni trascorsi ci ritroviamo con dei personaggi più adulti e maturi di come li avevamo lasciati nell’episodio precedente.

Fra tutte questa cose una menzione la meritano anche gli antagonisti, davvero curati e in grado di escogitare macchinazioni intelligenti e per nulla scontate, vari nel caratteri e complessi come psicologia.

La fine poi è perfetta: non vengono lasciati nodi in sospeso, tutto trova una spiegazione e non ci sono eccessi di buonismo. Tutto finisce come deve finire, senza forzature e, grazie a una bella escalation di tensione, ci troviamo davanti a un puzzle che ormai vede tutti i pezzi ben visibili, che aspettano solo di essere uniti.

Blood+ gode anche di una buona realizzazione tecnica e di una serie di splendide opening e ending.

Nel complesso, lo promuovo a pieni voti: inizia molto bene, poi cala fino al 20° episodio, poi si riprende e prosegue bene per i restanti 30 episodi e chiude alla grande.
Se potete, procuratevelo e guardatelo.


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<b>Attenzione: spoiler qua e la...</b>

Un'operazione decisamente inaspettata, il revamp di Gaiking. Questo marchio, che fu uno degli apripista dell'invasione degli anime robotici in Italia, ebbe un certo seguito qui nello Stivale, mentre in Giappone fu la causa scatenante di una serie di screzi tra la Toei e Go Nagai, col risultato che quest'ultimo non ha più i diritti su questa sua creatura.
La serie animata inevitabilmente risentì di questi problemi, collocandosi qualche gradino al di sotto di mostri sacri del genere come Gundam e Jeeg. Come conseguenza, quando la Toei decise di rilanciare Gaiking fu deciso non di realizzare un remake ma di ripartire da zero, con nuovi personaggi e una nuova trama.

In effetti a guardare quest'opera si ha l'impressione che gli autori si siano ispirati, più che alle classiche serie degli anni '70, a prodotti più recenti come Gear Fighter Dendoh della Sunrise. Questo, naturalmente, va a influire sul target; per fortuna, sia Dendoh che questo Gaiking - Legend Of Daiku-Maryu dimostrano che "target basso" non coincide necessariamente con "infantile". Abbiamo infatti un plot che per quanto semplice non è assolutamente privo di consistenza e di spunti interessanti, nonché personaggi che per quanto ricalchino alcuni stereotipi risultano essere interessanti e dotati di personalità. I colpi di scena naturalmente non mancano, e gli ultimi episodi sono decisamente intensi sotto questo punto di vista, con rivelazioni e rovesciamenti di fronte all'ultimo minuto.

Il comparto tecnico varia dall'accettabile al buono: niente d'incredibile, ma le sequenze d'azione si lasciano guardare con piacere e un paio di sequenze sono ottimamente animate.
Il sonoro a parte qualche passo falso (ad esempio la seconda ED, decisamente brutta) sottolinea ottimamente l'azione ed è un riuscito amalgama tra le musiche degli anime robotici di un tempo e sonorità più attuali: l'esempio più lampante è lo stupendo tema musicale che sottolinea l'entrata in scena di Gaiking The Great che sembra venire direttamente dagli anni '70! Ottima anche l'OP.
Sempre riguardo al sonoro, alla Toei hanno deciso di "scomodare" nientemeno che il grande compositore Antonin Dvorak, con il risultato che un episodio utilizza come musica di sottofondo due delle sue Sinfonie. Niente male!

Se si vogliono cercare difetti, vanno trovati nella narrazione delle vicende: la serie infatti parte un po' lentamente, con le puntate iniziali che mostrano ancora una direzione indecisa, per poi decollare definitivamente dopo una decina di episodi. Menzione di (dis)onore anche per alcuni episodi filler a metà strada, tra cui la famigerata "bilogia" dell'Idol, surreale ma anche decisamente strampalata.

In definitiva una produzione riuscita, con un revamp di Gaiking che brilla di luce propria senza essere né "giovanilista" né schiavo del passato, che per Gaiking sappiamo essere molto burrascoso, raccomandata a coloro ai quali piace il genere e a chi vorrebbe vedere qualcosa di divertente senza doversi applicare troppo.
E' una serie semplice ma non superficiale e con una bella morale di fondo, quella di affidarsi alla propria volontà e non alla forza bruta. Francamente da una serie con target basso non saprei chiedere di meglio.


10.0/10
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Mushishi è l’anima "shinto" di un Giappone tecnologico e futuristico che rimpiange la sua identità spirituale con lacrime di luce chiamate “anime”. Mai nulla nella storia dell’animazione giapponese aveva sfiorato così in profondità lo spirito shinto nipponico, e mi vien da pensare alla Fenice di Tezuka, mentre guardo estasiato, uno dopo l’altro, gli episodi di questa serie. In Mushishi certezze quali il tempo e lo spazio non esistono, sfumano in un costante vortice onirico che parla per sussurri, caldi e cordiali, alle orecchie e agli occhi dello spettatore.

La trama, sottile, galleggia in un vento tiepido che ricorda il Giappone Meiji, parlando di un uomo, Ginko, che vede ed interagisce con spiriti che lui definisce Mushi (in giapponese "insetto"). Ogni cosa ha un’anima, secondo le più antiche credenze nipponiche, così come ogni elemento presente al mondo ha uno spirito che lo protegge e veglia su di lui. Già Miyazaki ne “La città incantata” aveva toccato questo tasto, anche se in modo molto più soft. Mushishi riprende il discorso, lo amplifica, definendo i Mushi come creature primordiali, alla base della vita e non solo, anche della luce, del calore, e di ogni altra umana sensazione. A tratti Mushishi sembra essere un tributo ai grandi animatori e mangaka che in passato tanto hanno parlato di Giappone e spiritualità. Primo fra tutti, Miyazaki, ma anche Takao Yaguchi con il suo Sanpei, Jiro Taniguchi e in misura minore Tezuka e la Takahashi. E deve far riflettere come i più grandi nomi del fumetto nipponico siano così legati alla spiritualità e alla tradizione che il Giappone sembra aver perduto. Chi è allora questo Yuki Urushibara creatore del manga che ha dato il via a questo fenomeno? Un perfetto sconosciuto a quanto pare, che emerge dal marasma di animatori e mangaka per stagliarsi, senza se e senza ma, tra i creatori di qualcosa d’immortale. Mushishi è appena nato ma è già una leggenda. Nel nostro paese, quando era ancora un anime fansubbato di pochi episodi (si parla di tre anni fa), era già un cult. Il merito va a quell’Hiroshi Nagahama che ha animato e diretto la serie, rendendola con le sue scelte artistiche, un prodotto di pregio notevole.

Mushishi è lento come le stagioni, travolgente come i temporali e sa essere sia freddo come un inverno buio, che torrido come un’estate afosa. Tutte queste sensazioni sono trasmesse da due fattori: in primis la trama delle puntate, seducente e mai uguali anche se autocolusive e fini a se stesse. In secondo luogo una grafica tra le più accattivanti mai create, superata, a mio avviso, solo dall’ancora ineguagliato Seirei no Moribito. Il disegno è pulito, senza fronzoli artistici eccessivi ma efficace. Gli sfondi sono pregevoli, dipinti con maestria a regola d’arte. Una luce armoniosa e ben distribuita, si amalgama dallo sfondo ai personaggi. La key animation è ben curata. Impressionanti le musiche, lente, calme, pacate, come il soffio dell’armonica che da il via all’opening.

Ma in sostanza di cosa stiamo parlando? Di un evento a mio avviso, di un prodotto destinato a segnare il passo, che stravolge le trame classiche e non si infila in nessun genere, restando simile solo a se stesso. I Mushi, gli esserini che Ginko vede e con cui interagisce, sono così singolari e unici nel loro genere che difficilmente si possono riassumere col nome di “spiritelli”. In Mushishi quell’anima shinto, insita in ogni giapponese, sfocia in un’opera bella, intelligente, dai toni calmi e riflessivi. Da gustarsi in poltrona con una tazza di tè alla sera, prima di andare a dormire. Dieci.


9.0/10
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Faccio fatica a trovare anche un solo difetto in questa splendida miniserie. Nelle sue linee generali può sembrare a volte una prova generale per Nana, ma ha un fascino tutto suo che a volte si lascia indietro il capolavoro più noto di Yazawa Ai.
Lo svolgimento è molto più compatto e focalizzato: da un lato, se vogliamo, accumula meno tensione emotiva, ma dall’altro risulta più scorrevole, sobrio e coerente. L’arco narrativo, a parte forse il finale un po’ ellittico, è impeccabile.

Veniamo alla qualità del disegno: splendido, niente da dire. I caratteri sono realistici, espressivi, ben tratteggiati, così lontani dalla stilizzazione degli anime mainstream (occhioni smisurati e pedo-vocine), e gli accordi di colore sono sempre azzeccatissimi. Senza parlare, naturalmente, delle tonnellate di lavoro che sono andate nello studio dell’abbigliamento dei personaggi. Non mi interesso di moda né me ne intendo particolarmente, ma so riconoscere le cose belle quando le vedo. La Yazawa ha studiato da stilista e si vede, a tutti i livelli.

La recitazione è un altro autentico toccasana: perfettamente realistica, con voci vere e non orrendamente impostate e un linguaggio che assomiglia al giapponese che si parla davvero. La storia è graziosa e ben concepita, e soprattutto riesce a parlare anche a un pubblico di sesso maschile, purché sia interessato a immedesimarsi nel modo in cui una donna affronta la vita a le sue scelte. È questo il segno che uno shoujo (genere potenzialmente infetto) va al di là delle esigenze di un pubblico di nicchia e trascende il livello della telenovela a cartoni animati. Diciamo pure che è irritante che due dei personaggi vivano rispettivamente in un appartamento art déco e in un castelletto alla francese, ma la cosa resta sullo sfondo, e serve solo a dare un tocco glamour al tema del principe azzurro, che per altri versi è decostruito in modo molto interessante. Un’altra cosa che amo nei lavori della Yazawa è che i personaggi sono a tutto tondo, fanno sesso e vivono in un mondo in cui la carriera e la necessità di mantenersi non sono pure astrazioni morali.

Davvero una grande soddisfazione, in un periodo in cui comincio a non sapere più dove andare a cercare anime di qualità che possano ancora dirmi qualcosa. Promosso a pieni voti.


8.0/10
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Creato da Koji Seo nel 2003, “Suzuka” fu pubblicato su Shonen Magazine, per poi essere serializzato a partire dal 2004 sino al 2007. Parte dei volumi del manga, furono trasposti in anime nel 2005, per un totale di ventisei episodi. La serie animata è ispirata principalmente ai primi settantadue capitoli dell’opera cartacea, discostandosi poi da essa per direttive di produzione e scelte commerciali.
Trasmessa in Giappone su TV Tokyo, Suzuka è un anime ancora inedito in Italia, anche se a mio avviso i presupposti per un'edizione nostrana ci sarebbero tutti, visti i temi che questa serie affronta. L’amore, la tenerezza dell’adolescenza, lo sport e le difficoltà della vita, sono argomenti universali e sui quali non sarà mai stato detto abbastanza.

Da questa breve prefazione, passo adesso all’analisi generale della trama. La storia ruota attorno ad un ragazzo, Akitsuki Yamato (frequentemente chiamato Yamato-kun, in pieno gergo giovanile giapponese), il quale alla fine delle medie, si trasferisce da Hiroshima (suo paese natale) a Tokyo, per frequentare le scuole superiori. La decisione di Yamato, di cambiare scuola e città, è dettata dal suo presentimento di stravolgimento della sua vita dopo aver cambiato aria e conoscenze, con la speranza che qualcosa di grandioso gli possa succedere a breve. Le sue aspettative, non esitano ad avverarsi già dagli inizi del suo soggiorno nella capitale, infatti, passando a visitare la sua nuova scuola, il ragazzo si imbatte in una visione incantevole: Asahina Suzuka, saltatrice in alto e sua futura compagna di scuola. Scombussolato dall’evento, Yamato si incammina verso il dormitorio di sua zia (sarà lì che il ragazzo abiterà durante l’anno scolastico), per scoprire che Suzuka sarà la sua vicina di camera. Da qui inizia una delle storie romantiche più interessanti e controverse che io abbia mai letto e visto. Non aggiungo altro sulla trama, lascio vivo il gusto della curiosità, nei lettori di questa recensione, che avranno voglia di tuffarsi nel mondo di Suzuka.

Soffermiamoci ora, più dettagliatamente, sui personaggi che fanno parte di quest’opera. Il protagonista principale è Yamato Akitsuki, che come abbiamo detto è il perno principale su cui ruota l’intera vicenda; si contraddistingue per la sua ingenuità e il suo carattere espansivo che spesso lo porta a mettersi nei guai. Come la stragrande maggioranza dei ragazzi adolescenti, non è un asso nel rapportarsi con le ragazze, ma la sua bontà d’animo e la sua determinazione sopperiscono al meglio a queste sue mancanze. Stereotipato negli atteggiamenti, ma originale nelle decisioni.
Suzuka Asahina, è la protagonista femminile, colei che da il nome all’opera, quindi un personaggio chiave di tutto il racconto. Dotata di un talento eccezionale nella disciplina del salto con l’asta, Suzuka, si è trasferita a Tokyo per migliorarsi e per gareggiare ad alti livelli nei campionati nazionali. Di indole riservata, Suzuka è una ragazza dai modi freddi e difficilmente interpretabili e per gran parte della giornata si dedica agli allenamenti, quasi come se questi la distraessero da tristi pensieri.
Il loro rapporto emotivo sarà la vera sfida che i due protagonisti, Yamato e Suzuka, dovranno vincere. Tra gli altri personaggi vanno citati, in primis, Honoka Sakurai, una ragazza che ha le idee chiare su cosa e chi le faccia battere forte il cuore e dotata di una insicurezza che le dona caparbietà. Honoka-Chan incarna a pieno la dolcezza e la devozione nei confronti di chi si ama. Ricordiamo inoltre Yasunobu, amico d’infanzia di Yamato, completamente diverso caratterialmente dal protagonista, che però non si lascia pregare per regalare consigli (utili e non) al sempre tormentato Yamato-kun. Concludo l’analisi dei personaggi con Miki Hashiba, amica sia di Yamato che di Suzuka, che con la sua verve sa rimettere in piedi qualsiasi cuore infranto.
Tutti questi personaggi, avranno un ruolo più o meno importante negli sviluppi della storia, maturando di episodio in episodio.

Il lato tecnico, è di buon livello, il comparto grafico è molto gradevole, frizzante e colorato. I disegni sono sempre costantemente ben realizzati, i dettagli ed i fondali sono ben curati, sia nell’ambito scolastico, sia in quello sportivo così come nelle situazioni quotidiane che i protagonisti si troveranno ad affrontare. La costanza della qualità è il punto a favore di questa realizzazione tecnica targata Studio Comet.
La recensione tecnico-descrittiva termina qui, ma vorrei parlarvi, prima di concludere, di ciò che questo anime mi ha regalato in termini di sensazioni ed emozioni. Suzuka non è la classica commedia sentimentale che si nasconde dietro l’etichetta di "shonen" sportivo, ma va molto oltre. Lo sport è una metafora della vita. Saltare sempre più in alto oltre l’asta, oltre il proprio limite, rappresenta il volersi superare, gettare il cuore oltre gli ostacoli che la vita ci presenta, migliorarsi sempre di più crescendo ed imparando dai propri errori. Se le cose ci appaiono difficili ed insormontabili, grazie agli amici ed alla forza di volontà, ogni problema potrà essere superato, è questa la morale di Suzuka che fa della tenacia e la forza d’animo il suo messaggio più diretto. Tutto si può superare, anche la morte.


8.0/10
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Nel mondo dei manga spesso capita di vedere coppie di successo, la più recente e famosa è quella formata Tsugumi Ohba e Takeshi Obata, autori di Death Note, ma a quanto pare anche nel mondo degli anime è capitata una cosa simile con il felice connubio tra Key e Kyoto Animation. Air rappresenta l’inizio di questa lieta collaborazione che avrà modo poi di proseguire con Kanon e le due serie di Clannad.

La storia si avvia con l’arrivo di Yukito Kunisaki in una cittadina di mare avvolta nell’afa estiva. Yukito si potrebbe definire come un personaggi sui generis, un eterno vagabondo che viaggia di città in città per un motivo che forse lui stesso ignora o che più semplicemente, legato alle ultime parole dette da sua madre, le stesse con cui si apre l’anime, non riesce pienamente ad accettare. Nel suo continuo girovagare si guadagna quanto basta per sopravvivere grazie alla sua abilità nel manovrare a distanza un piccolo pupazzetto ma nella “desertica” cittadina a quanto pare la sua “magia” non sembra destare molto interesse, ormai rassegnato incontra la dolce Misuzu Kamio e così inizia la sua “breve” e intensa avventura destinata a durare una sola estate.

Come avviene in Kanon e Clannad anche per Air la parte iniziale è dedicata alle side stories, rispettivamente a Kano Kirishima e Minagi Tohno, solo in seguito la trama principale riprendere a scorrere. La visual novel è distinta in tre momenti, Summer, grosso modo la parte iniziale dell’anime, Dream, la parte centrale in cui si viene catapultati in un lontano passato, e infine Air che non a caso è anche il titolo dell’episodio finale dell’anime. Tra le tre opere tratte dalle visual novel realizzate dalla Key Air probabilmente è quella in cui l’elemento “soprannaturale” si presenta con più forza e, rispetto alle altre, anche il romanticismo sembra passare in secondo piano preferendo soffermarsi sull’aspetto drammatico, non che Clannad sia da meno in questo. L’elemento del mistero rappresenta una delle forze portanti e avvolge l’intera trama in una sottile nebbia che rende la stessa meno chiara e definita, solo in Dream si arriva ad una spiegazione degli eventi, ma questo non basta per diradare a pieno la nebbia che continua a permanere anche nel finale, infatti la stessa fine, bella ed emozionante, rimane aperta a più interpretazioni. Dal mio punto di vista credo che l’intera trama rifletta l’idea di una visione ciclica degli eventi, e basandomi su questa mia interpretazione, ritengo il finale meraviglioso poiché in grado di condensare sentimenti di vario genere in pochi attimi, però non vado oltre poiché non vorrei rovinare la sorpresa.

I personaggi sono tratteggiati con cura, d’altronde la Key sembra riporre notevole importanza nell’aspetto umano degli stessi, così Yukito con il suo carattere rispecchia pienamente il tipico modo di fare dei protagonisti maschili made in Key, all’apparenza distaccato e cinico è in realtà un ragazzo più sensibile di quanto vorrebbe dare a vedere. Misuzu allo stesso modo è la tipica “eroina” della Key, come già Ayu o Nagisa, bella, dolce e quasi infantile, e perfettamente espressa nelle sue due espressioni “Gao” e “Nyu/a”, all’apparenza potrebbe sembrare stupida e un po’ svampita ma al contrario si dimostra essere una ragazza dall’incredibile forza d’animo, ancor più netta se raffrontata alla fragilità del suo corpo.

La resa grafica è ottima, e in fondo rispecchia in pieno l’eccellenza raggiunta dalla Kyoto Animation in tal senso, buono è anche l’accompagnamento musicale e la scelta delle varie voci dei personaggi, su tutti Misuzu la cui voce è perfettamente aderente alla dolcezza del personaggio.

Traendo le somme Air è un gran bell’anime, se dovessi trovare un difetto direi che 13 puntate, di fatto 12, forse sono un po’ poche, a maggior ragione se si considera che le prime sono appunto dedicate alle side stories. Probabilmente la stessa Kyoto se ne è resa conto e ha messo una pezza con il successivo film di Air interamente incentrato sul rapporto tra Yukito e Misuzu, lasciando poi maggior spazio ai sentimenti dei due. Ad ogni buon conto ho apprezzato molto questa serie pertanto ne consiglio vivamente la visione, eventualmente seguita da Kanon e Clannad.


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Giudizio non buonissimo per questa serie, per i troppi punti lasciati in sospeso e per le tante novità introdotte, di cui non si capirà mai il senso... (qualcuno ha detto il bianconiglio??)
Chi voleva sapere in cosa davvero consiste il gioco di Alice, beh, farà meglio a leggersi il manga. Forse al meno li ci sarà scritto qualche dettaglio rivelatore, perchè nell'anime manca e pure tanto.
In effetti le bambole Rozen maiden e il fantomatico Gioco di Alice sono in questa serie i veri protagonisti. Mentre nella prima il protagonista era Jun ed il suo mondo interiore oscuro e disorto, nelle quali l'arrivo delle combattive Rozen maiden gettano una luce nuova e risanatrice, nella seconda serie, chi ha bisogno di aiuto è ora la stessa Shinku! Il peso dell'essere sorella delle Rozen maiden e per questo nemica mortale di tutte le altre bambole, spinge l'anima della piccola bambolina sull'orlo di una crisi. Uccidere tutte le altre sue amate sorelle e portare a termine il gioco di Alice, come ordinato dal "padre" o vivere nella beatidudine della casa di jun circondata di affetto con le sue sorelle? Un vero dilemma. Come Jun era stato aiutato e protetto da Shinku, ora lui diventa il nuovo sostegno di Shinku, passando praticamente in secondo piano nella vicenda delle Rozen maiden. Può un padre, chiedere alle sue amate figlie di sacrificarsi per il suo ideale? Chi è Rozen? Un padre amorevole o un oscuro Tiranno? Lo sapremo, spero in futuro, se ci sarà una terza serie.


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Noein è un anime che riesce ad integrare l'idea della teoria del caos e della fisica quantistica in una storia appassionante e di non difficile comprensione. E' una serie che comunque va seguita con una certa attenzione, per non incorrere nel rischio di perdersi qualche tassello importante che può rendere più difficile il capire i ruoli di ogni personaggio.
La spettacolare sequenza iniziale è un geniale input per far capire allo spettatore che questa storia non si limiterà semplicemente a narrare le vicende di una bambina dotata di strani poteri e quelle dei suoi amici, cosa che succede per le prime puntate e che, alla lunga, annoia pure un po'. Noein parte in piccolo e avanza, inesorabile, verso la grandezza. Da una connessione fra il passato e il futuro dei protagonisti, che sembra dire che la vicenda sarà circoscritta alla cittadina in cui vivono, si finisce per mettere in gioco il destino del mondo intero, e anche ciò che è e ciò che è stato.
Purtroppo, alcune puntate sono pesanti e procedono lentamente, rischiando di far venir meno l'attenzione di colui che guarda. Ma sono puntate sempre necessarie, in cui anche l'avvenimento più banale ha una stretta connessione con la trama principale. Noein è una bomba che viene caricata sempre di più con il suo procedere, fino ad esplodere negli ultimi, sconvolgenti, cinque episodi.
Il disegno è semplice ma particolare, con curiosi tratti quasi schizzati nelle scene di combattimento. Queste ultime sono realizzate in maniera superba, con animazioni veloci, fluide e mai ripetute. Bella la colorazione, realizzata con grande cura, e bella anche la computer grafica, integrata perfettamente con uno splendido lavoro di cell shading. Buone le musiche, che fanno da contorno in maniera eccellente, anche se non rappresentano nulla di innovativo.
Altro aspetto interessante di Noein è la sua determinazione nel denunciare ciò che viene perso una volta che i bambini diventano adulti. E' una denuncia a ciò che questo mondo ci insegna una volta raggiunta l'età per comprendere ciò che realmente ci sta intorno, ovvero di un mondo di morte e sofferenza dove si perde la voglia di sognare e si diventa materialisti, malvagi, e si tende a schiacciare senza pietà i sogni dei bambini per i propri ignobili fini personali.
Pur avendo segnato un 8, Noein si merita da parte mia un 8,5. Una storia splendida e realizzata con maestria, con giusto qualche punto in cui perde un po' di mordente, per poi però ripartire alla grande.
Veramente bello.


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