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Tutto inizia con un incontro online tra due sconosciute: Aya, una studentessa liceale introversa che mente sulla sua età, e Shizuka, un’insegnante di ventiquattro anni che accetta – non del tutto in buona fede – di frequentarla. I loro incontri si sviluppano velocemente in una relazione fisica, dove nessuna delle due mette subito sul tavolo la verità. Ma il vero nodo emotivo è un altro: Shizuka, che si fa chiamare Sei, non ha mai superato la sua storia d’amore liceale con Yoru. Quella relazione, finita male, le ha lasciato un vuoto che si porta dietro come un’ossessione. Quando incontra Aya – più giovane, più innocente, ma simile per aspetto e modi – inizia a trattarla come un surrogato. E Aya, inizialmente, accetta quel ruolo. all’inizio dei loro rapporti intimi, è proprio Aya a chiedere a Shizuka di chiamarla Yoru. È un gioco di sostituzione, consapevole e disturbante, in cui lei stessa si cala pur di essere accettata.

Il manga è un yuri a tutti gli effetti, ma non romantico nel senso classico. La relazione tra Aya e Shizuka è costruita su dinamiche sbilanciate: potere, età, desiderio, aspettative, traumi. Il sesso c’è fin dall’inizio, ma non è mai leggero. Aya si offre, quasi si annulla, e chiede di essere chiamata con il nome dell’ex; Shizuka accetta, con una consapevolezza disturbante. Non è una storia che idealizza l’amore tra donne, né che cerca giustificazioni per le sue ombre. È un yuri che ragiona sul dolore, sul bisogno di essere viste, sull’identità.

In confronto ad altri titoli del genere, qui il triangolo non è lì per creare rivalità superficiali ma per mettere in discussione l’intero assetto emotivo delle protagoniste. Il confronto tra Yoru e Aya non è una gara, ma una scoperta reciproca: nessuna delle due ha veramente “vinto”. E questo dà spessore a tutto il lato yuri, che non è solo sessualità o cotta adolescenziale, ma uno scavo profondo nella ferita dell’attaccamento.
L'entrata in scena dell'amica di infanzia di Aya, Haruki aggiunge un’ulteriore dimensione alla componente yuri. Non si tratta solo di un triangolo, ma di un quadrilatero affettivo in cui ogni personaggio si riflette nell’altro: Aya è divisa tra il bisogno di essere amata da Shizuka e l’affetto sincero che riceve da Haruki; Shizuka è ancora legata a Yoru; Yoru stessa osserva tutto da una posizione ambigua, né dentro né fuori, mentre Haruki resta l’unica che ama senza proiezioni. Questo equilibrio fragile tra le quattro diventa il vero motore della storia. È una rete di desideri non allineati, dove nessuno ama esattamente chi dovrebbe, e nessuno è amato nel modo in cui vorrebbe. Ma proprio in questo sta la forza del manga: non idealizza l’amore fra donne, lo mostra nella sua complessità.

Warikitta Kankei Desukara non è una lettura comoda. Mette a disagio in più punti, costringe a chiedersi fino a che punto una relazione può essere reale se nasce da un inganno o da una proiezione. E lo fa senza moralismi, ma nemmeno con complicità. Aya fa tenerezza, ma anche rabbia quando si fa mettere da parte. Shizuka è umana, ma in certi momenti profondamente irresponsabile. Yoru è viva, ambigua, mai semplificata.

Il manga non dà risposte semplici. Alla fine, ognuna delle tre ha perso qualcosa. Ma forse, proprio per questo, ha più valore ciò che resta. Non è la storia di un amore puro che supera tutto. È la storia di due donne (e una terza ombra sempre presente) che provano a convivere con ciò che sono state, senza più fingere.