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Per anni ho pensato che non sarei mai riuscito a recensire l’Incantevole, e nemmeno Emy. Troppe domande si rivelavano insormontabili. Per esempio, il fatto di averle viste da bambino di terza, quarta elementare e di esserne rimasto molto impressionato non renderà la recensione da adulto troppo priva d’imparzialità? E le due serie sono indipendenti? O Emy è come una versione ridotta, una scopiazzatura dell’Incantevole? O, al contrario, se Emy fosse comparsa per prima sarebbe stata baciata dall’effetto novità e quindi sarebbe apparsa migliore senza nulla togliere all’Incantevole che in molte cose le risulta superiore? Solo dopo molti anni ho trovato le risposte, forse, e non potendo fare un semplice confronto tra le due, mi limiterò a recensirle separatamente, lasciando al lettore il compito di trarne le conclusioni. Sulla trama dell’Incantevole si è già detto di tutto, per cui vorrei limitarmi a rilevare un paio di cose. La prima è che la storia, potenzialmente, avrebbe potuto andare avanti all’infinito, a dispetto della scadenza temporale di un anno. Non a caso è lei, tra le tre maghette del Pierrot, a godere del maggior numero di puntate, oltre che di due special conclusivi. Trovo che sia proprio questo, non meno della perdita dei poteri, a rendere dolorosissimo il finale. Di umorismo ve ne è molto, anche se la serie non è prettamente umoristica. Le musiche e la regia sono molto buone e la grafica di Akemi Takada, che lavorerà anche in Lamù e Maison Ikkoku, davvero ottima. Sulla caratterizzazione dei personaggi secondari nulla da eccepire e tutti hanno la loro importanza, piccola o grande che sia, a far funzionare lo spettacolo. Persino Due note (che nome assurdo) , pur avendo il ruolo della nemica ha la sua importanza, dato che, a suo modo, dà voce alla ragione, alla delusione di essere messa da parte non per mancanza di talento in sé, ma dal dover fare i conti con chi abbia un talento inarrivabile. Una storia Mozart e Salieri, molto più realistica di quanto non sembri. In definitiva l’incantevole dà voce all’eterno desiderio umano di crescere senza fatica e di non dover condividere o restituire tali poteri. Per la sigla italiana, poi, a riascoltarla da adulto non ho trovato quel granché, a differenza di tante altre sigle della D’Avena. In conclusione, comunque, direi che un sette e mezzo lo possa assegnare e… lasciatemi aggiungere questa frase che tanto amo di Louis Sepulveda: “Non piangere perché una cosa bella è finita. Sii invece contento perché c’è stata”