logo AnimeClick.it

-

“Ehi, idiota... pensi davvero di sopravvivere a una rissa da strada?”

Garouden – La leggenda del lupo affamato

C’è un tipo di violenza che nasce dall’odio, e un altro che nasce dal bisogno. Garouden appartiene a quest’ultima.
Non racconta la lotta come spettacolo, ma come linguaggio primordiale, come unica forma possibile di espressione per chi è nato troppo fragile per vivere in equilibrio.
Garouden è un’opera che affonda le mani nel fango dell’anima umana.
Qui non ci sono eroi, solo uomini incapaci di fermarsi.

La storia segue Fujimaki Bunshichi, un combattente in fuga. In fuga dalla legge, dal passato, e soprattutto da se stesso.
Ha ucciso un uomo. Ma non è un criminale. È qualcosa di più difficile da definire. Una bestia che non può smettere di combattere, anche quando vorrebbe.
La sua vita si intreccia con quella di altri lottatori, uomini mostruosi, solitari, ai margini. Ognuno cerca qualcosa, vendetta, riscatto, pace. Ma quasi nessuno la trova.
Il manga avanza per scontri e silenzi. Più che una trama, è un flusso di ossa rotte e tensione.

Narrativamente, Garouden è ruvido.
Non costruisce mondi, costruisce corpi e spesso li rompe.
Ogni incontro è un urlo represso, ogni gesto tecnico una confessione. Ma in questa struttura spezzata, la narrazione inciampa.
Alcuni personaggi appaiono e scompaiono, accennati appena, e molti (forse pensati per una seconda serie mai arrivata) non combattono nemmeno.
Il ritmo soffre di questa discontinuità, come se l’opera si preparasse a qualcosa che poi non arriva mai.

Le tematiche sono chiare e dirette, l’uomo come animale da lotta, la violenza come linguaggio, il corpo come prigione e libertà insieme.
Ma l’approccio non è filosofico, è istintivo.
Qui non si riflette, si sopravvive. Eppure, tra le pieghe di ogni scontro, emerge una riflessione amara: chi combatte per vivere non potrà mai smettere senza smettere di esistere.

I personaggi sono molti, forse troppi.
Bunshichi resta centrale e umano, anche se con certi momenti in cui mostra una bestialità, ma il resto del cast a volte sfiora la caricatura. Alcuni lottatori sembrano più mostri che uomini, capaci di imprese fisiche oltre l’umano, come sollevare quanto un muletto, rompere colonne di cemento con un pugno, cosa che comunque si ritrova molto ultimamente in questo tipo di prodotti.
Questo scivolamento nel grottesco, unito allo stile iper-espressivo di Itagaki, rischia di annullare il realismo drammatico, avvicinando l’opera a Baki.
E proprio qui nasce una delle maggiori perplessità, Garouden non riesce mai davvero a staccarsi dal suo parente più famoso.
Ne condivide la brutalità, ma senza spingersi verso qualcosa di nuovo.

Esteticamente, il manga è potente ma divisivo.
Il tratto di Itagaki è contorto, febbrile, a volte caotico, sempre teso. I corpi sembrano esplodere dalle pagine, ma c’è meno controllo, meno ritmo rispetto ad altri suoi lavori.
Per chi ama le arti marziali, la lettura può comunque risultare interessante c'è un'attenzione per le tecniche, per il gesto, per il peso del corpo in movimento.
Ma per chi cerca qualcosa in più, Garouden potrebbe sembrare un déjà-vu troppo urlato.

E alla fine, quando chiudi il volume, resta addosso una sensazione di incompiutezza.
Come se l’opera avesse un potenziale più grande, mai davvero espresso.
Un manga troppo simile a ciò che già esiste, e troppo affollato di muscoli, sangue ed ossa rotte per poter scavare davvero in profondità.

Garouden – La leggenda del lupo affamato, è un’opera imperfetta, a tratti ripetitiva, ma con un’energia grezza e disperata che può affascinare.
Non ti resta dentro, ma per un attimo ti colpisce.
Come un pugno tirato da troppo lontano per fare male davvero, ma abbastanza vicino da farti capire cosa sarebbe potuto succedere.
Nulla di nuovo, ma con una piccola scintilla.

VOTO: 7.2