Recensione
Aria
6.5/10
Recensione di DarkSoulRead
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“Stringiamo tra le mani un remo pulito e luccicante… sentiamo la corrente con tutto il corpo… afferriamo l’onda senza fretta e senza esercitare forza… fendendo delicatamente la superficie dell’acqua. L’emergere di una scia netta e pulita… dimostra che cavalchiamo abilmente il flusso. In cambio… diventiamo vento.”
Sono passati 150 anni da quando Marte è stato terraformato. Lo scioglimento dei ghiacciai ha ricoperto il pianeta rosso per il 90% d’acqua, che gli è valso il nuovo nome: Aqua.
Akari è una giovane terrestre che si trasferisce su Aqua per diventare un’Undine, una guida dell’acqua — in pratica una gondoliera di Neo Venezia, riproduzione della Venezia terrestre ormai completamente sommersa.
Questo è l’incipit di Aqua, divenuto successivamente prequel di Aria a causa del cambio di rivista di serializzazione, anche se, nella sostanza, i due lavori andrebbero considerati come un’unica, coesa opera.
Aria prosegue ed espande il percorso tracciato dal suo predecessore, presentandosi come uno slice of life dall’incedere placido, con una struttura episodica volutamente fuori dal tempo. Un ritmo che può sembrare vetusto a chi è abituato a trame serrate e colpi di scena, ma che svela il suo valore a chi è disposto a soffermarsi sulle piccole cose.
È un manga che sfida il concetto tradizionale di “trama”: qui il tempo non scorre per condurre a un evento, ma per accompagnare la contemplazione. Aria invita a rallentare, a guardare il cielo riflesso nei canali, a scoprire il miracolo nella quotidianità — come il crepitio della legna in un giorno di neve, o il canto delle cicale nelle calde notti d’estate.
“In quel momento sono arrossita… sarà stato il calore sulla pelle abbronzata? Per fortuna la dolce brezza marina rinfrescava il mio corpo accaldato all’ora del tramonto. Mentre mi preparavo alla mia seconda stagione calda sul pianeta dell’acqua… le onde dei pensieri, accavallate una sull’altra, si infrangevano e ritraevano sulla sabbia bianca.”
Kozue Amano costruisce un universo sospeso, dove il futuro tecnologico si intreccia con la nostalgia di un passato perduto. Neo Venezia non è soltanto una replica idealizzata della città italiana, ma un luogo dell’anima, abitato da creature misteriose, riti reinventati, e silenzi che parlano. Canali, piazze, luci, suoni e il ritmo ciclico delle stagioni concorrono a creare un senso di spazio vivido e malinconico. Da sottolineare l’accurato lavoro di documentazione dell’autrice, che rielabora leggende, simboli e folklore con sensibilità e coerenza poetica, dando forma a un suggestivo melting pot tra tradizione veneta, mitologia nordica e un lieve soffio di magia miyazakiana.
“E così… la luce delle stelle cadenti… ha solcato il silenzio di quella notte d’autunno… lasciandoci colmi di gratitudine”
I presidenti-gatto, figure al tempo stesso buffe e misteriose, e il regno segreto dei felini guidato dall’enigmatico re Cait Sith, regalano alcuni dei momenti più affascinanti e surreali dell’opera, aprendo squarci di meraviglia in un mondo altrimenti ancorato alla quotidianità — memorabile, in particolare, il capitolo dedicato a Casanova. Di rilievo anche le cosiddette “Tre Fate dell’Acqua”, le Undine più talentuose di Neo Venezia, che incarnano modelli differenti di femminilità e dedizione. Meno efficace risulta invece la caratterizzazione del trio protagonista: la dolcezza di Akari scivola spesso nello stereotipo, mentre Aika e Alice faticano a superare i limiti della macchietta. Anche i comprimari, pochi e funzionali alla narrazione, risultano poco incisivi sul piano emotivo.
Tra gondole che scivolano lente sull’acqua e scorci sognanti di piazza San Marco, Kozue Amano costruisce un’incantevole narrazione a immagini. Il suo tratto, pulito e delicato, dà vita a una Neo Venezia sospesa nel tempo, dove lo sguardo è guidato più dalla suggestione che dall’azione. Un elemento stilistico chiave è l’uso degli spazi bianchi: ampie porzioni lasciate volutamente vuote, che non impoveriscono la tavola ma la fanno respirare — anche se, talvolta, a scapito della densità visiva e del dettaglio.
Da segnalare anche l’assenza totale di fan service, che riflette la scelta dell’autrice di privilegiare la grazia e l’intimità dello sguardo rispetto a ogni forma di ammiccamento.
Ogni capitolo di Aria si apre con Akari che, attraverso una lettera, saluta con un semplice “Ciao, come va?”. Questa formula ricorrente diventa un rituale narrativo che rafforza l’intimità con il lettore. È come se Akari scrivesse direttamente a chi legge, condividendo con leggerezza riflessioni, impressioni e piccole meraviglie quotidiane. Questo incipit reiterato contribuisce a instaurare un ritmo circolare e rassicurante, trasformando la narrazione in una sorta di diario aperto, dove il tempo sembra fermarsi per accogliere chiunque sia disposto ad ascoltare.
Col passare dei capitoli, tuttavia, questa calma contemplativa rischia di trasformarsi in staticità. L’assenza di antagonisti, svolte narrative e tensioni drammatiche conduce progressivamente Aria verso un imbuto di retorica melliflua, dove il tentativo di trasmettere la filosofia della semplicità finisce per appiattirsi in una semantica monotematica. La reiterazione di situazioni e toni può risultare estenuante per chi cerca sfumature emotive più complesse o una vera evoluzione narrativa.
Un’opera che non vuole scuotere, ma rasserenare. Per chi saprà accordarsi al suo passo, lasciandosi cullare dalla lentezza e dallo stupore del quotidiano, Aria sarà un viaggio lieve e intimo, come un raggio di luce che danza sull’acqua al tramonto.
Il consiglio è di iniziare da “Aqua”, per avvicinarsi con gradualità alle atmosfere oniriche di Neo Venezia; se quelle prime pagine sapranno sussurrarvi qualcosa, allora proseguire con “Aria” sarà un’estensione naturale del viaggio, da vivere senza troppe aspettative, al ritmo lento dei suoi canali.
“Un tempo, quando questo pianeta veniva chiamato Marte… il paesaggio era una vasta distesa arancione. Quindi, per gli attuali abitanti di Aqua questi momenti in cui il mondo si tinge di arancione hanno un che di prezioso e antico. È proprio come se qui, davanti a noi, si spalancasse l’eternità”.
Sono passati 150 anni da quando Marte è stato terraformato. Lo scioglimento dei ghiacciai ha ricoperto il pianeta rosso per il 90% d’acqua, che gli è valso il nuovo nome: Aqua.
Akari è una giovane terrestre che si trasferisce su Aqua per diventare un’Undine, una guida dell’acqua — in pratica una gondoliera di Neo Venezia, riproduzione della Venezia terrestre ormai completamente sommersa.
Questo è l’incipit di Aqua, divenuto successivamente prequel di Aria a causa del cambio di rivista di serializzazione, anche se, nella sostanza, i due lavori andrebbero considerati come un’unica, coesa opera.
Aria prosegue ed espande il percorso tracciato dal suo predecessore, presentandosi come uno slice of life dall’incedere placido, con una struttura episodica volutamente fuori dal tempo. Un ritmo che può sembrare vetusto a chi è abituato a trame serrate e colpi di scena, ma che svela il suo valore a chi è disposto a soffermarsi sulle piccole cose.
È un manga che sfida il concetto tradizionale di “trama”: qui il tempo non scorre per condurre a un evento, ma per accompagnare la contemplazione. Aria invita a rallentare, a guardare il cielo riflesso nei canali, a scoprire il miracolo nella quotidianità — come il crepitio della legna in un giorno di neve, o il canto delle cicale nelle calde notti d’estate.
“In quel momento sono arrossita… sarà stato il calore sulla pelle abbronzata? Per fortuna la dolce brezza marina rinfrescava il mio corpo accaldato all’ora del tramonto. Mentre mi preparavo alla mia seconda stagione calda sul pianeta dell’acqua… le onde dei pensieri, accavallate una sull’altra, si infrangevano e ritraevano sulla sabbia bianca.”
Kozue Amano costruisce un universo sospeso, dove il futuro tecnologico si intreccia con la nostalgia di un passato perduto. Neo Venezia non è soltanto una replica idealizzata della città italiana, ma un luogo dell’anima, abitato da creature misteriose, riti reinventati, e silenzi che parlano. Canali, piazze, luci, suoni e il ritmo ciclico delle stagioni concorrono a creare un senso di spazio vivido e malinconico. Da sottolineare l’accurato lavoro di documentazione dell’autrice, che rielabora leggende, simboli e folklore con sensibilità e coerenza poetica, dando forma a un suggestivo melting pot tra tradizione veneta, mitologia nordica e un lieve soffio di magia miyazakiana.
“E così… la luce delle stelle cadenti… ha solcato il silenzio di quella notte d’autunno… lasciandoci colmi di gratitudine”
I presidenti-gatto, figure al tempo stesso buffe e misteriose, e il regno segreto dei felini guidato dall’enigmatico re Cait Sith, regalano alcuni dei momenti più affascinanti e surreali dell’opera, aprendo squarci di meraviglia in un mondo altrimenti ancorato alla quotidianità — memorabile, in particolare, il capitolo dedicato a Casanova. Di rilievo anche le cosiddette “Tre Fate dell’Acqua”, le Undine più talentuose di Neo Venezia, che incarnano modelli differenti di femminilità e dedizione. Meno efficace risulta invece la caratterizzazione del trio protagonista: la dolcezza di Akari scivola spesso nello stereotipo, mentre Aika e Alice faticano a superare i limiti della macchietta. Anche i comprimari, pochi e funzionali alla narrazione, risultano poco incisivi sul piano emotivo.
Tra gondole che scivolano lente sull’acqua e scorci sognanti di piazza San Marco, Kozue Amano costruisce un’incantevole narrazione a immagini. Il suo tratto, pulito e delicato, dà vita a una Neo Venezia sospesa nel tempo, dove lo sguardo è guidato più dalla suggestione che dall’azione. Un elemento stilistico chiave è l’uso degli spazi bianchi: ampie porzioni lasciate volutamente vuote, che non impoveriscono la tavola ma la fanno respirare — anche se, talvolta, a scapito della densità visiva e del dettaglio.
Da segnalare anche l’assenza totale di fan service, che riflette la scelta dell’autrice di privilegiare la grazia e l’intimità dello sguardo rispetto a ogni forma di ammiccamento.
Ogni capitolo di Aria si apre con Akari che, attraverso una lettera, saluta con un semplice “Ciao, come va?”. Questa formula ricorrente diventa un rituale narrativo che rafforza l’intimità con il lettore. È come se Akari scrivesse direttamente a chi legge, condividendo con leggerezza riflessioni, impressioni e piccole meraviglie quotidiane. Questo incipit reiterato contribuisce a instaurare un ritmo circolare e rassicurante, trasformando la narrazione in una sorta di diario aperto, dove il tempo sembra fermarsi per accogliere chiunque sia disposto ad ascoltare.
Col passare dei capitoli, tuttavia, questa calma contemplativa rischia di trasformarsi in staticità. L’assenza di antagonisti, svolte narrative e tensioni drammatiche conduce progressivamente Aria verso un imbuto di retorica melliflua, dove il tentativo di trasmettere la filosofia della semplicità finisce per appiattirsi in una semantica monotematica. La reiterazione di situazioni e toni può risultare estenuante per chi cerca sfumature emotive più complesse o una vera evoluzione narrativa.
Un’opera che non vuole scuotere, ma rasserenare. Per chi saprà accordarsi al suo passo, lasciandosi cullare dalla lentezza e dallo stupore del quotidiano, Aria sarà un viaggio lieve e intimo, come un raggio di luce che danza sull’acqua al tramonto.
Il consiglio è di iniziare da “Aqua”, per avvicinarsi con gradualità alle atmosfere oniriche di Neo Venezia; se quelle prime pagine sapranno sussurrarvi qualcosa, allora proseguire con “Aria” sarà un’estensione naturale del viaggio, da vivere senza troppe aspettative, al ritmo lento dei suoi canali.
“Un tempo, quando questo pianeta veniva chiamato Marte… il paesaggio era una vasta distesa arancione. Quindi, per gli attuali abitanti di Aqua questi momenti in cui il mondo si tinge di arancione hanno un che di prezioso e antico. È proprio come se qui, davanti a noi, si spalancasse l’eternità”.
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