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“Real Drive Senno Chosahitsu” è un anime del 2008 e ha ventisei episodi. Mi piacciono gli anime lunghi, perché non hanno la fretta di quelli da dodici episodi. Inoltre trovare una perla sconosciuta è il mio grande desiderio.
Quest’opera mi ha fatto vedere grandi potenzialità ma profondissimi cali narrativi, con una narrazione che ha tentato di restare sul pezzo, ma che è riuscita a perdersi in un mare, reale e digitale. Fa colpo vedere un anime del passato e trovarvi qualcosa di futuristico o azzeccato, e qui c’è davvero qualche buono spunto di riflessione. Peccato per la mancata coordinazione nel filo narrativo e il finale precipitoso e poco curato.
Ma procediamo con calma.

Un po’ di trama

Cominciamo assistendo a una ricerca: Haru è un giovane sub professionista che s’immerge nell’oceano per approfondire una ricerca promossa e voluta da un amico professore, Kushima. La preoccupazione di entrambi è che le nano-macchine in sviluppo nell’isola vicina abbiano influito sul contesto ambientale, risvegliando una reazione, per il momento debole, da parte della natura. Il loro scopo è comprendere il fenomeno per evitare ripercussioni future pesanti.
Il peggio accade, e Haru finisce col risvegliarsi cinquant’anni dopo, ottantenne e paraplegico. Ormai è diventato un vecchio in una carrozzina ipertecnologica che pesca sul molo, ha pensieri di esilio rispetto il mare che tanto amava, e Kushima, il suo amico di sempre, si sente in colpa per la situazione. Lo stesso Haru non nutre più aspirazioni, ma il destino ha in serbo qualcosa per questo ragazzo imprigionato nel corpo di un vecchio con la flemma e la gentilezza che la maturità gli ha dato.
Kushima lo cerca per fargli una proposta, e Haru si troverà, così, ad avere a che fare con due fratelli, Souta, il poliziotto delle investigazioni elettriche, e Minamo, la sua dolce sorellina dall’entusiasmo candido e dalla determinazione ferrea. Quest’ultima diventerà sua partner nelle immersioni.
Infatti, per un motivo scatenante, Haru scoprirà che è ancora possibile pensare a un futuro, in un altro mare, però, nel Meta-Real Network, ovvero il metal. Non sarà facile, ma riuscirà a nuotare ancora e finirà poi coinvolto nelle storie tragiche, bislacche o estreme, di fenomeni umani nel metal, col compito di salvare anime perse o indagare su fenomeni profondi nell’universo telematico.
Tra Haru e Minamo si crea un rapporto intenso, gentile e profondo, nel quale il punto di vista maturo dell’uomo supporta la crescita della ragazza, mentre dall’altra parte la natura spontanea, gioiosa, mai tragica, di Minamo motiva Haru a non arrendersi, a vedere il bicchiere mezzo pieno, e a volte colmo fino all’orlo. È un’accoppiata perfetta che, davanti a tematiche come l’amore, il futuro, la difficoltà di vivere, il rapporto con una persona laconica di non facile interpretazione, restituisce una comunione possibile di due punti di vista differenti.

Il finale

La delusione del finale è collegata da un fatto che mi ha indisposta: se un anime da dodici episodi finisce di solito con correre negli ultimi, cosa fa fare la stessa ignobile maratona a un anime che di episodi ne ha il doppio?
Ebbene, “Real Drive Senno Chosahitsu” corre molto verso la fine, e non lo si può perdonare. Ci può stare che la situazione abbia seri motivi per aggravarsi e possa portare i protagonisti che prima pensavano e vivevano quasi in slow-motion a correre proprio, ma pesa il forte disequilibrio tra l’ultimo quarto di episodi e il resto. Il rischio, poi, è che, cercando di spiegare tutto, sull’onda di azioni irrefrenabili e in un contesto potenzialmente catastrofico, si va a perdere sia il ritmo narrativo, che la valenza dell’opera.
Non discuto che presentare con tutta calma le situazioni permette di inquadrare la crescita dei personaggi e di focalizzarsi con cura su elementi caratteristici del world building, ma un finale può e deve essere all’altezza e dare spiegazioni e conclusioni non possibilmente scontate.
Invece, dalla perdita di un amico, scaturiscono segreti che portano ansia, mettono in moto meccanismi così precisi, che vanno avanti anche senza lo spettatore, per arrivare a parlare ancora di quello di cui s’era sempre parlato, risultando pesanti, ripetitivi, prevedibili e stranamente ammiccanti (ma senza approfondire, accidenti!).

I temi

Purtroppo questa è solo una parte della storia. Dico purtroppo, perché si ha l’impressione che la trama sia troppo dispersiva e s’infili spesso e volentieri in vicoli ciechi. E se all’inizio sono giustificabili come pretesto per approfondire l’animo dei personaggi e i loro rapporti, poi spezzano l’azione o rompono la tensione narrativa, creando paludi da guadare per raggiungere un terreno narrativo solido.

Da apprezzare sono le tematiche che porta, relative alla gestione di un un’utenza che nel metal investe risorse e fantasie. Dall’uomo che cerca esperienze erotiche estreme nel metal, fino al ragazzo che, per debolezza psicologica, si sentirà alla pari di un quattrozampe, scordandosi che il rapporto umano-cane sarà sempre gerarchico.
Abbiamo una critica al consumismo alimentare, quando in un episodio scopriamo che il cibo naturale è costoso e per il resto è quasi del tutto sintetico. E ci sono utenti che deperiscono in real vivendo di inesistente ma sfizioso cibo digitale. Ricorda la cena metaforica di “7 chili in 7 giorni” di Pozzetto e Verdone, ma è una realtà decisamente più tragica. Emerge, nell’episodio, la tematica grave della dipendenza dalla rete.
Un episodio debole denuncia come il furto pagato di dati personali può generare fantasmi digitali e influenzare i gusti e la personalità dell’utente ignaro. E fa riflettere sul fatto che, or ora, tutti abbiamo identità digitali, perché pubblichiamo ciò che ci interessa, rendendoci tracciabili. Con l’aumento della realtà virtuale che già c’è (tipo il metaverso), chissà che accadrà in futuro.
Viene presentato il tema dell’inclusione, relativo alla possibilità che la tecnologia possa risolvere problemi come la cecità, ma si approfondisce il rapporto tra la disabilità e le sue potenzialità, piuttosto che la normalità e le sue prospettive.

Emerge il tema dell’analogico quando da un libro spunta una lettera d’amore. E l’episodio poi si concentrerà su come è cambiata la comunicazione, sul filo di sentimenti che non svaniscono tanto facilmente e che rimangono su un supporto cartaceo per trovare il loro destinatario... anche dopo cinquant’anni.
Altro tema: quello dei maestri e dei loro emulatori, ma sempre legato alla capacità umana di produrre emozioni. C’è chi nella musica infonde l’anima, cercando di imitare un modello, ma non sempre esso sarà come lo si pensa. Il rapporto tra il violinista e Kushima è mediato dal pacato Haru e dalla dolcissima Minamo, in una doppia lettura (apparentemente antitetica) del tempo trascorso e del tempo futuro.

I temi legati alle relazioni umane “classiche”, amore e famiglia, hanno il loro spazio.
La famiglia è un elemento che emerge quasi superficiale, poi si prende un intero soporifero episodio, ma comunque ha il suo perché: sia per l’economia della narrazione che necessitava di figure vicine che si relazionassero, che per il supporto morale, alimentare, materiale, umano, che questo nucleo garantisce anche in un’epoca ipertecnologica. E allora abbiamo genitori che lavorano come dannati, con grandi impegni lavorativi, fratelli che si supportano e sopportano, la nonna (che in passato spasimava per Haru), a ricordare che, anche quando ci sono tecnologie più che evolute, il contatto umano è quello che più restituisce.
C’è anche qualche storia d’amore, a volte passionale, a volte timida o impossibile, a momenti tenera, per poi sfociare nel tragico. Non è mai nulla di troppo invadente, ma il guaio è che a volte non è approfondito, a volte rende troppo poco rispetto al tempo speso a parlarne, infine è solo un amo(re) per poveri spettatori stolti in cerca di romanticismo impossibile.

L’intelligenza artificiale è un elemento che non poteva mancare. Far riferimento alle I.A. intelligenti che si rapportano con curiosità all’uomo, o che abbiano quella capacità di creare legami emotivi, è un grande tema che a tutt’oggi fa interrogare chi si occupa di robotica: stiamo sviluppando tecnologie con capacità e potenzialità superiori a quelle della mente umana e un giorno ci conviveremo senz’altro (in parte lo stiamo già facendo). Il mondo degli androidi, ad oggi, è immenso: da quelli da lavoro, a quelli da compagnia.
Il mondo in cui vivono i personaggi prevede che la maggior parte di loro sia proprietaria di un cervello cibernetico, fin da prima che inizino la scuola. Agli adulti è necessario per lavorare in un mondo digitale, ma non tutti sono adatti per simile impianto. La metafora della sirenetta, che voleva vivere in mare, ma non sapeva più come tornarci, e il dialogo sul rapporto tra l’uomo e l’ambiente, di reciproco modificarsi, sono parti di un dialogo davvero pregevole da approfondire.

Ultimo grande argomento, immancabile, è quello del cambiamento climatico: come è possibile che la tecnologia incida sull’ambiente? Quali sono le tempistiche e gli effetti? Come reagisce la natura a questo confronto? È un tema che emerge in sordina, con il discorso dei delfini e delle specie ormai visibili solo come ologramma, che poi si intensifica nel momento in cui c’è la possibilità di agire a livello meteorologico sull’ambiente. Immagino che dovesse essere l’argomento portante, lo si è percepito, ma pareva di vedere quei film del “Ciclo Vertigo” che facevano su Italia 1 parecchi anni fa, belli catastrofici ma (troppo) prevedibili.

I personaggi

Devo riconoscere che, nell’economia del racconto, i personaggi emergono, si sviluppano e crescono. Ciascuno ha il suo spazio, si parla molto, forse troppo, ma questo aiuta a inquadrare le loro motivazioni e la possibilità che un dialogo aiuti a manifestarle e a cambiarle.
I personaggi di “Real Drive Senno Chosahitsu” sono vivi e vividi, ben interconnessi tra di loro ed emotivamente ben curati.
Comincerei da Haru, che tecnicamente dovrebbe essere il protagonista, ma come Guin di “Guin Saga” rischia spesso di finire schiacciato sullo sfondo e di fare la parte del Grande Puffo, fino ad almeno più di metà storia.
Il suo fare affabile, la sua voglia di riscatto, il suo essere così giovane imprigionato in un corpo anziano lo rendono forte, gentile, indimenticabile. Il doppiatore ha fatto un ottimo lavoro con la voce di Haru.
Mi sono molto piaciuti i suoi discorsi con Minamo, nei quali la sua maturità e la sua fatalità si incontrano e scontrano con l’innocenza e la voglia di credere nel futuro di Ai, generando significati e motivazioni, che aiutano entrambi a crescere.
Ho trovato quasi miracolosa la sua ripresa finale, ma negli anime tutto è possibile e la giustificazione è che lui non fosse così offeso come pareva.

Minamo è la seconda protagonista della vicenda. Fisicamente, come tutte le rappresentanti femminili dell’anime, è ben tornita, e ciò la rende davvero carina, sia in costume che in pantaloncini. A livello emotivo viene da una famiglia molto “analogica”. È l’unica ad essere così genuina, da non avere un cervello cibernetico, e questo la porta a comunicare con più emotività, trasporto e meno trasmissione di informazioni di servizio, con gli altri. Anzi, il fatto di essere tagliata fuori, in un certo senso, da un imperante flusso di dati, la rende curiosa, capace, come una novella Socrate, di fare domande apparentemente innocenti, a cui, però, servono molte parole, e ben ponderate, per rispondere.
Ha un forte legame con la nonna, mentre i genitori, separati, li vede poco, perché lavorano molto. Il fratello si prende molto cura di lei, ma non la vede come una ragazza che sta crescendo. L’anima candida e curiosa della ragazza la spinge a fare domande dove un adulto si fermerebbe per pudore o imbarazzo, e le fa fare la parte della crocerossina dei casi disperati, portando con assoluto candore il suo credo: il tempo non è mai sprecato, perché l’importante è il valore che daremo a quello che viene. Il suo prodigarsi con un tipo ermetico come Kushima è tutto dire. Discutibile è il suo trasporto per un personaggio, che si concretizza in un episodio dalla regia inguardabile, ma il paragone che il personaggio stesso fa di lei, di un delfino che l’ha spinto a riprendere il mare con fiducia, è più che meritato. Divertentissimo è il suo celeberrimo rifiuto per i peperoni verdi.

Souta, fratello di Minamo, è un ragazzo determinato dallo spirito combattente. Pratica la lotta, sport utile nel suo lavoro, ma negletto se si considera i corpi bionici dei più-che-ottuagenari che girano per l’isola. Arriva a conoscere, a livello agonistico, se così si può dire, Horon, un’androide disegnata sulle fattezze di una celebre donna di potere dell’isola, che è, stranamente, pensiero erotico fisso quasi universale e che lui ben conosce. Souta è un adulto complesso, che, tra lavoro e amore, finisce col dimenticare la famiglia, se non fosse per la sua sorellina. La sua ricerca di un amore particolarmente impossibile aiuta a riflettere sul binomio amore fisico-amore spirituale.

Horon è un’androide predisposta ad essere la guardia del corpo di Haru. E la sua figura aiuta a rispondere a una domanda: se la macchina ha contaminato l’uomo, può essere che l’umanità “contagi” un sistema cibernetico? La sua indole posata, gentile e a tratti umana colpirà per il suo sviluppo. Confesso che a volte alzavo un sopracciglio, ma alla fine Horon emerge come un personaggio positivo e non finto.

Tra i personaggi più presenti, che operano in sordina, ma chiudono il cerchio, c’è Kushima. Lo vediamo all’inizio pimpante trentenne, lo vedremo sempre giovane, perché ha un corpo cibernetico nel quale, per sconfiggere gli acciacchi dell’età, ha impiantato il suo cervello elettronico. È molto legato ad Haru e, oltre che a coltivare un senso di colpa per quello che gli è accaduto, ha verso di lui un’amicizia che permette loro di parlare del passato, del presente e del futuro. Lo scopo comune li tiene assieme e li porterà a una grandissima sfida, durante la quale riusciranno a dirsi quello che finalmente cercavano da tempo: la verità su un mistero nascosto nel metal. E forse ci sarà ancora da raccontarsi. Saranno momenti in cui un personaggio che è emerso brillantemente ma senza continuità svelerà con chiarezza chi è. Kushima è un’ecologista battagliero: comincerà da giovane ricercatore a indagare il rapporto tra natura e apporto tecnologico dell’uomo, terminerà l’anime che ne parlerà ancora, con la voce piena e convinta, pacata e carica di attenzione, verso Madre Natura.

Altri personaggi di contorno si fanno ben sentire: da una parte ci sono le due amiche di Minamo, con le quali condivide avventure e crucci davanti a deliziosissimi dessert (dalla grafica più che golosa) al bar; ci sono i due gestori del locale, anche essi diver del metal. C’è la principessa dell’isola, la cui storia, i cui dubbi, le cui decisioni emergeranno benissimo.

Un commento a parte lo merita Jenny Yen. Lui è uno di quei villain che portano avanti la loro causa con fredda convinzione. Ora, tutti gli antagonisti lo fanno, però mi sento di citarlo così, perché quest’anime ha meno interesse a sviluppare una trama e si disperde tra i personaggi, col risultato che il villain pare sprecato.
Jenny risulta un personaggio minore, ma funziona: lui crede nelle particelle meteorologiche, desidera, con esse, alterare il tempo atmosferico (mi ricorda qualcosa, andate a vedervi le weather machine), per preservare la qualità di vita delle persone che vivono nell’isola. E il suo pareva un progetto condivisibile con Kushina. Pareva, dico.
Quest’uomo si farà paladino delle tecnologie, fino alla tragica evidenza. La sua figura fa riflettere sull’oggi così spinto a un’innovazione robotica e sulle persone che portano avanti progetti altamente tecnologici, che fanno e faranno sì un gran bene a qualche parte dell’umanità, ma resta un grosso dubbio sulla ricaduta che avranno in un futuro che non aspetta molti anni ad arrivare.
Ci basti pensare allo sviluppo tecnologico degli ultimi anni, ai cellulari diventati smarthphone, con applicazioni che all’epoca ci sognavamo (ma di cui forse non avevamo reale bisogno), che ci invecchiano nelle tasche, al vintage (oggetto di soli vent’anni fa)... il futuro è vicino, vicinissimo.

Grafica

Il chara design è gradevolissimo: le figure femminili sono formose, tornite e belle in carne, fatto raro in vagonate e vagonate di anime in cui sono in piedi su due stecchini, o al massimo di grande hanno solo il petto.
I maschi sono tutti atletici, ma di viso risultano molto schematici e poco curati.
Gli sfondi sono davvero molto curati, dagli interni dei vari locali, fino agli spazi aperti tra oceano, terra e cieli (azzurri, nuvolosi, stellati). Una nota di merito va al disegno dei cibi, curatissimo.

Soundtrack

A livello di sonoro c’è una contaminazione di suoni, che passa da quelli della musica classica, a quelli più sintetici, e riesce a far emergere bene le circostanze emotive delle vicende.
L’opening è di un fantastico gruppo rock giapponese, mentre l’ending alternative rock è orecchiabile.

Conclusioni

Sono partita cercando di essere il quanto più possibile giusta con quest’anime, e scopro di non aver accennato che a pochi lati negativi dello stesso. Il problema è che, per me, è bastata la trama basata non tanto sull’evoluzione di una situazione, quanto sui personaggi, a destabilizzarmi e darmi noia. Non ho potuto non apprezzare gli elementi sopra scritti, ma a livello narrativo ho percepito vere e proprie difficoltà a volerlo finire, sentendomi vittima del ricatto di filler a volte debolissimi. Inoltre, l’incapacità dell’anime di dare informazioni in modo chiaro, quando servono, mi ha messa più volte, fastidiosamente, in difficoltà, non facendomi entrare come si deve nel concetto di mondo presentato. La percezione di un tempo narrativo in parte incoerente, prima lento, poi rapido, poi di nuovo slegato lento, per terminare di corsa, mi ha demoralizzata molto.
Per tutti questi motivi, fatti salvi i lati positivi che sono innegabili, per me è da 7. Ci ha provato, ma non ci ha creduto abbastanza.