Summer Wars: recensione per i dieci anni del film di Mamoru Hosoda

Una valanga di personaggi per un mix quasi perfetto di critica sociale e fantascienza visionaria

di bob71

Era il 1 agosto 2009, quando nelle sale giapponesi usciva Summer Wars, il film che consacrò Mamoru Hosoda come autore di riferimento per gli anime fan di tutto il mondo. Dopo il successo de La ragazza che saltava nel tempo, che aveva rilanciato un soggetto molto noto in Giappone tratto dal romanzo di Yasutaka Tsutsui, lo studio Madhouse decise di replicare con una nuova avventura in salsa sci-fi mettendo in campo la stessa squadra vincente: il regista Mamoru Hosoda, la sceneggiatrice Satoko Okudera e il famoso character designer Yoshiyuki Sadamoto (Neon Genesis Evangelion). Il film bissò il successo del precedente, incassando più di 1 milione di dollari solo nel primo weekend e classificandosi 7° al botteghino giapponese. Partecipò inoltre a svariati festival in giro per il mondo (Annecy e Berlino su tutti) riscuotendo una serie di riconoscimenti, fra i quali la candidatura all’Oscar, la nomina al Pardo d'Oro al Festival di Locarno del 2009, i premi come miglior film d'animazione ai Japan Academy Awards e al Japan Media Arts Festival.

Rivedendolo oggi, a dieci anni di distanza, bisogna riconoscere che si rimane ancora abbagliati dalla qualità dei disegni e delle animazioni, nonché intrigati dal sotto testo insito nella trama, con particolare riferimento alla presenza pervasiva del web e dei social network, trasfigurati quasi come un moderno mostro di Frankenstein. Quale contesto migliore dell'autentica provincia giapponese per mettere in scena un socio-dramma in cui i valori tradizionali stridono con le moderne tecnologie digitali?
 
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Durante le vacanze estive, Kenji, un liceale timido e impacciato ma geniale in matematica, lavora part-time alla manutenzione del sistema informatico di Oz, una dimensione virtuale on line simile a Second Life in cui milioni di utenti interagiscono attraverso i propri avatar. Con sua enorme sorpresa, la bella Natsuki, la ragazza più popolare della scuola, gli propone di accompagnarla al suo paese natale, Ueda nella prefettura di Nagano. Qui viene coinvolto nella tradizionale riunione del clan Jinnouchi, che vanta un lignaggio antichissimo. Kenji scopre così che in realtà Natsuki l’ha invitato solo per fargli recitare il ruolo fittizio del suo futuro sposo, con l’unico scopo di compiacere la venerabile nonna Sakae in occasione del suo novantesimo compleanno. Sfortunatamente, un inconveniente causato dallo stesso Kenji scatena un micidiale virus informatico, Love Machine, un demone dell'intelligenza artificiale che attacca Oz e causa una serie di disastri a livello planetario. Gli eventi prenderanno una brutta piega per Kenji che, ormai smascherato, dovrà vedersela sia con gli agguerriti parenti del mondo reale che con i milioni di account impazziti della rete.


Summer Wars Recensione AnimeClick Kenji

Il tema portante di Summer Wars si basa quindi sul timore diffuso per la ricerca tecnologica, ipotizzando su come la sua applicazione scriteriata possa implicare un pericolo per l’umanità. In effetti l’idea dell’attentato telematico che può causare una catastrofe planetaria non è certo una novità al cinema, basti pensare a un vecchio film degli anni ’80 un po’ sottovalutato ma pionieristico in tal senso: Wargames - Giochi di guerra, diretto da John Badham con Matthew Broderick, in cui un giovane hacker si infiltra nel sistema informatico del Pentagono rischiando di causare la guerra termonucleare globale.

Del resto gli anime fan più esperti noteranno subito che la trama di Summer Wars ricalca pedissequamente quella di un vecchio progetto dello stesso Hosoda: Digimon Adventure: Our War Game (2000). Le similitudini tra i due film sono molteplici ed è come se il regista (questa volta con l’aiuto di Satoko Okudera) abbia voluto manipolare il suo prototipo ad uso e consumo di un pubblico più ampio, inserendo temi più complessi e personaggi più maturi. Summer Wars diventa così un’occasione per esplorare il conflitto tra gli estremi della società giapponese: economia e utopia, tradizione e modernità, individualismo e cultura di massa.
 
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Rispetto ai suoi precedenti lavori, il regista imbastisce un'operazione più ambiziosa e di più largo respiro. Si tratta infatti di un film corale di quasi due ore in cui la coppia di adolescenti fa da perno attorno al quale gravita uno sterminato gruppo di personaggi (tutti parenti di Natsuki), un assortito albero genealogico che si fatica a seguire, ma che recita la propria parte come se fosse un unico grande protagonista: la famiglia.

L’enorme cast se da un lato esalta la qualità delle animazioni (in alcune scene di gruppo è tutto un brulicare di gente che si muove da qualche parte sullo schermo e ognuno compie gesti autonomamente con la naturalezza di un film live), dall’altro potrebbe rivelarsi un difetto nella gestione della storia. Sebbene siano tutti caratterizzati realisticamente e credibili, alcuni personaggi sono poco approfonditi, altri vengono introdotti per poi scomparire nell’anonimato e almeno la metà di questa folla non influisce minimamente nell’economia del racconto. 

 
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A fare le spese di questa sovrabbondanza di “attori” sono proprio i protagonisti principali che rimangono abbozzati e poco originali. Kenji, inquadrato nello stereotipo (fin troppo abusato negli anime) dell’otaku timido e geniale, e Natsuki che, nonostante la sua performance decisiva sul piano della battaglia finale, ne esce con un ritratto piuttosto debole e incolore. Il suo rapporto con Kenji si sviluppa blandamente e si avventura in modo poco plausibile nel territorio del melodramma. Su tutti i componenti del clan spiccano: la stoica nonna Sakae, matriarca e depositaria di antica saggezza che in età avanzata tiene le fila della famiglia e affronta la crisi scatenata da Love Machine con autorevolezza e mezzi del tutto analogici; l’ombroso e affascinante Wabisuke, ricalcato sulle fattezze dell’attore Yūsaku Matsuda; e il tredicenne Kazuma, fortissimo e carismatico nel mondo di Oz con l’avatar di King Kazma.

Nonostante alcuni passaggi un po’ contorti, i risvolti prevedibili, le piccole incongruenze ed altre poco credibili coincidenze, tutto sommato l’intreccio fila liscio sul doppio livello virtuale/reale fino al suo climax, con un esplicito elogio finale al valore senza tempo dei legami familiari, che in questo caso risalirebbero all'epoca Muromachi (1336-1573 d.C.).
 
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Visivamente il film gode di una qualità eccezionale non solo per l’accattivante character design di Sadamoto, che brilla per naturalezza ed espressività. La narrazione di Hosoda alterna sapientemente le scene composte del mondo reale in marcato contrasto con le sequenze l’ipercinetiche di Oz.

La parte realistica è ambientata nei pressi di Ueda, città storicamente governata dal famoso clan Sanada, su cui si basa la fittizia famiglia Jinnouchi. Qui si apprezzano i pittoreschi paesaggi della regione montuosa di Nagano (sotto cieli spaziali alla Makoto Shinkai) e i magnifici interni della tenuta di famiglia, tradizionalmente in legno. Spesso si ha l’impressione che il regista renda omaggio al grande Yasujiro Ozu, sia per i tagli fotografici che esaltano le architetture, e sia per il tema pregnante della famiglia multigenerazionale.

Nel mondo di Oz invece è la CGI a farla da padrona con la sua caleidoscopica esplosione di grafica poligonale e la sua tavolozza di colori fluo. Qui le menti creative di Madhouse hanno scatenato la loro più sfrenata immaginazione. Migliaia di grotteschi avatar animali dagli occhi enormi e dai denti affilati come rasoi gravitano nel cyberspazio e rimandano direttamente alle creazioni Neo-Pop dell’artistar Takashi Murakami. A proposito, vale la pena ricordare la collaborazione tra Hosoda e Murakami per due cortometraggi usati come pubblicità da Louis Vuitton e intitolati Superflat Monogram (2003) e Superflat First Love (2009).

L'animazione fluida de La ragazza che saltava nel tempo fa un passo in avanti con Summer Wars, grazie al superbo lavoro di Hiroyuki Aoyama, responsabile dell'animazione delle scene ambientate nel mondo reale con tecniche tradizionali, e di Tatsuzo Nishida che ha supervisionato l'animazione all'interno di Oz, utilizzando la CGI con l’apporto dello studio Digital Frontier. In questo caso l’enorme quantità di dettagli negli sfondi e la vivace colorazione sembrano sfruttare al meglio le potenzialità del mezzo tecnico. Le scene di combattimento si distinguono per velocità e versatilità, mentre molta cura è rivolta alle espressioni facciali e al linguaggio del corpo dei personaggi. È proprio la scrupolosa attenzione ai dettagli che rende questo film una meraviglia da guardare.


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In Italia Summer Wars è stato trasmesso da Rai 4 in prima serata il 23 aprile del 2011. È distribuito in edizione home video dalla francese Kazè, e in web streaming su Netflix. Fra le voci italiane del film ricordiamo: Emanuela Pacotto/Natsuki Shinoara, Federico Zanandrea/Kenji Koiso, Rossana Bassani/Sakae Jinnouchi, Stefano Pozzi/Kazuma Ikezawa, Ruggero Andreozzi/Wabisuke Jinnouchi, Cinzia Massironi/Voce di Oz.

L’adattamento a fumetti di Iqura Sugimoto e Yoshiyuki Sadamoto è pubblicato in tre volumi da Planet Manga.

In definitiva siamo di fronte a un sofisticato film di intrattenimento che mette insieme commedia, thriller, dramma e azione, il cui fascino si rivolge non solo ai fan dell’animazione giapponese. Hosoda è riuscito a bilanciare una grafica altamente spettacolare con un complesso studio dell’ambientazione e dei personaggi, per una miscela quasi perfetta di critica sociale e fantascienza, insieme contemporanea e senza tempo.
 
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Mamoru Hosoda
Spesso indicato (un po’ superficialmente) come erede di Hayao Miyazaki, in realtà Mamoru Hosoda si è ritagliato uno spazio tutto suo nel panorama del cinema di animazione nipponica, continuando a fare incetta di consensi dalla critica specializzata e togliendosi non poche soddisfazioni al botteghino. Nato a Nakaniikawa, nella prefettura di Toyama, Hosoda studia pittura ad olio al Kanazawa College of Art. Dopo la laurea entra come animatore alla Toei Animation dove esordisce alla regia nel 1999 con i primi due film dei Digimon, Digimon Adventure e Digimon: Our War Game. Nel 2001 lascia Toei per entrare nello Studio Ghibli dove avrebbe dovuto dirigere Il castello errante di Howl, ma lascia la produzione del film nelle sue fasi iniziali per divergenze d'opinioni con i veterani e lo staff dello studio, verrà sostituito dallo stesso Hayao Miyazaki. Nel 2005 un’altra parentesi in Toei, dove dirige il sesto film di One Piece, L'isola segreta del barone Omatsuri, per poi. Nel 2006 approda in Madhouse per il film che lo farà conoscere al grande pubblico, La ragazza che saltava nel tempo, che ottiene critiche positive e con il quale vince diversi premi. Nel 2009 dirige Summer Wars. Nel 2012 fonda lo Studio Chizu con cui realizza Wolf Children - Ame e Yuki i bambini lupo che si piazza al terzo posto negli incassi della stagione. Nel 2015 è la volta di The Boy and the Beast, mentre l’ultima fatica risale al 2018 con Mirai. Nel complesso, la sua ricercata filmografia lo fa uscire definitivamente dall’ombra di Miyazaki e lo emancipa dal novero dei tecnici di qualità per affermarsi come narratore di storie autentico e originale.

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