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Prima di parlare del film Love in the Big City c’è da fare una piccola premessa.
Questa storia è tratta dal libro di Sang-young Park, edito in Italia per Rizzoli con il titolo Amore, Malboro e mirtilli, ma non è la sola trasposizione uscita nel 2024.
Sono due, infatti, gli adattamenti tratti da questo bellissimo romanzo e Love in the Big City è il titolo sia del drama da otto episodi (che potete trovare su Viki) sia del film.
I due hanno comunque delle differenze.
Se il drama riprende passo passo tutti e quattro gli archi narrativi del cartaceo, il film è un progetto nato precedentemente rispetto alla serie e racconta le vicende solo del primo capitolo del libro, che corrispondono ai primi due episodi del drama, ma con alcuni cambiamenti.

Il protagonista non è, infatti, solo Heung-su, ragazzo gay che vuole mantenere segreto il suo orientamento sessuale, ma, insieme a lui, lo è anche Jae-hui, uno spirito libero, una donna forte e audace.
La trama ruota attorno alla loro amicizia e, grazie ad essa, vengono affrontati tantissimi temi delicati e importanti che sicuramente non verranno tutti trattati in queste poche righe, soprattutto per non anticipare troppo riguardo alla storia.

Jae-hui si avvicina a Heung-su dopo averlo beccato a limonare con un ragazzo.
Pensando che lei abbia scoperto il suo punto debole e che prima o poi lo userà contro di lui, Jae-hui lo rassicura e, con la sua genuinità, afferma: “Come può risultare un punto debole essere se stessi?”
Questa frase risuona forte come il vero e unico messaggio del film.
Love in the Big City, infatti, racconta dei pregiudizi che devono affrontare chi viene ritenuto “diverso”.

E non ci si riferisce solo al protagonista che fa di tutto per nascondere la sua omosessualità per paura di essere etichettato, giudicato e non accettato, ma anche alla co-protagonista che affronta le critiche a testa alta: a lei piace divertirsi, bere e innamorarsi dei bei ragazzi e non c’è niente di sbagliato in tutto ciò.
Insieme al Heung-su, anche lei si dovrà scontrare più volte con un’opinione pubblica retrograda rappresentata durante il corso del film da varie figure, ma che trova la sua espressione massima nella dottoressa della clinica ginecologica alla quale Jae-hui si rivolge: il modellino dell’utero, che prende prima di scappare via correndo, diventa quasi il simbolo dell’orgoglio femminile; sembra quasi gridare che il corpo è di ogni donna e ogni donna ne fa quello che vuole.

Ed è così che il film Love in the Big City diventa portabandiera non solo della comunità LGBTQ, ma anche dei diritti delle donne.

La storia risulta essere molto realistica e quindi più vicina allo spettatore.
I due protagonisti, nel loro percorso di ricerca del vero amore e della felicità, agiscono in modo impulsivo e poco saggio, commettendo più volte lo stesso errore, come del resto può veramente succedere nella vita reale quando si tratta di sentimenti.
D’altronde, non importa in quale guaio Jae-hui e Heung-su si cacceranno: loro sanno che potranno sempre contare l’una sull’altro.
Viene descritta un’amicizia che va al di là del semplice affetto e che assomiglia più all’essere una vera e propria famiglia. E questo è dimostrato nei piccoli gesti quotidiani che intravediamo nella pellicola: Heung-su che posiziona nel congelatore le Malboro che lei ama fumare fredde e Jae-hui che compra i mirtilli che lui adora mangiare ancora surgelati; lui che usa la BB cream di Jae-hui e lei che utilizza il rasoio di Heung-su.

Come si può notare, i nomi dei personaggi non sono gli stessi del romanzo, come a voler sottolineare che questa non è la trasposizione fedele del cartaceo, ma ne è solo tratto.
Sono interessanti tutti i rimandi al mondo queer che possiamo scovare all’interno del film.
Primo fra tutti troviamo proprio l’autore Sang-young Park: il protagonista legge un articolo in cui si parla proprio di lui e della letteratura queer in Corea.
Meraviglioso anche il rimando al film hongkonghese Happy Together del 1997, famosa storia che parla di una relazione omosessuale; e non a caso un ragazzo che frequenta Heung-su gli dice di assomigliare proprio al personaggio interpretato da Tony Leung.

Possiamo, quindi, capire fin da subito che la sceneggiatura è curata nei minimi dettagli, così come del resto lo è la regia: in ogni scena c’è uno studio minuzioso della luce e dei colori, sia nelle parti di vita notturna sia nella vita di tutti i giorni.
Anche la musica risulta sempre impeccabile, riuscendo ad essere sempre il sottofondo ideale in ogni scena.

Eccezionali, sotto ogni punto di vista, sono stati i due attori protagonisti.
Go-eum Kim ha dato più volte prova di essere un’attrice straordinaria e sfaccettata che riesce sempre a immergersi nel proprio personaggio sia sul piccolo che sul grande schermo.
Ha dato vita a una Jae-hui forte e tenace, che sa esattamente quali sono i punti deboli del genere femminile e che non ha paura di affrontarli. Personalmente, l’ho preferita alla sua controparte nel drama. C’è da sottolineare, d’altronde, che ha avuto molto più spazio rispetto alla serie, potendo così caratterizzare al meglio il proprio personaggio.

Steve Noh è stato perfetto, tanto che sembrava uscito dalle pagine del romanzo stesso. Anzi, sia lui che Yoon-soo Nam, attore che interpreta il protagonista nella serie, sono stati impeccabili, rappresentando sfaccettature diverse dello stesso personaggio, ma, allo stesso tempo, assomigliandosi tantissimo. Ed è una cosa più unica che rara che due attori, con età diverse e trascorsi diversi, riescano entrambi a ricordare così tanto e in modo così simile il protagonista originale.

Nel film, il personaggio interpretato da Steve Noh è un ragazzo insicuro per quanto riguarda le storie d’amore. Non riesce a vivere spensieratamente le sue relazioni ed è proprio Jae-hui che gli insegna a buttarsi: d’altronde per chi altri, se non per la sua migliore amica, Heung-su avrebbe mai cantato e ballato Bad Girl, Good Girl delle miss A davanti a tutti gli invitati ad un matrimonio? E vi assicuro che questa scena vale da sola tutto il film!