Volge al termine la ventisettesima edizione del Far East Film Festival di Udine, partita lo scorso 24 aprile sino al 2 maggio in una duplice veste: in primo luogo dal vivo presso il Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” e al Visionario, attraverso i 75 titoli (di cui 48 in concorso, 7 world premiere, 15 anteprime internazionali, 20 anteprime europee e 19 anteprime italiane) e tanti altri sentieri tematici.

Una seconda modalità di poter partecipare al festival è stata attraverso il portale MYmovies: il FEFF ha offerto anche quest’anno una preziosa selezione di titoli online per l’intera durata del festival, con 23 film che le case di distribuzione asiatiche hanno reso disponibili per lo streaming.
Ricordandovi che nelle nostre precedenti news potrete trovare l'elenco completo di tutti i film che risultavano in programma, oltre ad alcune prime impressioni sui titoli visionati.
Di seguito vi proponiamo invece le nostre ultime impressioni sui restanti film passati in rassegna.
Legends of the Condor Heroes: The Gallants, China 2025, International Festival Premiere
disponibile solo in sala (proiezione del 30 aprile 2025)

The Scary House, Japan 2025, World Premiere
disponibile online

See You Tomorrow - Japan 2024, International Premiere
disponibile online

Good Luck, Japan 2025, International Premiere
disponibile online

Family Matters - Taiwan 2025, European Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 29 aprile 2025)

The Great Yokai War - Japan 2005
disponibile online

The Great Yokai War Guardians - Japan 2021
disponibile online

Papa - Hong Kong 2024, European Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 1 maggio 2025)

Montages of a Modern Motherhood - Hong Kong 2024, European Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 30 aprile 2025)

The Land of Morning Calm, South Korea 2024, Italian Premiere
disponibile online


Her Story - China 2024, International Festival Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 28 aprile 2025)

Rewrite - Japan 2025, World Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 2 maggio 2025)

Diamonds in the Sand - Philippines/Japan/Malaysia 2025, International Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 27 aprile 2025)

Hear me: our Summer - South Korea 2024, Italian Premiere
disponibile online

She Taught Me Serendipity - Japan 2024, European Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 27 aprile 2025)

Una seconda modalità di poter partecipare al festival è stata attraverso il portale MYmovies: il FEFF ha offerto anche quest’anno una preziosa selezione di titoli online per l’intera durata del festival, con 23 film che le case di distribuzione asiatiche hanno reso disponibili per lo streaming.
Ricordandovi che nelle nostre precedenti news potrete trovare l'elenco completo di tutti i film che risultavano in programma, oltre ad alcune prime impressioni sui titoli visionati.
Di seguito vi proponiamo invece le nostre ultime impressioni sui restanti film passati in rassegna.
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Legends of the Condor Heroes: The Gallants, China 2025, International Festival Premiere
disponibile solo in sala (proiezione del 30 aprile 2025)

E' un film curato in ogni suo minimo dettaglio: le lingue parlate, i costumi, la musica e gli effetti speciali rendono questo lungometraggio un piccolo capolavoro.
Adattamento cinematografico del primo libro della trilogia “Condor” di Jin Yong, se proprio vogliamo trovarne un difetto, è quello di racchiudere tanti concetti in sole due ore e mezzo.
Lo spettatore deve rimanere sempre concentrato sui dialoghi, perché ogni informazione risulta necessaria ai fini della trama. Nonostante questo e nonostante la lunghezza, il film non risulta mai pesante, anzi, si fa seguire con piacere, catturando lo spettatore grazie alla bellezza degli effetti speciali e alla fotografia.
Straordinari tutti gli attori. Mi sono piaciute molto le due figure femminili, innamorate e gelose al punto giusto. Nella recitazione, tuttavia, spicca su tutti l’attore protagonista, Xiao Zhan che è riuscito a caratterizzare il personaggio di Guo Jing in maniera magistrale.
Autore: alis89
Adattamento cinematografico del primo libro della trilogia “Condor” di Jin Yong, se proprio vogliamo trovarne un difetto, è quello di racchiudere tanti concetti in sole due ore e mezzo.
Lo spettatore deve rimanere sempre concentrato sui dialoghi, perché ogni informazione risulta necessaria ai fini della trama. Nonostante questo e nonostante la lunghezza, il film non risulta mai pesante, anzi, si fa seguire con piacere, catturando lo spettatore grazie alla bellezza degli effetti speciali e alla fotografia.
Straordinari tutti gli attori. Mi sono piaciute molto le due figure femminili, innamorate e gelose al punto giusto. Nella recitazione, tuttavia, spicca su tutti l’attore protagonista, Xiao Zhan che è riuscito a caratterizzare il personaggio di Guo Jing in maniera magistrale.
Autore: alis89
Sunshine - Philippines 2024, Italian Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 25 aprile 2025)
disponibile solo in sala (proiezione del 25 aprile 2025)
C’è un’immagine, in Sunshine, che da sola racconta la paradossalità di questa storia: davanti a una delle chiese più celebri delle Filippine, la Chiesa di Quiapo, si vendono clandestinamente preparati per interrompere una gravidanza.
Un gesto che rivela l’assurdità di un Paese dove l'aborto è criminalizzato in ogni circostanza, persino in caso di vite a rischio o violenze.
Attraverso una narrazione intensa e dolorosamente realistica, il film riesce a mostrare non solo la durezza delle leggi, ma anche la brutalità quotidiana che queste impongono, portando in scena una società che ancora oggi costringe le donne in una rete di solitudine, assenza di responsabilità maschile e mancanza di supporto familiare.
Il film non cerca di edulcorare: mostra la paura, la vergogna, la clandestinità e soprattutto la pericolosità delle soluzioni alternative a cui le donne sono costrette. Mette a nudo le contraddizioni e le violenze sottili di una società che obbliga le donne a scegliere tra la maternità forzata e la perdita dei propri sogni, della propria sicurezza, della propria vita.
Guardando Sunshine, non si può restare indifferenti: è un racconto che stringe lo stomaco, che mette davanti agli occhi una realtà che è ancora tabù, ma che esiste ogni giorno.
Non fa sconti, ma proprio per questo colpisce con forza e resta impresso, lasciandoci interrogare non solo sulla situazione filippina, ma su quanto ancora, nel mondo, l'autodeterminazione femminile sia un diritto da conquistare ogni giorno.
Un gesto che rivela l’assurdità di un Paese dove l'aborto è criminalizzato in ogni circostanza, persino in caso di vite a rischio o violenze.
Attraverso una narrazione intensa e dolorosamente realistica, il film riesce a mostrare non solo la durezza delle leggi, ma anche la brutalità quotidiana che queste impongono, portando in scena una società che ancora oggi costringe le donne in una rete di solitudine, assenza di responsabilità maschile e mancanza di supporto familiare.
Il film non cerca di edulcorare: mostra la paura, la vergogna, la clandestinità e soprattutto la pericolosità delle soluzioni alternative a cui le donne sono costrette. Mette a nudo le contraddizioni e le violenze sottili di una società che obbliga le donne a scegliere tra la maternità forzata e la perdita dei propri sogni, della propria sicurezza, della propria vita.
Guardando Sunshine, non si può restare indifferenti: è un racconto che stringe lo stomaco, che mette davanti agli occhi una realtà che è ancora tabù, ma che esiste ogni giorno.
Non fa sconti, ma proprio per questo colpisce con forza e resta impresso, lasciandoci interrogare non solo sulla situazione filippina, ma su quanto ancora, nel mondo, l'autodeterminazione femminile sia un diritto da conquistare ogni giorno.
Autore: mxcol
The Scary House, Japan 2025, World Premiere
disponibile online
Premetto che è il primo film che vedo di questo regista indipendente, per cui non conosco nulla del suo modo di lavorare. Ma se devo basarmi solo su questo film, non credo ne vedrò degli altri.
Non amo i film dell'orrore perché mi spavento facilmente, ma in questa storia non c'e nulla che faccia paura.
Per tutta la durata del film mi sono chiesta dove volessero andare a parare.
È stato davvero deludente.
Ci sono stati dei momenti in cui mi è persino scappato da ridere, mentre mi domandavo per l'assurdità di certe scene: "Ma veramente?!?"
Probabilmente non ho capito la filosofia del regista, data la mia ignoranza in fatto di critica cinematografica. Ma da semplice spettatrice, per me è un no.
Non amo i film dell'orrore perché mi spavento facilmente, ma in questa storia non c'e nulla che faccia paura.
Per tutta la durata del film mi sono chiesta dove volessero andare a parare.
È stato davvero deludente.
Ci sono stati dei momenti in cui mi è persino scappato da ridere, mentre mi domandavo per l'assurdità di certe scene: "Ma veramente?!?"
Probabilmente non ho capito la filosofia del regista, data la mia ignoranza in fatto di critica cinematografica. Ma da semplice spettatrice, per me è un no.
Autore: Godaime Hokage
See You Tomorrow - Japan 2024, International Premiere
disponibile online
Con il suo primo lungometraggio, See You Tomorrow, Michimoto Saki racconta con tocco discreto il mondo fragile e competitivo di giovani aspiranti fotografi. La protagonista, Nao, interpretata con misura da Tanaka Makoto, è una ragazza dal talento evidente e dallo sguardo impassibile, circondata da compagni di corso che, dietro dichiarazioni di amicizia, nascondono ammirazione mista a invidia.
La regia si muove con leggerezza, osservando i personaggi senza forzarli, valorizzando i silenzi, i piccoli gesti, i non detti.
La scelta di mantenere una narrazione priva di grandi esplosioni emotive conferisce al film un tono di realismo sobrio ed elegante, capace di restituire l’incertezza e la malinconia tipiche di quel momento sospeso tra la fine degli studi e l’ingresso nell’età adulta.
Tuttavia, proprio questa delicatezza rappresenta anche il limite principale del film.
See You Tomorrow si accontenta di sfiorare i temi che propone — la rivalità nascosta, la paura del futuro, la solitudine della vocazione artistica — senza mai scavare a fondo oltre la superficie. Il conflitto rimane interno, suggerito più che esplorato, e il film rischia di apparire irrisolto e privo di reale mordente, lasciando lo spettatore con l’impressione di un racconto incompleto.
La parte finale, che ritrova i personaggi quattro anni dopo, cerca di dare maggiore profondità alla storia, mostrando come il tempo agisca sulle relazioni e sui destini individuali. Ma anche qui Michimoto preferisce restare sul registro del non detto, lasciando molte domande in sospeso.
See You Tomorrow è un’opera prima promettente, che mostra grande sensibilità visiva e una certa raffinatezza stilistica, ma che avrebbe forse beneficiato di un maggior coraggio emotivo nel raccontare le contraddizioni e le tensioni dei suoi protagonisti.
La regia si muove con leggerezza, osservando i personaggi senza forzarli, valorizzando i silenzi, i piccoli gesti, i non detti.
La scelta di mantenere una narrazione priva di grandi esplosioni emotive conferisce al film un tono di realismo sobrio ed elegante, capace di restituire l’incertezza e la malinconia tipiche di quel momento sospeso tra la fine degli studi e l’ingresso nell’età adulta.
Tuttavia, proprio questa delicatezza rappresenta anche il limite principale del film.
See You Tomorrow si accontenta di sfiorare i temi che propone — la rivalità nascosta, la paura del futuro, la solitudine della vocazione artistica — senza mai scavare a fondo oltre la superficie. Il conflitto rimane interno, suggerito più che esplorato, e il film rischia di apparire irrisolto e privo di reale mordente, lasciando lo spettatore con l’impressione di un racconto incompleto.
La parte finale, che ritrova i personaggi quattro anni dopo, cerca di dare maggiore profondità alla storia, mostrando come il tempo agisca sulle relazioni e sui destini individuali. Ma anche qui Michimoto preferisce restare sul registro del non detto, lasciando molte domande in sospeso.
See You Tomorrow è un’opera prima promettente, che mostra grande sensibilità visiva e una certa raffinatezza stilistica, ma che avrebbe forse beneficiato di un maggior coraggio emotivo nel raccontare le contraddizioni e le tensioni dei suoi protagonisti.
Autore: bob71
Good Luck, Japan 2025, International Premiere
disponibile online
Good Luck è un piccolo, prezioso racconto di anime smarrite in cerca della propria strada.
Shin Adachi firma un film lieve e intenso che, con passo incerto, ci accompagna sul sentiero della ricerca personale, tra sogni sfumati e desideri inappagati.
Taro è un documentarista indipendente, timido e insicuro, che vaga nel proprio quotidiano come in un territorio straniero, sospeso tra lo sforzo creativo e il timore di non trovare un senso nel proprio lavoro.
Dopo la proiezione di un suo film, aspramente criticato per mancanza di motivazione e coerenza, il giovane cineasta è ancor più disorientato, ma è la vita stessa, con i suoi incontri inattesi, a offrirgli una nuova opportunità: si tratta di Miki, una giovane attrice un po' stramba e molto estroversa, anche lei in bilico, anche lei in cammino.
Due opposti che si riconoscono, due solitudini che si sfiorano e si intrecciano in un'intimità fatta di dialoghi senza filtri, risate improvvise e momenti di vulnerabilità.
Girato con uno stile essenziale e realistico, privo di una colonna sonora che possa suggerire emozioni artificiose, Good Luck immerge lo spettatore nella verità delle piccole cose.
La fotografia, delicata e precisa, dipinge un Giappone inedito e genuino, fatto di angoli nascosti e atmosfere sospese.
Il film non cerca di spiegare, non offre soluzioni: invita semplicemente a camminare accanto ai suoi personaggi, a perdersi e a ritrovarsi con loro. In alcuni momenti si ride, in altri ci si ferma a riflettere, a volte ci si chiede, come loro, in che direzione stiamo andando?
Ma è proprio in questa sospensione che Good Luck trova la sua forza: nella celebrazione della fragilità, nella bellezza dei percorsi incerti, nell'arte sottile dell'accettare la propria incompiutezza.
Con sincerità, Adachi firma un film che è insieme appunto di viaggio, confessione e tenera carezza.
Un invito gentile a perdersi, per potersi – forse – ritrovare.
Shin Adachi firma un film lieve e intenso che, con passo incerto, ci accompagna sul sentiero della ricerca personale, tra sogni sfumati e desideri inappagati.
Taro è un documentarista indipendente, timido e insicuro, che vaga nel proprio quotidiano come in un territorio straniero, sospeso tra lo sforzo creativo e il timore di non trovare un senso nel proprio lavoro.
Dopo la proiezione di un suo film, aspramente criticato per mancanza di motivazione e coerenza, il giovane cineasta è ancor più disorientato, ma è la vita stessa, con i suoi incontri inattesi, a offrirgli una nuova opportunità: si tratta di Miki, una giovane attrice un po' stramba e molto estroversa, anche lei in bilico, anche lei in cammino.
Due opposti che si riconoscono, due solitudini che si sfiorano e si intrecciano in un'intimità fatta di dialoghi senza filtri, risate improvvise e momenti di vulnerabilità.
Girato con uno stile essenziale e realistico, privo di una colonna sonora che possa suggerire emozioni artificiose, Good Luck immerge lo spettatore nella verità delle piccole cose.
La fotografia, delicata e precisa, dipinge un Giappone inedito e genuino, fatto di angoli nascosti e atmosfere sospese.
Il film non cerca di spiegare, non offre soluzioni: invita semplicemente a camminare accanto ai suoi personaggi, a perdersi e a ritrovarsi con loro. In alcuni momenti si ride, in altri ci si ferma a riflettere, a volte ci si chiede, come loro, in che direzione stiamo andando?
Ma è proprio in questa sospensione che Good Luck trova la sua forza: nella celebrazione della fragilità, nella bellezza dei percorsi incerti, nell'arte sottile dell'accettare la propria incompiutezza.
Con sincerità, Adachi firma un film che è insieme appunto di viaggio, confessione e tenera carezza.
Un invito gentile a perdersi, per potersi – forse – ritrovare.
Autore: bob71
Family Matters - Taiwan 2025, European Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 29 aprile 2025)
In Family Matters, le stagioni non sono solo nomi: sono l’immagine perfetta dei cicli della vita, delle transizioni, delle domande che ogni fase porta con sé.
Spring, Summer, Autumn e Winter non sono semplicemente i membri di una famiglia, ma incarnano i passaggi emotivi e le crisi personali che ognuno, prima o poi, si trova ad affrontare: la ricerca delle proprie origini, il desiderio di lasciare un segno, la necessità di costruire nuovi legami, la lotta per cambiare un destino che sembra già scritto.
Quello che colpisce della pellicola è la delicatezza con cui Pan Ke-yin racconta il disgregarsi e il tentativo di ricomporsi dei legami familiari, dirige con delicatezza un racconto intimo e malinconico, dove ogni personaggio si trova a un bivio tra il passato che li ha formati e il futuro che li attende.
Ciò che colpisce è la naturalezza con cui il film parla di temi complessi – l'identità, la genitorialità, l'abbandono, il riscatto – senza mai risultare forzato.
Family Matters ci ricorda che, come nelle stagioni, nella famiglia e nella vita non esistono momenti perfetti: esistono solo passaggi, trasformazioni continue, in cui si cresce, si perde, si ama. Offre uno sguardo intimo e autentico su quel momento sospeso in cui ogni membro di una famiglia si rende conto di dover scegliere se restare, cambiare o lasciarsi andare.
È un racconto dolceamaro, che vibra di malinconia ma anche di speranza, in cui ogni gesto, ogni incomprensione e ogni tentativo di riavvicinamento contribuiscono a comporre il ritratto fragile e sincero di ciò che chiamiamo famiglia.
Spring, Summer, Autumn e Winter non sono semplicemente i membri di una famiglia, ma incarnano i passaggi emotivi e le crisi personali che ognuno, prima o poi, si trova ad affrontare: la ricerca delle proprie origini, il desiderio di lasciare un segno, la necessità di costruire nuovi legami, la lotta per cambiare un destino che sembra già scritto.
Quello che colpisce della pellicola è la delicatezza con cui Pan Ke-yin racconta il disgregarsi e il tentativo di ricomporsi dei legami familiari, dirige con delicatezza un racconto intimo e malinconico, dove ogni personaggio si trova a un bivio tra il passato che li ha formati e il futuro che li attende.
Ciò che colpisce è la naturalezza con cui il film parla di temi complessi – l'identità, la genitorialità, l'abbandono, il riscatto – senza mai risultare forzato.
Family Matters ci ricorda che, come nelle stagioni, nella famiglia e nella vita non esistono momenti perfetti: esistono solo passaggi, trasformazioni continue, in cui si cresce, si perde, si ama. Offre uno sguardo intimo e autentico su quel momento sospeso in cui ogni membro di una famiglia si rende conto di dover scegliere se restare, cambiare o lasciarsi andare.
È un racconto dolceamaro, che vibra di malinconia ma anche di speranza, in cui ogni gesto, ogni incomprensione e ogni tentativo di riavvicinamento contribuiscono a comporre il ritratto fragile e sincero di ciò che chiamiamo famiglia.
Autore: mxcol
The Great Yokai War - Japan 2005
disponibile online
Ma quanto può essere bello un film sugli yokai?
Tantissimo!
Se si ama il folklore giapponese e si sono lette le enciclopedie dei mostri e degli spiriti di Shigeru Mizuki, non si può non apprezzare questa storia.
Sì, sono passati vent'anni da quando è stata creata, e la computer grafica è un pochino datata, ma credo che il fascino di questo film stia anche in questo.
La trama è semplice, la classica storia del ragazzino chiamato a salvare il mondo dal Male, ma la presenza degli yokai la rende più divertente.
Dopotutto si tratta di un omaggio a queste figure del folklore giapponese che spesso rivediamo anche in anime e manga.
Spassoso il kappa, kawaii il piccolo sunekosuri (il mio preferito), molto ben caratterizzati a livello di immagine tutti gli yokai in generale.
E che dire di Agi e dei suoi continui cambi d'abito (inutili, ma di sicuro effetto)?
Mi è piaciuto tutto di questo film, e ne consiglio la visione a tutti i diversamente bambini e non solo.
Tantissimo!
Se si ama il folklore giapponese e si sono lette le enciclopedie dei mostri e degli spiriti di Shigeru Mizuki, non si può non apprezzare questa storia.
Sì, sono passati vent'anni da quando è stata creata, e la computer grafica è un pochino datata, ma credo che il fascino di questo film stia anche in questo.
La trama è semplice, la classica storia del ragazzino chiamato a salvare il mondo dal Male, ma la presenza degli yokai la rende più divertente.
Dopotutto si tratta di un omaggio a queste figure del folklore giapponese che spesso rivediamo anche in anime e manga.
Spassoso il kappa, kawaii il piccolo sunekosuri (il mio preferito), molto ben caratterizzati a livello di immagine tutti gli yokai in generale.
E che dire di Agi e dei suoi continui cambi d'abito (inutili, ma di sicuro effetto)?
Mi è piaciuto tutto di questo film, e ne consiglio la visione a tutti i diversamente bambini e non solo.
Autore: Godaime Hokage
Non proprio un film per giovanissimi, The Great Yokai War (2005) di Takashi Miike è un bizzarro mix di commedia, fantasy, avventura e horror.
È un film che sa intrattenere, ma che non sempre riesce a trovare un equilibrio tra leggerezza e ruvidezza.
La pellicola alterna infatti momenti di comicità a scene horror piuttosto forti e inquietanti, e questo rimescolarsi continuo alla lunga non funziona benissimo.
L'idea di Miike, ovvero unire avventura, infanzia e orrore, è affascinante e innovativa, ma non va del tutto a buon fine e a tratti l'insieme risulta confuso.
Gli yokai sono sicuramente l'aspetto più riuscito dell'opera.
Il regista dà loro vita in modo colorato e surreale, con un uso interessante di effetti speciali vecchi e moderni. Ma anche nella caratterizzazione di questi personaggi il film non sempre riesce a mantenere una sufficiente coerenza visiva.
The Great Yokai War è insomma quasi un esperimento cinematografico, che può affascinare e divertire, ma certamente non è esente da difetti e non è adatto a un pubblico troppo giovane o impressionabile.
È un film che sa intrattenere, ma che non sempre riesce a trovare un equilibrio tra leggerezza e ruvidezza.
La pellicola alterna infatti momenti di comicità a scene horror piuttosto forti e inquietanti, e questo rimescolarsi continuo alla lunga non funziona benissimo.
L'idea di Miike, ovvero unire avventura, infanzia e orrore, è affascinante e innovativa, ma non va del tutto a buon fine e a tratti l'insieme risulta confuso.
Gli yokai sono sicuramente l'aspetto più riuscito dell'opera.
Il regista dà loro vita in modo colorato e surreale, con un uso interessante di effetti speciali vecchi e moderni. Ma anche nella caratterizzazione di questi personaggi il film non sempre riesce a mantenere una sufficiente coerenza visiva.
The Great Yokai War è insomma quasi un esperimento cinematografico, che può affascinare e divertire, ma certamente non è esente da difetti e non è adatto a un pubblico troppo giovane o impressionabile.
Autore: Rudido
The Great Yokai War Guardians - Japan 2021
disponibile online
Film divertente e con begli effetti speciali.
Presenta molti richiami al film del 2005, sebbene la trama sia diversa.
Rispetto all'altro film c'è maggiore spazio per i personaggi secondari e gli yokai sono caratterizzati davvero bene. Mi sono piaciuti molto la Volpe e Amanojaku.
Ho molto apprezzato la presenza dell'attore protagonista del primo film, ormai cresciuto, come ulteriore tratto di unione tra le due opere.
Anche in questa storia il mondo degli yokai viene rappresentato molto bene; alla fine, sebbene nasca come un film per ragazzi, è apprezzabile anche per un pubblico adulto.
Presenta molti richiami al film del 2005, sebbene la trama sia diversa.
Rispetto all'altro film c'è maggiore spazio per i personaggi secondari e gli yokai sono caratterizzati davvero bene. Mi sono piaciuti molto la Volpe e Amanojaku.
Ho molto apprezzato la presenza dell'attore protagonista del primo film, ormai cresciuto, come ulteriore tratto di unione tra le due opere.
Anche in questa storia il mondo degli yokai viene rappresentato molto bene; alla fine, sebbene nasca come un film per ragazzi, è apprezzabile anche per un pubblico adulto.
Autore: Godaime Hokage
Film pensato principalmente per un pubblico giovane/giovanissimo, ma che può farsi apprezzare da spettatori di tutte le età.
Questo reboot modernizzato della pellicola del 2005 (“The Great Yokai War” sempre diretta da Takashi Miike), diverte senza mai diventare pesante, mescolando folklore giapponese, azione, fantasy e umorismo con grande leggerezza.
Uno dei punti di forza della pellicola, oltre alla bravura e alla simpatia dei due piccoli protagonisti, è la grande varietà di yokai che popolano la storia.
Ci sono creature di tutti i tipi, ognuna con la sua personalità e caratterizzazione simpatica o più o meno spaventosa.
Scene d'azione dinamiche e effetti speciali adeguati contribuiscono poi a far scorrere la visione senza intoppi.
Tra yokai, azione e simpatia, un’avventura leggera e spensierata.
Questo reboot modernizzato della pellicola del 2005 (“The Great Yokai War” sempre diretta da Takashi Miike), diverte senza mai diventare pesante, mescolando folklore giapponese, azione, fantasy e umorismo con grande leggerezza.
Uno dei punti di forza della pellicola, oltre alla bravura e alla simpatia dei due piccoli protagonisti, è la grande varietà di yokai che popolano la storia.
Ci sono creature di tutti i tipi, ognuna con la sua personalità e caratterizzazione simpatica o più o meno spaventosa.
Scene d'azione dinamiche e effetti speciali adeguati contribuiscono poi a far scorrere la visione senza intoppi.
Tra yokai, azione e simpatia, un’avventura leggera e spensierata.
Autore: Rudido
Papa - Hong Kong 2024, European Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 1 maggio 2025)
Papa è uno di quei film che ti lascia in silenzio anche molto tempo dopo la fine dei titoli di coda.
La storia che Philip Yung racconta è straziante, eppure potentissima: un padre devastato dal lutto, che sceglie di lottare per salvare il figlio anche dopo aver subito l’irreparabile.
Nonostante l'atrocità commessa, nonostante la perdita di due delle persone più importanti della sua vita, questo padre trova dentro di sé una forza quasi sovrumana: quella del perdono.
Non un perdono facile o immediato, ma uno che nasce dal desiderio di non lasciare suo figlio solo davanti al peso delle sue colpe.
Guardando Papa, mi sono chiesta più volte se sarei mai capace di un gesto simile, di un amore così profondo da resistere anche al dolore più assoluto.
Yung firma un racconto che costruisce una narrazione essenziale, dove il lutto, la rabbia, la fragilità e il bisogno di amore convivono in ogni sguardo, in ogni silenzio.
È un film che parla del legame più primordiale e al tempo stesso più fragile che esista, e lo fa con una delicatezza e un’intensità che difficilmente si vedono.
Papa ci ricorda che il perdono più difficile non è quello dato agli altri, ma quello che dobbiamo concedere a noi stessi — sia per chi, come il padre, deve accettare di andare avanti nonostante tutto, sia per chi, come il figlio, deve convivere con il peso insostenibile del crimine commesso.
La storia che Philip Yung racconta è straziante, eppure potentissima: un padre devastato dal lutto, che sceglie di lottare per salvare il figlio anche dopo aver subito l’irreparabile.
Nonostante l'atrocità commessa, nonostante la perdita di due delle persone più importanti della sua vita, questo padre trova dentro di sé una forza quasi sovrumana: quella del perdono.
Non un perdono facile o immediato, ma uno che nasce dal desiderio di non lasciare suo figlio solo davanti al peso delle sue colpe.
Guardando Papa, mi sono chiesta più volte se sarei mai capace di un gesto simile, di un amore così profondo da resistere anche al dolore più assoluto.
Yung firma un racconto che costruisce una narrazione essenziale, dove il lutto, la rabbia, la fragilità e il bisogno di amore convivono in ogni sguardo, in ogni silenzio.
È un film che parla del legame più primordiale e al tempo stesso più fragile che esista, e lo fa con una delicatezza e un’intensità che difficilmente si vedono.
Papa ci ricorda che il perdono più difficile non è quello dato agli altri, ma quello che dobbiamo concedere a noi stessi — sia per chi, come il padre, deve accettare di andare avanti nonostante tutto, sia per chi, come il figlio, deve convivere con il peso insostenibile del crimine commesso.
Autore: mxcol
Montages of a Modern Motherhood - Hong Kong 2024, European Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 30 aprile 2025)
Montages of a Modern Motherhood di Oliver Chan non è un film da guardare a cuor leggero.
È un pugno nello stomaco. Un’opera che scuote, ferisce e lascia senza fiato, perché racconta una verità scomoda, troppo spesso ignorata: quella delle madri lasciate sole, giudicate, schiacciate da aspettative impossibili.
Attraverso Jing – interpretata da una straordinaria Hedwig Tam – Oliver Chan ci porta dentro la spirale logorante della maternità a Hong Kong, ma sarebbe ingenuo pensare che questa storia riguardi solo quella città.
È un ritratto universale, perché l’isolamento, l’invisibilità, la fatica costante e il senso di colpa sono realtà comuni a troppe donne nel mondo.
Jing non è solo madre: è anche figlia, nuora, moglie, lavoratrice. Ma in tutto ciò perde progressivamente se stessa, schiacciata da un sistema che non ammette crepe. Non c’è spazio per la vulnerabilità, né per il riposo. Solo per il sacrificio.
Ciò che colpisce più di ogni altra cosa è l’assoluta mancanza di supporto.
Il marito “aiuta”, sì, ma perché parliamo ancora di aiuto, come se occuparsi di una figlia fosse un favore che il padre concede?
Il peso della genitorialità resta in larga parte sulle spalle delle madri, che devono giustificare ogni scelta – dal tipo di allattamento, alla gestione del pianto, all’alimentazione – sotto lo sguardo critico e invadente di familiari e società.
Come se non bastasse, il film mostra anche quanto le stesse donne, anziché sostenersi, finiscano per perpetuare queste pressioni, contribuendo a un circolo vizioso che cancella l’identità della madre come persona autonoma.
Il dolore di Jing è reale, viscerale, chiede aiuto in modi che nessuno riconosce.
E questo rende il finale ancora più straziante.
Quante donne, come lei, gridano in silenzio e non vengono ascoltate?
Montages of a Modern Motherhood è una visione necessaria. Non offre risposte consolatorie, ma una verità nuda e cruda: non possiamo più ignorare quanto la maternità, oggi, sia diventata un campo di battaglia silenzioso, dove troppo spesso le madri combattono da sole.
È un pugno nello stomaco. Un’opera che scuote, ferisce e lascia senza fiato, perché racconta una verità scomoda, troppo spesso ignorata: quella delle madri lasciate sole, giudicate, schiacciate da aspettative impossibili.
Attraverso Jing – interpretata da una straordinaria Hedwig Tam – Oliver Chan ci porta dentro la spirale logorante della maternità a Hong Kong, ma sarebbe ingenuo pensare che questa storia riguardi solo quella città.
È un ritratto universale, perché l’isolamento, l’invisibilità, la fatica costante e il senso di colpa sono realtà comuni a troppe donne nel mondo.
Jing non è solo madre: è anche figlia, nuora, moglie, lavoratrice. Ma in tutto ciò perde progressivamente se stessa, schiacciata da un sistema che non ammette crepe. Non c’è spazio per la vulnerabilità, né per il riposo. Solo per il sacrificio.
Ciò che colpisce più di ogni altra cosa è l’assoluta mancanza di supporto.
Il marito “aiuta”, sì, ma perché parliamo ancora di aiuto, come se occuparsi di una figlia fosse un favore che il padre concede?
Il peso della genitorialità resta in larga parte sulle spalle delle madri, che devono giustificare ogni scelta – dal tipo di allattamento, alla gestione del pianto, all’alimentazione – sotto lo sguardo critico e invadente di familiari e società.
Come se non bastasse, il film mostra anche quanto le stesse donne, anziché sostenersi, finiscano per perpetuare queste pressioni, contribuendo a un circolo vizioso che cancella l’identità della madre come persona autonoma.
Il dolore di Jing è reale, viscerale, chiede aiuto in modi che nessuno riconosce.
E questo rende il finale ancora più straziante.
Quante donne, come lei, gridano in silenzio e non vengono ascoltate?
Montages of a Modern Motherhood è una visione necessaria. Non offre risposte consolatorie, ma una verità nuda e cruda: non possiamo più ignorare quanto la maternità, oggi, sia diventata un campo di battaglia silenzioso, dove troppo spesso le madri combattono da sole.
Autore: mxcol
The Land of Morning Calm, South Korea 2024, Italian Premiere
disponibile online
Storia avvincente e personaggi ben costruiti danno vita a un dramma che tiene incollati fino alla fine, toccando con sensibilità e realismo temi complessi. Come la condizione degli immigrati vietnamiti in Corea del Sud e la lenta disgregazione sociale nelle piccole comunità di pescatori.
Il film riesce sia a raccontare bene il dolore individuale della vedova e della madre, sia il conflitto dell'anziano pescatore, che assiste impotente al dissolvimento del contesto sociale del suo villaggio in declino.
La regia trasmette le emozioni di tutti senza scadere nel melodramma, mentre le interpretazioni (soprattutto di Joo-sang Yoon e Hee-kyung Yang) danno spessore e autenticità ai personaggi.
Un'opera notevole capace di trasmettere tanto, in modo piuttosto sobrio, ma efficace.
Il film riesce sia a raccontare bene il dolore individuale della vedova e della madre, sia il conflitto dell'anziano pescatore, che assiste impotente al dissolvimento del contesto sociale del suo villaggio in declino.
La regia trasmette le emozioni di tutti senza scadere nel melodramma, mentre le interpretazioni (soprattutto di Joo-sang Yoon e Hee-kyung Yang) danno spessore e autenticità ai personaggi.
Un'opera notevole capace di trasmettere tanto, in modo piuttosto sobrio, ma efficace.
Autore: Rudido
In The Land of Morning Calm, Park Ri-woong racconta una Corea del Sud inedita, lontana dai rumori e dalle luci delle metropoli: un villaggio di marinai sulla costa battuta dal vento, dove il tempo sembra essersi fermato e la vita scorre in silenziosa resistenza.
Il film si muove tra i ritmi lenti della pesca e le crepe che attraversano una comunità in via di estinzione, ponendo al centro il dramma sociale dell’immigrazione.
L’ambientazione marittima, rara nel cinema contemporaneo, è resa con grande efficacia: la fotografia esalta la rude bellezza del mare, delle barche sgangherate, delle case consumate dalla salsedine.
La musica, discreta e malinconica con i suoi arpeggi di chitarra, sottolinea senza mai invadere le emozioni trattenute che percorrono il film.
Il crudo realismo della narrazione si riflette soprattutto nelle prove attoriali.
Yoon Joo-sang e Yang Hee-gyeong, due veterani del cinema, regalano prove intense e misurate, capaci di trasmettere una gamma di emozioni sottili con pochi gesti, e dipingono con straordinaria naturalezza la dignità e la fatica di chi vive ai margini.
Accanto a loro, Khazsak Kramer, nei panni della giovane vietnamita, offre una performance toccante che restituisce tutta la fragilità di chi cerca di integrarsi senza mai sentirsi davvero parte di una comunità.
The Land of Morning Calm non costruisce il proprio dramma su gesti clamorosi, ma sulle piccole fratture, sui silenzi, sugli sguardi sfuggenti.
È nella lenta rivelazione delle tensioni interne al villaggio che il film trova la sua ragione d’essere, raccontando la solidarietà fra gli abitanti, ma anche il rancore, la solitudine e l’abbandono, con uno sguardo lucido e profondamente umano.
Il film si muove tra i ritmi lenti della pesca e le crepe che attraversano una comunità in via di estinzione, ponendo al centro il dramma sociale dell’immigrazione.
L’ambientazione marittima, rara nel cinema contemporaneo, è resa con grande efficacia: la fotografia esalta la rude bellezza del mare, delle barche sgangherate, delle case consumate dalla salsedine.
La musica, discreta e malinconica con i suoi arpeggi di chitarra, sottolinea senza mai invadere le emozioni trattenute che percorrono il film.
Il crudo realismo della narrazione si riflette soprattutto nelle prove attoriali.
Yoon Joo-sang e Yang Hee-gyeong, due veterani del cinema, regalano prove intense e misurate, capaci di trasmettere una gamma di emozioni sottili con pochi gesti, e dipingono con straordinaria naturalezza la dignità e la fatica di chi vive ai margini.
Accanto a loro, Khazsak Kramer, nei panni della giovane vietnamita, offre una performance toccante che restituisce tutta la fragilità di chi cerca di integrarsi senza mai sentirsi davvero parte di una comunità.
The Land of Morning Calm non costruisce il proprio dramma su gesti clamorosi, ma sulle piccole fratture, sui silenzi, sugli sguardi sfuggenti.
È nella lenta rivelazione delle tensioni interne al villaggio che il film trova la sua ragione d’essere, raccontando la solidarietà fra gli abitanti, ma anche il rancore, la solitudine e l’abbandono, con uno sguardo lucido e profondamente umano.
Autore: bob71
Her Story - China 2024, International Festival Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 28 aprile 2025)
Un vero spettacolo, in tutti i sensi.
La "storia di lei" è quella di Tiemei, donna in carriera che dopo il divorzio trasloca con la figlioletta Molly, cercando di riappropriarsi del tempo e del rapporto con la bimba, la quale rivela una maturità e un'arguzia decisamente precoci; entrambe stringono amicizia con la vicina di casa Ye, una giovane e romantica musicista di talento.
Il "lei" è pertanto declinato su tre figure diverse ma complementari: il dipanarsi delle vicende di ciascuna va a concatenarsi, componendo un puzzle familiare (e non) sfaccettato e decisamente ben sceneggiato.
Oltre a un'ottima prova attoriale e a una fotografia appagante, la forza del film risiede dunque anche nei dialoghi fitti e graffianti: filtrati da un'affilata autoironia in chiave femminista, toccano sagaci e pungenti i temi dell'amicizia, della famiglia, del bisogno estremo di trovare un ruolo per sé, facendo fiorire i propri talenti.
Un'opera brillante che merita tutto il successo riscosso in paria, in cui si ride sonoramente, a più riprese, uscendone deliziati e arricchiti.
La "storia di lei" è quella di Tiemei, donna in carriera che dopo il divorzio trasloca con la figlioletta Molly, cercando di riappropriarsi del tempo e del rapporto con la bimba, la quale rivela una maturità e un'arguzia decisamente precoci; entrambe stringono amicizia con la vicina di casa Ye, una giovane e romantica musicista di talento.
Il "lei" è pertanto declinato su tre figure diverse ma complementari: il dipanarsi delle vicende di ciascuna va a concatenarsi, componendo un puzzle familiare (e non) sfaccettato e decisamente ben sceneggiato.
Oltre a un'ottima prova attoriale e a una fotografia appagante, la forza del film risiede dunque anche nei dialoghi fitti e graffianti: filtrati da un'affilata autoironia in chiave femminista, toccano sagaci e pungenti i temi dell'amicizia, della famiglia, del bisogno estremo di trovare un ruolo per sé, facendo fiorire i propri talenti.
Un'opera brillante che merita tutto il successo riscosso in paria, in cui si ride sonoramente, a più riprese, uscendone deliziati e arricchiti.
Autore: zettaiLara
Rewrite - Japan 2025, World Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 2 maggio 2025)
Se vi è piaciuto l’anime La ragazza che saltava nel tempo, non potete assolutamente perdervi Rewrite di Matsui Daigo.
All’apparenza, potrebbe sembrare l’ennesima storia di amanti separati dal tempo, ma ben presto il film si discosta da questa trama classica, sorprendendo con una riflessione molto più profonda sulla crescita personale, sulle scelte e sulla difficile ricerca del proprio posto nel mondo.
Attraverso la storia di Miyuki, una studentessa delle superiori, e Yasuhiko, un ragazzo venuto da un futuro lontano 300 anni, Rewrite esplora quanto i piccoli incontri possano lasciare un segno, ma allo stesso tempo mostra come dietro la dolcezza dei legami intrecciati da Yasuhiko si nasconda qualcosa di più complesso: il desiderio di rimettere ordine nei cicli temporali per poter tornare alla propria epoca.
Nonostante Yasuhiko provi un affetto autentico per le persone che incontra, i suoi gesti sono, almeno in parte, guidati da una motivazione personale.
C'è – o almeno io l’ho percepita così – una certa dose di egoismo: i legami che crea, pur profondi, nascono dal suo bisogno di ritrovare la strada verso casa.
Miyuki, inizialmente rapita da Yasuhiko e dal loro incontro straordinario, capisce progressivamente che il suo ruolo non è quello di vivere passivamente una storia già scritta. Pur avendo l’occasione di rincorrere un amore impossibile, sceglie di rimettere sé stessa al centro, di interrogarsi su chi vuole essere e sul futuro che vuole costruire.
Quello che sembrava un incontro destinato a cambiarle la vita si trasforma così in un viaggio di consapevolezza: non si tratta di forzare il destino, ma di imparare a scegliere la propria strada, anche quando questa richiede il coraggio di rinunciare a ciò che si ama.
La scena in cui la Miyuki adulta incontra la sé stessa più giovane – una delle più potenti del film, a mio parere – racchiude tutto questo: senza parole, senza forzature, Miyuki sembra suggerire alla ragazza che il vero obiettivo non è rincorrere un passato ideale, ma costruire consapevolmente il proprio futuro.
Rewrite non è solo una riflessione sullo scorrere del tempo: è un film che parla di crescita, di scelte, di destini mancati e nuovi inizi.
Un invito a diventare protagonisti della propria vita, anche quando il cammino è incerto, imperfetto e tutto da riscrivere.
All’apparenza, potrebbe sembrare l’ennesima storia di amanti separati dal tempo, ma ben presto il film si discosta da questa trama classica, sorprendendo con una riflessione molto più profonda sulla crescita personale, sulle scelte e sulla difficile ricerca del proprio posto nel mondo.
Attraverso la storia di Miyuki, una studentessa delle superiori, e Yasuhiko, un ragazzo venuto da un futuro lontano 300 anni, Rewrite esplora quanto i piccoli incontri possano lasciare un segno, ma allo stesso tempo mostra come dietro la dolcezza dei legami intrecciati da Yasuhiko si nasconda qualcosa di più complesso: il desiderio di rimettere ordine nei cicli temporali per poter tornare alla propria epoca.
Nonostante Yasuhiko provi un affetto autentico per le persone che incontra, i suoi gesti sono, almeno in parte, guidati da una motivazione personale.
C'è – o almeno io l’ho percepita così – una certa dose di egoismo: i legami che crea, pur profondi, nascono dal suo bisogno di ritrovare la strada verso casa.
Miyuki, inizialmente rapita da Yasuhiko e dal loro incontro straordinario, capisce progressivamente che il suo ruolo non è quello di vivere passivamente una storia già scritta. Pur avendo l’occasione di rincorrere un amore impossibile, sceglie di rimettere sé stessa al centro, di interrogarsi su chi vuole essere e sul futuro che vuole costruire.
Quello che sembrava un incontro destinato a cambiarle la vita si trasforma così in un viaggio di consapevolezza: non si tratta di forzare il destino, ma di imparare a scegliere la propria strada, anche quando questa richiede il coraggio di rinunciare a ciò che si ama.
La scena in cui la Miyuki adulta incontra la sé stessa più giovane – una delle più potenti del film, a mio parere – racchiude tutto questo: senza parole, senza forzature, Miyuki sembra suggerire alla ragazza che il vero obiettivo non è rincorrere un passato ideale, ma costruire consapevolmente il proprio futuro.
Rewrite non è solo una riflessione sullo scorrere del tempo: è un film che parla di crescita, di scelte, di destini mancati e nuovi inizi.
Un invito a diventare protagonisti della propria vita, anche quando il cammino è incerto, imperfetto e tutto da riscrivere.
Autore: mxcol
Diamonds in the Sand - Philippines/Japan/Malaysia 2025, International Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 27 aprile 2025)
"Kodokushi", ovvero la morte in solitaria, è lo spunto attraverso il quale la regista filippina Janus Victoria e la produttrice malese Lorna Tee fanno intraprendere al protagonista della storia un percorso alla ricerca di un possibile frammento di felicità.
Yoji è un giapponese di mezza età interpretato con misurata compostezza dall'attore di fama internazionale Lily Franky: uno sgradevole incidente col vicino di casa a Tokyo, morto in solitudine da mesi, conduce Yoji a chiedersi che ne è della sua esistenza e della direzione che potrà prendere in futuro.
Quella morte sarà la stessa anche per lui, dopo essersi ritrovato senza un lavoro e privo di affetti a vincolarlo in patria?
L'interessante confronto con l'ex badante filippina della madre diviene così l'occasione per un viaggio in quelle terre vibranti di colori, tanto rumorose quanto accoglienti.
Lì "non si muore soli nemmeno volendolo", si cita nel film; l'opera pone interrogativi di rilievo su temi di estrema attualità che non rimangono confinati al solo Giappone.
Nel racconto, anche ambienti e panorami si fanno parte integrante della personalità del film, appagando l'attenzione e solleticando la curiosità dello spettatore al tempo stesso.
Yoji è un giapponese di mezza età interpretato con misurata compostezza dall'attore di fama internazionale Lily Franky: uno sgradevole incidente col vicino di casa a Tokyo, morto in solitudine da mesi, conduce Yoji a chiedersi che ne è della sua esistenza e della direzione che potrà prendere in futuro.
Quella morte sarà la stessa anche per lui, dopo essersi ritrovato senza un lavoro e privo di affetti a vincolarlo in patria?
L'interessante confronto con l'ex badante filippina della madre diviene così l'occasione per un viaggio in quelle terre vibranti di colori, tanto rumorose quanto accoglienti.
Lì "non si muore soli nemmeno volendolo", si cita nel film; l'opera pone interrogativi di rilievo su temi di estrema attualità che non rimangono confinati al solo Giappone.
Nel racconto, anche ambienti e panorami si fanno parte integrante della personalità del film, appagando l'attenzione e solleticando la curiosità dello spettatore al tempo stesso.
Autore: zettaiLara
Hear me: our Summer - South Korea 2024, Italian Premiere
disponibile online
Remake dell'omonimo film taiwanese del 2009, Hear Me: Our Summer ripercorre la storia d’amore tra Yong-jun, giovane senza una vera direzione nella vita, e Yeo-reum, ragazza che ha dedicato ogni energia alla sorella minore sordomuta.
Il film ripropone quasi integralmente la struttura dell'originale, senza introdurre novità sostanziali o riletture che ne giustifichino la nuova versione.
Se l'uso costante della lingua dei segni dona originalità e una certa delicatezza alla narrazione, Hear Me: Our Summer soffre tuttavia di una prevedibilità disarmante.
La vicenda si sviluppa lungo binari fin troppo conosciuti, privando la storia di reale tensione emotiva. Inoltre, il tono fiabesco scelto dal regista Jo Seon-ho spinge il film verso un sentimentalismo eccessivo, culminando in un finale esageratamente mieloso che rischia di smorzare l’impatto emotivo.
Le interpretazioni dei protagonisti, Hong Kyung e Roh Yoon-seo, risultano corrette ma non particolarmente incisive.
La loro chimica regge le scene più leggere, ma nelle situazioni emotivamente più complesse emergono limiti evidenti nella gestione della profondità dei personaggi.
Anche il contorno dei personaggi secondari, seppur ben selezionato, non basta a compensare una scrittura poco coraggiosa.
Hear Me: Our Summer si presenta come un remake diligente ma privo di forza vitale. Invece di offrire una nuova prospettiva o un'emozione autentica, si limita a riproporre una formula già collaudata, appiattendosi su toni troppo convenzionali e privi di vero slancio.
Il film ripropone quasi integralmente la struttura dell'originale, senza introdurre novità sostanziali o riletture che ne giustifichino la nuova versione.
Se l'uso costante della lingua dei segni dona originalità e una certa delicatezza alla narrazione, Hear Me: Our Summer soffre tuttavia di una prevedibilità disarmante.
La vicenda si sviluppa lungo binari fin troppo conosciuti, privando la storia di reale tensione emotiva. Inoltre, il tono fiabesco scelto dal regista Jo Seon-ho spinge il film verso un sentimentalismo eccessivo, culminando in un finale esageratamente mieloso che rischia di smorzare l’impatto emotivo.
Le interpretazioni dei protagonisti, Hong Kyung e Roh Yoon-seo, risultano corrette ma non particolarmente incisive.
La loro chimica regge le scene più leggere, ma nelle situazioni emotivamente più complesse emergono limiti evidenti nella gestione della profondità dei personaggi.
Anche il contorno dei personaggi secondari, seppur ben selezionato, non basta a compensare una scrittura poco coraggiosa.
Hear Me: Our Summer si presenta come un remake diligente ma privo di forza vitale. Invece di offrire una nuova prospettiva o un'emozione autentica, si limita a riproporre una formula già collaudata, appiattendosi su toni troppo convenzionali e privi di vero slancio.
Autore: bob71
She Taught Me Serendipity - Japan 2024, European Premiere -
disponibile solo in sala (proiezione del 27 aprile 2025)
She Taught Me Serendipity di Ohku Akiko racconta una storia che, sotto la superficie di una classica commedia romantica, nasconde un percorso di crescita personale molto più amaro e realistico di quanto ci si potrebbe aspettare.
Konishi Toru non è il tipico protagonista "eroico": a tratti impulsivo, per certi versi egocentrico e spesso troppo concentrato sui propri sentimenti per accorgersi di chi gli sta davvero accanto.
Anche quando si rende conto di provare qualcosa per Sakurada Hana, il suo mondo comincia a ruotare esclusivamente intorno a lei, lasciando ai margini figure importanti come Sacchan, una collega, e Yamane, quello che sembra essere il suo più caro amico.
Questo egocentrismo emerge in modo ancora più evidente quando un evento doloroso colpisce il suo piccolo universo: Toru sembra incapace di elaborare il dolore senza mettersi, ancora una volta, al centro della narrazione.
In un primo momento, si addossa colpe e responsabilità in maniera quasi teatrale, incapace di riconoscere la sofferenza altrui come distinta dalla propria.
Eppure, il film – con grande intelligenza e sensibilità – non condanna mai del tutto il suo protagonista.
Toru è imperfetto, ma profondamente umano: un ragazzo che sbaglia, che soffre per i suoi errori e che, lentamente, impara a guardarsi davvero allo specchio.
Il suo cammino di crescita non è né spettacolare né immediato, ma fatto di inciampi, di confronti mancati, di realizzazioni dolorose.
E proprio attraverso questo difficile percorso, Toru finisce per trovare la sua vera "serendipità": qualcosa di positivo e inaspettato che non aveva cercato, ma che il dolore e la perdita gli hanno insegnato a riconoscere.
Nonostante il protagonista sembri spesso prigioniero del suo stesso egocentrismo, la sua trasformazione è autentica e riesce a commuovere profondamente.
She Taught Me Serendipity ci ricorda che il cambiamento raramente avviene in modo lineare o perfetto, ma può nascere proprio dalle nostre fragilità più profonde, se si ha il coraggio di guardare oltre se stessi.
Konishi Toru non è il tipico protagonista "eroico": a tratti impulsivo, per certi versi egocentrico e spesso troppo concentrato sui propri sentimenti per accorgersi di chi gli sta davvero accanto.
Anche quando si rende conto di provare qualcosa per Sakurada Hana, il suo mondo comincia a ruotare esclusivamente intorno a lei, lasciando ai margini figure importanti come Sacchan, una collega, e Yamane, quello che sembra essere il suo più caro amico.
Questo egocentrismo emerge in modo ancora più evidente quando un evento doloroso colpisce il suo piccolo universo: Toru sembra incapace di elaborare il dolore senza mettersi, ancora una volta, al centro della narrazione.
In un primo momento, si addossa colpe e responsabilità in maniera quasi teatrale, incapace di riconoscere la sofferenza altrui come distinta dalla propria.
Eppure, il film – con grande intelligenza e sensibilità – non condanna mai del tutto il suo protagonista.
Toru è imperfetto, ma profondamente umano: un ragazzo che sbaglia, che soffre per i suoi errori e che, lentamente, impara a guardarsi davvero allo specchio.
Il suo cammino di crescita non è né spettacolare né immediato, ma fatto di inciampi, di confronti mancati, di realizzazioni dolorose.
E proprio attraverso questo difficile percorso, Toru finisce per trovare la sua vera "serendipità": qualcosa di positivo e inaspettato che non aveva cercato, ma che il dolore e la perdita gli hanno insegnato a riconoscere.
Nonostante il protagonista sembri spesso prigioniero del suo stesso egocentrismo, la sua trasformazione è autentica e riesce a commuovere profondamente.
She Taught Me Serendipity ci ricorda che il cambiamento raramente avviene in modo lineare o perfetto, ma può nascere proprio dalle nostre fragilità più profonde, se si ha il coraggio di guardare oltre se stessi.
Autore: mxcol
Tra questi titoli mi piacerebbe recuperare in particolare Her Story, Diamonds in the Sand, Rewrite e poi anche Papa e Legends of the condor.
Segnalo che tra i film online (che scadono domani alle 23) ci sono anche alcune perle classiche davvero fantastiche: il film filippino Bona (capolavoro), Yokai monsters: Spook warfare (super-cult), e The Snow woman (classicissimo non tanto conosciuto).
È uno spettacolo per gli occhi e anche se, specie nei primi minuti, condensa molte informazioni, secondo me si segue comunque piuttosto facilmente.
Spero tanto che questo film venga distribuito anche in Italia, merita ç_ç
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